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Coloro cui sfugge completamente l'idea che è possibile aver torto non possono imparare nulla, tranne la tecnica. (Gregory Bateson)
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Il dualismo è insito nel pensiero umano, infatti ogni distinzione che l'essere umano fa equivale a una frammentazione. Il problema è che il pensiero non è propriocettivo, cioè non tiene conto delle proprie conseguenze. Per rendere possibile un vero dialogo, occorre eliminare (o sospendere) ogni assunto personale.
TEORIE > CONCETTI > QUANTISTICA2
Scopo di questa pagina
Ognuno di noi, possiede diversi assunti ed opinioni. Questi assunti derivano dalla nostra attività di pensiero costruita lentamente nel corso della crescita in famiglia, dalla formazione nella scuola, dalle nostre esperienze personali e professionali, che hanno costruito la nostra "identità personale". E' normale che ognuno si identifichi con la propria identità, tanto faticosamente costruita, così, quando le nostre idee, credenze o opinioni vengono attaccate dall'esterno, è come se fossimo attaccati personalmente. Nel suo libro "Sul dialogo" il grande fisico teorico David Bohm ha riportato le sue idee sulla "frammentazione" che ha origine nel pensiero umano, è il pensiero che fa distinzioni...Egli scrive nel suo libro "Sul dialogo" (p.69): "Ciascuna distinzione che produciamo è il risultato del modo in cui pensiamo. Noi selezioniamo alcune cose e le separiamo dalle altre - per convenienza, inizialmente. In seguito, conferiamo a questa separazione una grande importanza. Fondiamo nazioni separate, il che è interamente  un risultato del nostro pensare. [...] Distinguiamo anche le religioni con il pensiero [...] E nella famiglia le distinzioni sono nel pensiero: l'intera modalità di organizzazione della famiglia è dovuta al modo in cui pensiamo. La frammentazione è una delle difficoltà del pensiero, ma vi è una radice più profonda, che consiste nel fatto che il pensiero è molto attivo, ma il processo di pensiero pensa di non star facendo nulla - di starci semplicemente dicendo come stanno le cose. Praticamente tutto ciò che ci circonda è stato determinato dal pensiero - ogni edificio, fabbrica, fattoria, strada, scuola, nazione, scienza, tecnologia, religione - qualunque cosa ci venga in mente di menzionare. L'intera questione ecologica è dovuta al pensiero, in quanto abbiamo pensato che il mondo sia qui per essere sfruttato da noi, che sia infinito e dunque, qualsiasi cosa abbiamo fatto in passato, l'inquinamento si dissolverà nel nulla." Bohm, riguardo al processo mentale che ha creato le nostre convinzioni scrive (p.67): "Si tratta di assunti "fondamentali", non di assunti meramente superficiali - quali assunti a proposito del significato della vita, del proprio interesse personale, dell'interesse del proprio paese, o dei propri interessi religiosi; insomma, a proposito di ciò che veramente si ritiene importante. E gli assunti vanno difesi quando sono attaccati." David Bohm, era convinto che in un dialogo nessuno tenta di vincere. Ciascuno vince se tutti vincono. C'è una sorta di spirito diverso. Nel suo libro Bohm scrive (p.78): "Quando un gruppo di dialogo è nuovo, generalmente le persone girano intorno al punto per un po'. Oggigiorno, in tutte le relazioni umane, le persone generalmente conoscono il modo di non affrontare nulla direttamente. Girano intorno alle cose, evitando le difficoltà". Questo processo è all'origine del dualismo che pervade ogni processo umano e che rende difficile capire e accettare la realtà proposta dalla meccanica quantistica (vedi "Il mondo secondo la fisica quantistica").
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DALLA COMUNICAZIONE ALLA CONVERSAZIONE: Dal punto di vista linguistico, quando si diventa coscienti di sé si dà per scontato che la chiave d'accesso a se stessi sia la parola "io", cioè il soggetto che parla (il soggetto di un enunciato). Non si pronuncia esplicitamente "io" se non rivolgendosi ad un altro, un "tu". In questo modo può nascere un dialogo, come scrivono i semiologi Valentina Pisanty e Roberto Pellerey nel libro "Semiotica e interpretazione" (p.157): "Io e tu si implicano vicendevolmente e, insieme, costituiscono la "condizione di dialogo" che è la condizione fondamentale del linguaggio in atto, ovvero della comunicazione intersoggettiva. Anche nel caso in cui né l'uno né l'altro pronome vengano resi espliciti all'interno di un certo discorso, la loro presenza è implicita e sempre presente (sebbene lo sia a livello virtuale). Questo perchè io e tu (la polarità delle persone) forniscono le coordinate indispensabili alla costruzione di una situazione di discorso."
Punti di riflessione
I diversi assunti che le persone possiedono, influenzano tacitamente il significato complessivo di quello che facciamo. (David Bohm p.82)
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Abbiamo detto che le persone porteranno i propri assunti in ogni gruppo e che, man mano che il gruppo continua a incontrarsi, questi assunti verranno allo scoperto. Di conseguenza, è necessario sospendere questi assunti, di modo che non siano né espressi né repressi. Non avere fiducia in essi, né averne; non giudicarli né buoni né cattivi. (David Bohm p.82)
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L’uomo non può giungere in chiaro con se stesso da solo. La ricerca che lo concerne non può cominciare e finire nel recinto chiuso della suo individualità; può essere soltanto il frutto di un dialogare continuo con gli altri come con se stesso. (Nicola Abbagnano su La Repubblica di Platone)
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Ci sono molti percorsi che possiamo studiare attraverso la lente dell'analisi del discorso, incluso il discorso durante un dibattito politico, il discorso nella pubblicità, nei programmi televisivi / media, nelle interviste e nella narrazione. Osservando il contesto dell'uso del linguaggio, non semplicemente le parole, possiamo comprendere strati sfumati di significato che vengono aggiunti dagli aspetti sociali o istituzionali sul lavoro, come il genere, lo squilibrio di potere, i conflitti, il background culturale e il razzismo. (Richard Nordquist)
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Nelle sue interviste, la psicologa Sherry Turkle ha osservato una profonda delusione per gli esseri umani, che sono imperfetti e smemorati, bisognosi e imprevedibili, in modi che le macchine sono programmate per non essere. (Jonathan Franzen)
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La conversazione è il principio organizzativo di Turkle perché gran parte di ciò che costituisce l'umanità è minacciata quando la sostituiamo con la comunicazione elettronica. La conversazione presuppone la solitudine, ad esempio, perché è nella solitudine che impariamo a pensare da soli e a sviluppare un senso di sé stabile, essenziale per accettare le altre persone per come sono. (Jonathan Franzen)
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L'antropologo Terrence Deacon sostiene che una parola non è semplicemente una etichetta da appiccicare a una cosa, ma è un processo semiotico, dinamico e, in ultima analisi, biologico. L’uomo, più di ogni altro animale, è riuscito a portare il processo comunicativo oltre la soglia simbolica innescando processi di memoria, referenza, rappresentazione altamente sofisticati. (Roberto Bottini, Stefania Benetti)
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L'assertivo sa che essere persona significa avere la coscienza di appartenere al genere umano, significa che non possiamo trattare nessuno come estraneo. (Roberto Anchisi, Mia Gambotto Dessy - p.29)
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Parlare serve quando le parole raccolgono quello che il silenzio – e l’ascolto – hanno seminato. Altrimenti è come disperdere al vento semi che non sappiamo se troveranno mai dimora. (Nicoletta Cinotti)
IN UN DIALOGO, SE SI VALUTANO LE OPINIONI, SPESSO CI SI RENDE CONTO CHE TUTTE LE OPINIONI SONO ASSUNTI
Dalla discussione al dialogo
David Bohm, riguardo alla creazione di gruppi collaborativi che evitano le negoziazioni e creano veri dialoghi, scrive (pp. 65-67):

Do al termine "dialogo" un significato un po' diverso da quello usato comunemente. Le origini dei termini spesso aiutano a evocare un significato più profondo. "Dialogo" deriva dalla parola greca dialogos. Logos significa "parola" e 'dia' significa "attraverso" - non significa "due". Un dialogo può avvenire tra un numero qualsiasi di persone, non solo tra due. Persino una sola persona può avere la sensazione di un dialogo interno a se stessa, se lo spirito del dialogo è presente. La raffigurazione o l'immagine che questa origine suscita è quella di un flusso di significato che scorre fra e attraverso di noi. Ciò renderà possibile un flusso di significato nell'intero gruppo, da cui potrebbe emergere una qualche nuova visione. Sarà qualcosa di nuovo, che poteva non essere affatto presente all'inizio, qualcosa di creativo. E questo significato condiviso è la "colla" o il "cemento" che tiene insieme le persone e le società. [...] Una discussione è un po' come una partita a ping-pong, in cui le persone ribattono le idee avanti e indietro e lo scopo del gioco è vincere o guadagnare punti per se stessi.
Può darsi che si accettino le idee di qualcun altro per corroborare le proprie - si può essere d'accordo con alcuni e in disaccordo con altri -, ma il punto fondamentale resta vincere la partita. [è per questo motivo che è nato il confirmation biasl] Molto spesso è questo che accade in una discussione. In un dialogo, invece, nessuno tenta di vincere. Ciascuno vince se tutti vincono. C'è una sorta di spirito diverso. In un dialogo non si cerca di guadagnare punti, o di far prevalere la propria visione particolare. Piuttosto, quando qualcuno scopre un qualche errore tutti ne guadagnano. Si tratta di una situazione in cui tutti vincono ["win-win"], laddove nell'altro gioco c'è chi vince e chi perde ["win-lose"] - se io vinco, tu perdi. Ma un dialogo è più simile a una partecipazione comune, nella quale non stiamo giocando l'uno contro l'altro, ma l'uno con l'altro. In un dialogo tutti vincono. Ovviamente, gran parte di ciò che viene solitamente definito "dialogo" non è dialogo nel senso in cui io uso il termine. Ad esempio alle Nazioni Unite le persone hanno partecipato a eventi che spesso vengono considerati dialoghi, ma sono molto limitati. Si tratta più di discussioni - o forse di contrattazioni o di negoziazioni - che di dialoghi. Coloro che vi prendono parte non sono davvero pronti a mettere in questione  i propri assunti fondamentali. [...] Ora, perché abbiamo bisogno del dialogo? Le persone hanno difficoltà nel comunicare persino in piccoli gruppi. Ma in un gruppo di trenta o quaranta persone, molti possono trovare grandi difficoltà a comunicare a meno che non ci sia uno scopo prefissato o che qualcuno non guidi il gruppo. Perché ciò accade? Per prima cosa, ognuno possiede differenti assunti e opinioni. Si tratta di assunti "fondamentali" - non di assunti meramente superficiali - quali assunti a proposito del significato della vita, del proprio interesse personale, dell'interesse del proprio paese o dei propri interessi religiosi; insomma a proposito di ciò che veramente si ritiene importante.
Passare dalla discussione al dialogo è il salto culturale che consente di avviare in un gruppo di persone una relazione win-win, cioè una relazione in cui tutti i partecipanti vincono
Dove nasce la frammentazione in ogni dialogo
David Bohm, riguardo alla nascita della frammentazione in ogni pensiero umano, scrive (pp. 68-71):

E' importante notare che le differenti opinioni che abbiamo sono il risultato di un'attività di pensiero passata: tutte le nostre esperienze, ciò che altre persone hanno detto e quello che non hanno detto. Tutto ciò è programmato nella nostra memoria. Ci si può allora identificare con quelle opinioni e reagire allo scopo di difenderle. Ma non ha senso farlo. Se un'opinione è giusta non ha bisogno di una tale reazione. E se è sbagliata, perché mai dovremmo difenderla? [...] Il dialogo è realmente orientato a penetrare l'intero processo del pensiero e a cambiare il modo in cui il processo del pensiero avviene collettivamente. Non abbiamo ancora considerato con molta attenzione il pensiero come un processo. Ci siamo "dedicati" ai pensieri, ma abbiamo solo fatto attenzione al contenuto, non al processo. Perché mai il pensiero richiede attenzione? In realtà, qualunque cosa richiede attenzione. Se mettessimo in funzione delle macchine senza attenzione, esse potrebbero guastarsi. Anche il nostro pensiero è un processo e richiede attenzione, altrimenti finirà per funzionare male. Proverò a fornire alcuni esempi delle difficoltà del pensare, del pensiero. Una di esse è la "frammentazione", che ha origine nel pensiero - è il pensiero che fa distinzioni. Ciascuna distinzione che produciamo è il risultato del modo in cui pensiamo. In effetti, l'intero mondo è composto di ombre che si confondono in un'unità. Tuttavia, noi selezioniamo alcune cose e le separiamo dalle altre - per convenienza inizialmente, In seguito, conferiamo a questa separazione una grande importanza. Fondiamo nazioni separate, il che è un risultato del nostro pensare, e poi cominciamo ad assegnar loro un'importanza suprema. Distinguiamo anche le religioni col pensiero - le religioni separate sono interamente un risultato del modo in cui pensiamo. E nella famiglia le distinzioni sono nel pensiero: l'intera modalità di organizzazione della famiglia è dovuta al modo in cui la pensiamo. La frammentazione è una delle difficoltà del pensiero, ma vi è una radice più profonda, che consiste nel fatto che il pensiero è molto attivo, ma il processo del pensiero pensa di non star facendo nulla - di starci semplicemente dicendo come stanno le cose. Praticamente tutto ciò che ci circonda è stato determinato dal pensiero - ogni edificio, fabbrica, fattoria, strada, scuola, nazione, scienza, tecnologia, religione - qualunque cosa ci venga in mente di menzionare. L'intera questione ecologica è dovuta al pensiero, in quanto abbiamo pensato che il mondo sia qui per essere sfruttato da noi, che sia infinito e dunque, qualsiasi cosa abbiamo fatto in passato, l'inquinamento si dissolverà nel nulla. [...] Il punto è: il pensiero produce risultati, ma afferma di non averlo fatto. E questo è un problema. Il guaio è che questi risultati che il pensiero produce sono ritenuti molto importanti e di valore. Il pensiero ha prodotto la nazione e sostiene che la nazione possiede un valore estremamente alto, un valore supremo, che supera pressoché qualsiasi altra cosa. Lo stesso si può dire per la religione. Di conseguenza, la libertà di espressione è sottoposta a interferenze, perché se la nazione ha un grande valore è necessario continuare a pensare che la nazione possieda un grande valore. Quindi si deve creare una pressione a pensare in questo modo. Dobbiamo avere un impulso, ed essere sicuri che tutti abbiano ricevuto l'impulso, per continuare a pensare allo stesso modo alla nostra nazione, alla nostra religione, alla nostra famiglia, o a qualunque altra cosa cui abbiamo conferito un grande valore. E dobbiamo difenderlo. [...] Ciò che sto cercando di dire è che proprio "il pensiero è il problema". Quindi, cosa possiamo fare? Possiamo considerare due tipi di pensiero - quello individuale e  quello collettivo. Individualmente, posso pensare a diverse cose, ma gran parte del pensiero è costituita da ciò che facciamo insieme. In effetti, la maggior parte di esso proviene dal contesto collettivo. Il linguaggio è collettivo. La maggior parte dei nostri assunti fondamentali proviene dalla nostra società, compresi tutti gli assunti su come funziona la società, sul tipo di persona che siamo ritenuti essere e sulle relazioni, istituzioni e via di seguito. [...] Le persone arriveranno a formare gruppi provenendo da culture o sottoculture diverse, con assunti e opinioni diversi. E possono non rendersene conto, ma hanno una qualche tendenza a difendere reattivamente i propri assunti e le proprie opinioni persino di fronte alla prova che non sono giusti, oppure avranno semplicemente una tendenza analoga a difenderli da qualcuno che ha un'altra opinione. Se difendiamo in questo modo le opinioni, non saremo in grado di avere un dialogo. E noi difendiamo spesso inconsciamente le nostre opinioni. Di solito, non lo facciamo intenzionalmente. A volte possiamo essere consci che le stiamo difendendo, ma per lo più non lo siamo.
Come nasce il dualismo nel pensiero umano? Nasce dal fatto che il "pensiero" non è solo una soluzione, ma è anche un problema, infatti il pensiero ci permette di fare distinzioni, e qualunque distinzione opera una separazione. Dopo aver pensato un po' ci troviamo all'interno di un mondo frammentato, e ad alcune parti che abbiamo separato dalle altre attribuiamo ormai un grande valore, ad esempio la nostra nazione, la nostra religione, la nostra famiglia, ecc. ecc.
I problemi creati dalla mancanza di "propriocezione" del pensiero
David Bohm, riguardo ai problemi creati dal fatto che al pensiero manca la propriocezione, cioè la valutazione delle conseguenze, egli scrive (pp. 87-90):

Torniamo indietro all'affermazione secondo cui ciò che non va a proposito del pensiero è fondamentalmente che esso fa delle cose e poi sostiene o insinua di non averle fatte - che esse hanno avuto luogo indipendentemente e che costituiscono "problemi", Al contrario, ciò che dovreste fare davvero è smettere di pensare in quel modo, così da smettere  di creare quel problema. Il "problema" resta irrisolvibile finché continuate a riprodurlo in continuazione attraverso il vostro pensiero. Il pensiero dev'essere in un certo senso consapevole delle proprie conseguenze e, al momento, il pensiero non è sufficientemente cosciente delle  proprie conseguenze. Ciò si connette a qualcosa di simile che in neurofisiologia è definito "propriocezione". Il corpo può percepire il proprio movimento. Quando muovete il corpo, conoscete la relazione tra intenzione e azione. L'impulso a muoversi e il movimento sono visti in connessione. Se non abbiamo tale connessione, il corpo non funziona. [...] La domanda è: il pensiero può essere propriocettivo? Di solito non siete consapevoli di avere l'intenzione di pensare. Pensate perché avete intenzione di pensare. Ciò deriva dall'idea che pensare è necessario, che c'è un problema. Se guardate attentamente, vi accorgerete di un'intenzione di pensare, un impulso a pensare. Poi viene il pensiero, e il pensiero può dare luogo a una sensazione, la quale potrebbe dare origine a un'altra intenzione di pensare, e così via. [...] Potremmo dire che praticamente tutti i problemi della specie umana sono dovuti al fatto che il pensiero non è propriocettivo. Il pensiero crea costantemente problemi per questo motivo e poi tenta di risolverli. Ma mentre prova a risolverli fa peggio, perché si rende conto che li sta creando, e più pensa, più problemi crea, perché non è propriocettivo di ciò che sta facendo. [...] L'oggetto di un dialogo non è analizzare le cose, o aggiudicarsi una discussione, o scambiare opinioni. Piuttosto si tratta di di sospendere le vostre opinioni e osservare le opinioni - ascoltare le opinioni di ognuno, sospenderle, e vedere cosa significhi tutto ciò. Se riusciamo a vedere cosa significano tutte le nostre opinioni, allora stiamo 'condividendo un contenuto comune', anche se non siamo del tutto d'accordo. Potrebbe accadere che le opinioni non siano poi così importanti - sono tutti assunti.
David Bohm ha scritto : "Potremmo dire che praticamente tutti i problemi della specie umana sono dovuti al fatto che il pensiero non è propriocettivo. Il pensiero crea costantemente problemi per questo motivo e poi tenta di risolverli. Ma mentre prova a risolverli fa peggio, perché si rende conto che li sta creando, e più pensa, più problemi crea, perché non è propriocettivo di ciò che sta facendo."
Conclusioni (provvisorie): nelle conversazioni sane, se vogliamo che siano felici, occorre gettare la maschera, ed essere ciò che intimamente siamo: il nostro "vero sè"
Ogni bambino cresce immerso nella voce della madre
La conversazione con un'altra persona è un'attività che facciamo quotidianamente, ma spesso ci costringe a chiederci "cosa" la rende difficile. Veniamo spesso indispettiti dalla difficoltà di intrattenere una "buona conversazione", soprattutto con le persone care (un familiare, un amico/a, un partner). Se la conversazione avviene invece con degli sconosciuti ci sorprende l'incontro con parlatori compulsivi, o narcisisti, ansiosi, nevrotici o sociopatici, e cerchiamo di modificare rapidamente il nostro stile conversazionale o di sottrarci alla conversazione. Come mai l'essere umano impara molto presto a parlare correttamente dal punto di vista sintattico e grammaticale, ma scorrettamente dal punto di vista sociale? E come mai impara subito a mentire verbalmente? La conversazione nasce quando ogni madre si rivolge al suo bambino e lì accade un fenomeno mentale sorprendente, che lo psicoanalista Donald Winnicott ha ipotizzato, cioè il bambino si rende conto, inconsciamente, che non gli conviene dire alla madre tutto ciò che egli desidera ma che, per conservare l'amore della madre, egli deve rapidamente imparare a mentire. Quello è il periodo nella vita di ogni bambino (indicativamente dalla nascita ai 18 mesi) in cui egli sta formando il suo sé e matura la percezione che ottiene maggiore attenzione dalla madre se accetta "verbalmente" i suoi desideri. Secondo Donald Winnicott il linguaggio "scinde" il Sé del bambino facendo sì che il Sé verbale ("falso Sé") e il Sé esistenziale ("vero Sé") possano essere molto distanti. Prima di acquisire il linguaggio il bambino può solo vivere la realtà percepita dai sensi, invece, dopo aver acquisito la capacità linguistica e il relativo pensiero simbolico, il bambino può distorcere e trascendere la realtà, nel bene e nel male.
Negli anni '50 del Novecento, importanti studiosi cibernetici quali Gregory Bateson e Paul Watzlavick hanno condotto studi sugli scambi comunicativi umani e robotici. Lo sviluppo di Intelligenza artificiale e robotica, probabilmente aumenteranno l'importanza di questa prospettiva. Il cibernetico Gordon Pask ha proposto che, il processo di apprendimento avvenga mediante un accordo consensuale di attori interagenti in un dato ambiente ("conversazione"), ma si tratta di in processo ideale che non tiene conto di emozioni e predisposizioni mentali.
Secondo la linguistica novecentesca ( John Austin, Paul Grice, Dan Sperber, Deirdre Wilson, ed Emile Benveniste), ogni conversazione tra due soggetti si basa su un'intenzione comunicativa di un parlante (soggetto1) verso un ascoltatore (soggetto2). Lo scopo del parlante è quello di agire sul sistema cognitivo dell'ascoltatore, mentre lo scopo dell'ascoltatore è quello di cogliere le intenzioni del parlante. Quando la conversazione è "sana" deve produrre un'informazione "pertinente", cioè un'informazione che modifica o migliora la rappresentazione che il ricevente ha del mondo.
Per costruire il significato di un incontro relazionale, non bastano grammatica e sintassi, ma occorre aggiungere tutti gli elementi riguardanti il contesto sociale in cui avviene la conversazione che mancano al linguaggio. Ciò viene fatto dall'analisi del discorso.
Molti problemi nella vita e nelle conversazioni umane possono derivare da deficit dell'intelligenza emotiva. La persona emotivamente intelligente è piacevole da frequentare e lascia che anche gli altri si sentano meglio. Ciò significa che la qualità delle conversazioni che una persona emotivamente intelligente intrattiene è elevata perchè l'interlocutore si sente meglio dopo aver conversato con essa. La persona emotivamente intelligente, tuttavia, non cerca il piacere a tutti i costi. Quando conversiamo con qualcuno, ci rendiamo conto della qualità del dialogo che stiamo sperimentando e, a volte, ci troviamo costretti ad ammettere che la persona con cui parliamo ha qualche problema mentale. Lo psicoanalista Jacques Lacan ha riassunto tali problemi nel distinguere, in una relazione intersoggettiva, tra "parola piena" e "parola vuota". Semplificando, si tratta di termini che, secondo Lacan, indicano la sanità di un dialogo e quindi di una relazione. Quando ci si pone, nei confronti del proprio interlocutore, con il desiderio di riconoscerlo come "Altro", cioè diverso da noi, dobbiamo aver voglia di capirne le differenze (e magari di apprezzarle, ma non è detto). Quando invece, ci si pone nella relazione solo con le proprie certezze narcisistiche, non è possibile alcuno scambio (o tentativo di scambio), e le parole che scambiamo diventano vuote.
Le maschere indossate dalle persone durante i rapporti sociali equivalgono al "falso sé" ipotizzato dallo psicoanalista Donald Winnicott, cioè a quelle maschere di convenienza che ognuno di noi indossa per gestire al meglio le proprie relazioni (sentimentali, professionali, amicali, ecc.). Nelle comunicazione interpersonali alle quali assistiamo ma nelle quali non siamo coinvolti, se osserviamo attentamente possiamo osservare la differenza tra comportamenti verbali e non verbali. Come ha scritto lo psicoanalista Daniel Stern: "Chi parla ha bisogno di una forma di comunicazione che sia ritrattabile. Esprimere ostilità, sfidare la competenza altrui, ovvero esprimere amicizia o affetto in modo tale da poterlo poi negare può rappresentare un vantaggio dal punto di vista della responsabilità." I comportamenti non verbali sono ritrattabili, di quelli verbali si è responsabili.
Per essere socialmente intelligenti dobbiamo essere consapevoli della situazione in cui ci troviamo, presenti con gli altri e nei contesti, autentici rispetto al nostro vero sé, chiari con le nostre parole usando parole nutrienti invece di parole tossiche, ed empatici con il nostro ambiente esterno e con coloro che lavorano con noi in esso. Questi sono i consigli comportamentali del consulente aziendale Karl Albrecht che ha scritto: "Il nostro mondo esterno (sociale) è costituito da più contesti che si verificano simultaneamente: il contesto semantico, il contesto comportamentale, il contesto politico e il contesto culturale. Inoltre, tutte le professioni e le organizzazioni hanno sottoculture, norme, valori, codici di condotta, gerarchia, sistemi e conflitti che esistono tutti nella loro relazione con le dinamiche di potere." La capacità di ascolto è una dote fondamentale per ogni buon conversatore, il formatore manageriale Mike Crandall ha suddiviso gli ascoltatori in quattro categorie, sulle quali è opportuno concentrarsi al fine di impostare la propria strategia comunicativa: ascoltatori attivi, passivi, competitivi, combattivi.
Secondo Karl Albrecht il segreto per essere dei buoni conversatori consiste nel monitorare ed equilibrare tre elementi della comunicazione: espressioni dichiarative, domande e condizionali.  L’esperienza di avere a che fare con conversatori poco abili può essere riassunta in queste brevi testimonianze:

  • “Parla sempre di sé stesso, di quello che sta facendo, di quello che gli interessa, di quelle che sono le sue idee”
  • “Mi dà costantemente delle lezioni. Non chiede mai quello che penso”
  • “Non è possibile non essere d’accordo con lui. Lo lascio semplicemente esporre e poi cerco solo di cambiare argomento.”
  • “Ha un’opinione su tutto e ve la darà, sia che voi la chiediate o meno.”

Una conversazione con il 100% di dichiarazioni (la maggior parte delle quali sono in realtà opinioni) non è certo un buon biglietto da visita per chi sia interessato a diventare un efficace conversatore. Celeste Headlee dà dieci consigli per essere buoni conversatori:
  • Non essere multitasking. Sii presente. Sii in quel momento.
  • Non pontificare. Se vuoi esprimere la tua opinione senza alcuna opportunità di risposta o discussione, opposizione o crescita, scrivi a un blog.
  • Usa domande aperte. Inizia le tue domande con chi, cosa, quando, dove, perché o come. Se metti una domanda complicata, otterrai una risposta semplice
  • Segui la corrente. Segui il tema della conversazione
  • Non equiparare la tua esperienza alla loro. Non è lo stesso. Non è mai lo stesso. Tutte le esperienze sono individuali.
  • Se non lo sai, dì che non lo sai.
  • Cerca di non ripeterti.
  • Stai lontano dalle erbacce. Francamente, alla gente non interessano gli anni, i nomi, le date, tutti quei dettagli che stai lottando per trovare nella tua mente. A loro non importa. Quello che gli interessa sei tu.
  • Ascolta. La maggior parte di noi non ascolta con l'intenzione di capire. Ascoltiamo con l'intento di rispondere.
  • Sii breve. Tutto questo si riduce allo stesso concetto di base, ed è questo: essere interessati alle altre persone.
Quando, in una situazione lavorativa, familiare, associativa, politica, ecc. si percepisce un disagio e un senso di generale insoddisfazione (o quando lo stesso disagio si presenta nel corso di una conversazione insoddisfacente), e si avverte di non riuscire a risolverlo con le proprie forze, probabilmente è presente un conflitto con le inclinazioni personali. Se il "falso Sé" dell'adulto ha completamente forgiato il suo modo di relazionarsi con gli altri non resta che rivolgersi a uno/a psicoterapeuta. Ma questo è un caso estremo, infatti nella maggior parte dei casi, il "falso Sé" crea solo lievi sensi di colpa che non consentono al soggetto di sottrarsi alle richieste degli altri. In questi casi occorre imparare a dire no, cioè a diventare 'assertivi '. Ma cos'è l'assertività? Il termine deriva  dal latino "asserere" e dall'italiano "asserire" con il significato di affermare, sostenere con vigore. Gli psicologi Roberto Anchisi e Mia Gambotto Dessy danno, nel libro "Manuale di assertività", questa definizione (p. 21):

L'assertività è la caratteristica di chi realizza se stesso, manifestando le proprie doti e le proprie esigenze nel contesto sociale, ma senza ritenersi coincidente con esse: tutto ciò che appartiene al mondo dell'esperienza è mutevole, mentre solo l'Io è immutabile.

Sembra quindi che l'assertività sia una forma di cultura che, secondo Anchisi e Dessy (pp.24-59), "non dobbiamo cambiare la nostra personalità, ma migliorare il nostro stile" si associa agli sviluppi più recenti della ricerca scientifica nell'ambito della psicoterapia, cioè l'ACT (Acceptance and Committment Therapy).

Il contributo della Poesia
Una poesia di Amelia Rosselli recita: Conversazioni! infelicità che si spreme ad essere quel che non vorrei, fingendo d'essere quel che semmai potrei.
Anche se non sempre è possibile (nè conveniente), Amelia Rosselli ci invita ad abbandonare il nostro "falso sé" nelle conversazioni, affinchè esse non siano infelici. Ci invita, cioè a gettare la maschera che abbiamo indossato per quella conversazione, e ad essere ciò che intimamente siamo: il nostro "vero sè".
per scaricare le conclusioni (in pdf):
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              a chi è interessato alla relazione tra linguaggio, dialogo, frammentazione e dualismo
              Spesa annua pro capite in Italia per gioco d'azzardo 1.583 euro, per l'acquisto di libri 58,8 euro (fonte: l'Espresso 5/2/17)

              Pagina aggiornata il 9 ottobre 2024

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