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Coloro cui sfugge completamente l'idea che è possibile aver torto non possono imparare nulla, tranne la tecnica. (Gregory Bateson)
Il segnale è verità. Il rumore è ciò che distrae dalla verità. Noi viviamo nel rumore. (Nate Silver)
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Per rendere possibile un vero dialogo, occorre eliminare ogni assunto personale
TEORIE > CONCETTI > QUANTISTICA2
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Ognuno di noi, possiede differenti assunti ed opinioni. Questi assunti derivano dalla nostra attività di pensiero costruita lentamente nel corso della crescita in famiglia, dalla formazione nella scuola, dalle nostre esperienze personali e professionali, che hanno costruito la nostra "identità personale". E' normale che ognuno si identifichi con la propria identità, così faticosamente costruita, così quando le nostre idee, credenze o opinioni vengono attaccate dall'esterno, è come se fossimo attaccati personalmente. Nel suo libro "Sul dialogo" il grande fisico teorico David Bohm ha riportato le sue idee sulla "frammentazione" che ha origine nel pensiero umano, è il pensiero che fa distinzioni...Egli scrive nel suo libro "Sul dialogo" (p.69): "Ciascuna distinzione che produciamo è il risultato del modo in cui pensiamo. Noi selezioniamo alcune cose e le separiamo dalle altre - per convenienza, inizialmente. In seguito, conferiamo a questa separazione una grande importanza. Fondiamo nazioni separate, il che è interamente  un risultato del nostro pensare. [...] Distinguiamo anche le religioni con il pensiero [...] E nella famiglia le distinzioni sono nel pensiero: l'intera modalità di organizzazione della famiglia è dovuta al modo in cui pensiamo. La frammentazione è una delle difficoltà del pensiero, ma vi è una radice più profonda, che consiste nel fatto che il pensiero è molto attivo, ma il processo di pensiero pensa di non star facendo nulla - di starci semplicemente dicendo come stanno le cose. Praticamente tutto ciò che ci circonda è stato determinato dal pensiero - ogni edificio, fabbrica, fattoria, strada, scuola, nazione, scienza, tecnologia, religione - qualunque cosa ci venga in mente di menzionare. L'intera questione ecologica è dovuta al pensiero, in quanto abbiamo pensato che il mondo sia qui per essere sfruttato da noi, che sia infinito e dunque, qualsiasi cosa abbiamo fatto in passato, l'inquinamento si dissolverà nel nulla." Bohm, riguardo al processo mentale che ha creato le nostre convinzioni scrive (p.67): "Si tratta di assunti "fondamentali", non di assunti meramente superficiali - quali assunti a proposito del significato della vita, del proprio interesse personale, dell'interesse del proprio paese, o dei propri interessi religiosi; insomma, a proposito di ciò che veramente si ritiene importante. E gli assunti vanno difesi quando sono attaccati." David Bohm, era convinto che in un dialogo nessuno tenta di vincere. Ciascuno vince se tutti vincono. C'è una sorta di spirito diverso. Nel suo libro Bohm scrive (p.78): "Quando un gruppo di dialogo è nuovo, generalmente le persone girano intorno al punto per un po'. Oggigiorno, in tutte le relazioni umane, le persone generalmente conoscono il modo di non affrontare nulla direttamente. Girano intorno alle cose, evitando le difficoltà".


Altan
Punto chiave di questa pagina
DALLA COMUNICAZIONE ALLA CONVERSAZIONE: Dal punto di vista linguistico, quando si diventa coscienti di sé si dà per scontato che la chiave d'accesso a se stessi sia la parola "io", cioè il soggetto che parla (il soggetto di un enunciato). Non si pronuncia esplicitamente "io" se non rivolgendosi ad un altro, un "tu". In questo modo può nascere un dialogo, come scrivono i semiologi Valentina Pisanty e Roberto Pellerey nel libro "Semiotica e interpretazione" (p.157): "Io e tu si implicano vicendevolmente e, insieme, costituiscono la "condizione di dialogo" che è la condizione fondamentale del linguaggio in atto, ovvero della comunicazione intersoggettiva. Anche nel caso in cui né l'uno né l'altro pronome vengano resi espliciti all'interno di un certo discorso, la loro presenza è implicita e sempre presente (sebbene lo sia a livello virtuale). Questo perchè io e tu (la polarità delle persone) forniscono le coordinate indispensabili alla costruzione di una situazione di discorso."
Punti di riflessione
L’uomo non può giungere in chiaro con se stesso da solo. La ricerca che lo concerne non può cominciare e finire nel recinto chiuso della suo individualità; può essere soltanto il frutto di un dialogare continuo con gli altri come con se stesso. (Nicola Abbagnano su La Repubblica di Platone)
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Ci sono molti percorsi che possiamo studiare attraverso la lente dell'analisi del discorso, incluso il discorso durante un dibattito politico, il discorso nella pubblicità, nei programmi televisivi / media, nelle interviste e nella narrazione. Osservando il contesto dell'uso del linguaggio, non semplicemente le parole, possiamo comprendere strati sfumati di significato che vengono aggiunti dagli aspetti sociali o istituzionali sul lavoro, come il genere, lo squilibrio di potere, i conflitti, il background culturale e il razzismo. (Richard Nordquist)
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Nelle sue interviste, la psicologa Sherry Turkle ha osservato una profonda delusione per gli esseri umani, che sono imperfetti e smemorati, bisognosi e imprevedibili, in modi che le macchine sono programmate per non essere. (Jonathan Franzen)
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La conversazione è il principio organizzativo di Turkle perché gran parte di ciò che costituisce l'umanità è minacciata quando la sostituiamo con la comunicazione elettronica. La conversazione presuppone la solitudine, ad esempio, perché è nella solitudine che impariamo a pensare da soli e a sviluppare un senso di sé stabile, essenziale per accettare le altre persone per come sono. (Jonathan Franzen)
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L'antropologo Terrence Deacon sostiene che una parola non è semplicemente una etichetta da appiccicare a una cosa, ma è un processo semiotico, dinamico e, in ultima analisi, biologico. L’uomo, più di ogni altro animale, è riuscito a portare il processo comunicativo oltre la soglia simbolica innescando processi di memoria, referenza, rappresentazione altamente sofisticati. (Roberto Bottini, Stefania Benetti)
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L'assertivo sa che essere persona significa avere la coscienza di appartenere al genere umano, significa che non possiamo trattare nessuno come estraneo. (Roberto Anchisi, Mia Gambotto Dessy - p.29)
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Parlare serve quando le parole raccolgono quello che il silenzio – e l’ascolto – hanno seminato. Altrimenti è come disperdere al vento semi che non sappiamo se troveranno mai dimora. (Nicoletta Cinotti)
Come si fa a trasmettere le proprie idee?
Il fisico David Bohm nel libro "Sul dialogo" (p.xx) ha scritto:

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Qual è l'impatto dell'essere umano sul pianeta Terra?
Lezione magistrale del neurobiologo Stefano Mancuso sull'impatto dell'uomo sul pianeta Terra
Conclusioni (provvisorie): nelle conversazioni sane, se vogliamo che siano felici, occorre gettare la maschera, ed essere ciò che intimamente siamo: il nostro "vero sè"
Ogni bambino cresce immerso nella voce della madre
La conversazione con un'altra persona è un'attività che facciamo quotidianamente, ma spesso ci costringe a chiederci "cosa" la rende difficile. Veniamo spesso indispettiti dalla difficoltà di intrattenere una "buona conversazione", soprattutto con le persone care (un familiare, un amico/a, un partner). Se la conversazione avviene invece con degli sconosciuti ci sorprende l'incontro con parlatori compulsivi, o narcisisti, ansiosi, nevrotici o sociopatici, e cerchiamo di modificare rapidamente il nostro stile conversazionale o di sottrarci alla conversazione. Come mai l'essere umano impara molto presto a parlare correttamente dal punto di vista sintattico e grammaticale, ma scorrettamente dal punto di vista sociale? E come mai impara subito a mentire verbalmente? La conversazione nasce quando ogni madre si rivolge al suo bambino e lì accade un fenomeno mentale sorprendente, che lo psicoanalista Donald Winnicott ha ipotizzato, cioè il bambino si rende conto, inconsciamente, che non gli conviene dire alla madre tutto ciò che egli desidera ma che, per conservare l'amore della madre, egli deve rapidamente imparare a mentire. Quello è il periodo nella vita di ogni bambino (indicativamente dalla nascita ai 18 mesi) in cui egli sta formando il suo sé e matura la percezione che ottiene maggiore attenzione dalla madre se accetta "verbalmente" i suoi desideri. Secondo Donald Winnicott il linguaggio "scinde" il Sé del bambino facendo sì che il Sé verbale ("falso Sé") e il Sé esistenziale ("vero Sé") possano essere molto distanti. Prima di acquisire il linguaggio il bambino può solo vivere la realtà percepita dai sensi, invece, dopo aver acquisito la capacità linguistica e il relativo pensiero simbolico, il bambino può distorcere e trascendere la realtà, nel bene e nel male.
Negli anni '50 del Novecento, importanti studiosi cibernetici quali Gregory Bateson e Paul Watzlavick hanno condotto studi sugli scambi comunicativi umani e robotici. Lo sviluppo di Intelligenza artificiale e robotica, probabilmente aumenteranno l'importanza di questa prospettiva. Il cibernetico Gordon Pask ha proposto che, il processo di apprendimento avvenga mediante un accordo consensuale di attori interagenti in un dato ambiente ("conversazione"), ma si tratta di in processo ideale che non tiene conto di emozioni e predisposizioni mentali.
Secondo la linguistica novecentesca ( John Austin, Paul Grice, Dan Sperber, Deirdre Wilson, ed Emile Benveniste), ogni conversazione tra due soggetti si basa su un'intenzione comunicativa di un parlante (soggetto1) verso un ascoltatore (soggetto2). Lo scopo del parlante è quello di agire sul sistema cognitivo dell'ascoltatore, mentre lo scopo dell'ascoltatore è quello di cogliere le intenzioni del parlante. Quando la conversazione è "sana" deve produrre un'informazione "pertinente", cioè un'informazione che modifica o migliora la rappresentazione che il ricevente ha del mondo.
Per costruire il significato di un incontro relazionale, non bastano grammatica e sintassi, ma occorre aggiungere tutti gli elementi riguardanti il contesto sociale in cui avviene la conversazione che mancano al linguaggio. Ciò viene fatto dall'analisi del discorso.
Molti problemi nella vita e nelle conversazioni umane possono derivare da deficit dell'intelligenza emotiva. La persona emotivamente intelligente è piacevole da frequentare e lascia che anche gli altri si sentano meglio. Ciò significa che la qualità delle conversazioni che una persona emotivamente intelligente intrattiene è elevata perchè l'interlocutore si sente meglio dopo aver conversato con essa. La persona emotivamente intelligente, tuttavia, non cerca il piacere a tutti i costi. Quando conversiamo con qualcuno, ci rendiamo conto della qualità del dialogo che stiamo sperimentando e, a volte, ci troviamo costretti ad ammettere che la persona con cui parliamo ha qualche problema mentale. Lo psicoanalista Jacques Lacan ha riassunto tali problemi nel distinguere, in una relazione intersoggettiva, tra "parola piena" e "parola vuota". Semplificando, si tratta di termini che, secondo Lacan, indicano la sanità di un dialogo e quindi di una relazione. Quando ci si pone, nei confronti del proprio interlocutore, con il desiderio di riconoscerlo come "Altro", cioè diverso da noi, dobbiamo aver voglia di capirne le differenze (e magari di apprezzarle, ma non è detto). Quando invece, ci si pone nella relazione solo con le proprie certezze narcisistiche, non è possibile alcuno scambio (o tentativo di scambio), e le parole che scambiamo diventano vuote.
Le maschere indossate dalle persone durante i rapporti sociali equivalgono al "falso sé" ipotizzato dallo psicoanalista Donald Winnicott, cioè a quelle maschere di convenienza che ognuno di noi indossa per gestire al meglio le proprie relazioni (sentimentali, professionali, amicali, ecc.). Nelle comunicazione interpersonali alle quali assistiamo ma nelle quali non siamo coinvolti, se osserviamo attentamente possiamo osservare la differenza tra comportamenti verbali e non verbali. Come ha scritto lo psicoanalista Daniel Stern: "Chi parla ha bisogno di una forma di comunicazione che sia ritrattabile. Esprimere ostilità, sfidare la competenza altrui, ovvero esprimere amicizia o affetto in modo tale da poterlo poi negare può rappresentare un vantaggio dal punto di vista della responsabilità." I comportamenti non verbali sono ritrattabili, di quelli verbali si è responsabili.
Per essere socialmente intelligenti dobbiamo essere consapevoli della situazione in cui ci troviamo, presenti con gli altri e nei contesti, autentici rispetto al nostro vero sé, chiari con le nostre parole usando parole nutrienti invece di parole tossiche, ed empatici con il nostro ambiente esterno e con coloro che lavorano con noi in esso. Questi sono i consigli comportamentali del consulente aziendale Karl Albrecht che ha scritto: "Il nostro mondo esterno (sociale) è costituito da più contesti che si verificano simultaneamente: il contesto semantico, il contesto comportamentale, il contesto politico e il contesto culturale. Inoltre, tutte le professioni e le organizzazioni hanno sottoculture, norme, valori, codici di condotta, gerarchia, sistemi e conflitti che esistono tutti nella loro relazione con le dinamiche di potere." La capacità di ascolto è una dote fondamentale per ogni buon conversatore, il formatore manageriale Mike Crandall ha suddiviso gli ascoltatori in quattro categorie, sulle quali è opportuno concentrarsi al fine di impostare la propria strategia comunicativa: ascoltatori attivi, passivi, competitivi, combattivi.
Secondo Karl Albrecht il segreto per essere dei buoni conversatori consiste nel monitorare ed equilibrare tre elementi della comunicazione: espressioni dichiarative, domande e condizionali.  L’esperienza di avere a che fare con conversatori poco abili può essere riassunta in queste brevi testimonianze:

  • “Parla sempre di sé stesso, di quello che sta facendo, di quello che gli interessa, di quelle che sono le sue idee”
  • “Mi dà costantemente delle lezioni. Non chiede mai quello che penso”
  • “Non è possibile non essere d’accordo con lui. Lo lascio semplicemente esporre e poi cerco solo di cambiare argomento.”
  • “Ha un’opinione su tutto e ve la darà, sia che voi la chiediate o meno.”

Una conversazione con il 100% di dichiarazioni (la maggior parte delle quali sono in realtà opinioni) non è certo un buon biglietto da visita per chi sia interessato a diventare un efficace conversatore. Celeste Headlee dà dieci consigli per essere buoni conversatori:
  • Non essere multitasking. Sii presente. Sii in quel momento.
  • Non pontificare. Se vuoi esprimere la tua opinione senza alcuna opportunità di risposta o discussione, opposizione o crescita, scrivi a un blog.
  • Usa domande aperte. Inizia le tue domande con chi, cosa, quando, dove, perché o come. Se metti una domanda complicata, otterrai una risposta semplice
  • Segui la corrente. Segui il tema della conversazione
  • Non equiparare la tua esperienza alla loro. Non è lo stesso. Non è mai lo stesso. Tutte le esperienze sono individuali.
  • Se non lo sai, dì che non lo sai.
  • Cerca di non ripeterti.
  • Stai lontano dalle erbacce. Francamente, alla gente non interessano gli anni, i nomi, le date, tutti quei dettagli che stai lottando per trovare nella tua mente. A loro non importa. Quello che gli interessa sei tu.
  • Ascolta. La maggior parte di noi non ascolta con l'intenzione di capire. Ascoltiamo con l'intento di rispondere.
  • Sii breve. Tutto questo si riduce allo stesso concetto di base, ed è questo: essere interessati alle altre persone.
Quando, in una situazione lavorativa, familiare, associativa, politica, ecc. si percepisce un disagio e un senso di generale insoddisfazione (o quando lo stesso disagio si presenta nel corso di una conversazione insoddisfacente), e si avverte di non riuscire a risolverlo con le proprie forze, probabilmente è presente un conflitto con le inclinazioni personali. Se il "falso Sé" dell'adulto ha completamente forgiato il suo modo di relazionarsi con gli altri non resta che rivolgersi a uno/a psicoterapeuta. Ma questo è un caso estremo, infatti nella maggior parte dei casi, il "falso Sé" crea solo lievi sensi di colpa che non consentono al soggetto di sottrarsi alle richieste degli altri. In questi casi occorre imparare a dire no, cioè a diventare 'assertivi '. Ma cos'è l'assertività? Il termine deriva  dal latino "asserere" e dall'italiano "asserire" con il significato di affermare, sostenere con vigore. Gli psicologi Roberto Anchisi e Mia Gambotto Dessy danno, nel libro "Manuale di assertività", questa definizione (p. 21):

L'assertività è la caratteristica di chi realizza se stesso, manifestando le proprie doti e le proprie esigenze nel contesto sociale, ma senza ritenersi coincidente con esse: tutto ciò che appartiene al mondo dell'esperienza è mutevole, mentre solo l'Io è immutabile.

Sembra quindi che l'assertività sia una forma di cultura che, secondo Anchisi e Dessy (pp.24-59), "non dobbiamo cambiare la nostra personalità, ma migliorare il nostro stile" si associa agli sviluppi più recenti della ricerca scientifica nell'ambito della psicoterapia, cioè l'ACT (Acceptance and Committment Therapy).

Il contributo della Poesia
Una poesia di Amelia Rosselli recita: Conversazioni! infelicità che si spreme ad essere quel che non vorrei, fingendo d'essere quel che semmai potrei.
Anche se non sempre è possibile (nè conveniente), Amelia Rosselli ci invita ad abbandonare il nostro "falso sé" nelle conversazioni, affinchè esse non siano infelici. Ci invita, cioè a gettare la maschera che abbiamo indossato per quella conversazione, e ad essere ciò che intimamente siamo: il nostro "vero sè".
per scaricare le conclusioni (in pdf):
La razionalità richiede impegno personale!
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              Spesa annua pro capite in Italia per gioco d'azzardo 1.583 euro, per l'acquisto di libri 58,8 euro (fonte: l'Espresso 5/2/17)

              Pagina aggiornata il 5 giugno 2024

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