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Coloro cui sfugge completamente l'idea che è possibile aver torto non possono imparare nulla, tranne la tecnica. (Gregory Bateson)
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Mindfulness: la meditazione ricorre al "momento presente" per allontanare la mente dal disagio del passato e del futuro. Inoltre incrementa intelligenza ed empatia. Ed agendo sull'amigdala riduce lo stress
TEORIE > CONCETTI > QUANTISTICA2
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Una caratteristica spesso trascurata della mente umana è la sua propensione a vagare. Il vagabondaggio della mente si attua in una serie di regioni corticali che sono attive quando il cervello è a riposo, cioè quando non è impegnato in un compito cognitivo specifico. Tali aree sono state denominate "Default Mode Network" (DMN). Secondo uno studio condotto dagli psicologi Matthew A. Killingsworth e Daniel T. Gilbert, le persone passano il 46,9 per cento del loro tempo di veglia pensando a qualcosa di diverso da ciò che stanno facendo. Questo "vagare" del pensiero, indipendente da stimoli, sembra essere la modalità di default della mente, che ha consentito grandi vantaggi evolutivi quali l'apprendimento, il ragionamento, la pianificazione, la creatività e tanti altri (e di questi aspetti scrive lo psicologo Michael Corballis nel libro "La mente che vaga"). Tuttavia esso può avere dei pesanti costi emotivi, come hanno evidenziato le psicologhe Sonja Lyubomirsky e Susan Nolan-Hoeksema. Infatti, quando l'oggetto delle divagazioni sono elaborazioni autoreferenziali focalizzate su se stessi, allora il pensiero ripetitivo e la predilezione per stati d'animo negativi provoca ciò che la Lyubomirsky e la Nolan-Hoeksema hanno denominato "ruminazione". Ci sono persone nelle quali questa tendenza a "ruminare" diventa un tratto stabile della loro personalità, portandole verso fenomeni depressivi più o meno gravi. Era noto da tempo ai neuroscienziati che l'attività cerebrale non si ferma mai, ma solo nel 2001 il neuroscienziato Marcus Reichle riuscì a registrare l'attività cerebrale in varie condizioni. Come abbiamo visto, in assenza di compiti che richiedono attenzione deliberata la nostra mente tende a vagare, passando da un pensiero all'altro con fluidità, e come mostrato dagli studi degli psicologi Malia Mason et Al., questo vagabondaggio mentale segue dei percorsi neurali che costituiscono una modalità di base (chiamata Default Network) che si attenua quando l'attenzione della mente viene richiamata a un compito specifico. Le ricerche di Norman Farb si sono concentrate sul confronto neuronale di due tipi di focus attenzionale: (1) Focus narrativo: associato a esperienze nel tempo che seguono un percorso neurale posto nella corteccia mediale prefrontale (2) Focus esperienziale: associato all'esperienza somatica (basata sull'attenzione al corpo e al respiro) del "momento presente". Scrive lo psicologo Jon Kabat Zinn nel libro "La meditazione come medicina": "L'addestramento del MBSR [un protocollo meditativo Mindfulness di otto settimane] si risolse in riduzioni marcate e pervasive dell'attività dei circuiti associati con il focus narrativo e un'aumentata attivazione della rete associata con il focus esperienziale. Ciò suggerisce che queste due forme molto diverse di auto referenzialità, che spesso avvengono in contemporanea, possono essere separate attraverso l'addestramento alla mindfulness, una scoperta che potrebbe essere di importanza clinica per allentare la presa di narrazioni egocentriche associate alla ruminazione mentale depressiva e ad altre abitudini inconsce di preoccupazione per se stessi e assorbimento in se stessi che causano e amplificano la sofferenza." La meditazione mindfulness è: "creare un ambiente dove la gente possa imparare a rallentare nella vita - o forse anche a fermarsi - e familiarizzare con il calmare il corpo, osservando che cosa succede sia nel corpo sia nella mente e coltivando una certa sorta di intimità con il momento presente così com'è. Tra l'altro iniziano a venir fuori evidenze neuroscientifiche (vedi bibliografia Sara Lazar) che riguardano una riduzione dell'attività dell'amigdala durante la meditazione che portano a una riduzione del cortisolo, e inoltre un ispessimento di diverse parti della materia grigia che consentono di immaginare un benefico ricablaggio dei percorsi neurali dovuto alla meditazione, ottenuto in poche settimane. Viviamo per lo più nel futuro, preoccupandoci o pianificando, o nel passato, ricordando cose accadute prima e a volte deformandole del tutto." Meditate gente...meditate...
pensieri vaganti
My mind starts to wander and I'm sick
Punto chiave di questa pagina
Lazar:  Il primo studio ha esaminato i meditatori a lungo termine rispetto a un gruppo di controllo. Abbiamo scoperto che i meditatori a lungo termine hanno una maggiore quantità di materia grigia nell’insula e nelle regioni sensoriali, nella corteccia uditiva e sensoriale. Il che ha senso. Quando sei consapevole, presti attenzione al tuo respiro, ai suoni, all'esperienza del momento presente e spegni la cognizione. È ovvio che i tuoi sensi sarebbero migliorati. Abbiamo anche scoperto che avevano più materia grigia nella corteccia frontale, che è associata alla memoria di lavoro e al processo decisionale esecutivo. È ben documentato che la nostra corteccia si restringe man mano che invecchiamo: è più difficile capire e ricordare le cose. Ma in questa regione della corteccia prefrontale, i meditatori di 50 anni avevano la stessa quantità di materia grigia dei meditatori di 25 anni. Quindi la prima domanda era: forse le persone con più materia grigia nello studio ne avevano più prima di iniziare a meditare. Quindi abbiamo fatto un secondo studio. Abbiamo preso persone che non avevano mai meditato prima e abbiamo sottoposto un gruppo a un programma di riduzione dello stress basato sulla consapevolezza di otto settimane.

Domanda del Washington Post: Cos'hai trovato?
Abbiamo riscontrato differenze nel volume del cervello dopo otto settimane in cinque diverse regioni del cervello dei due gruppi. Nel gruppo che ha imparato la meditazione, abbiamo riscontrato un ispessimento in quattro regioni:

1. La differenza principale l'abbiamo trovata nel cingolato posteriore, che è coinvolto nel vagare della mente e nell'importanza personale

2. L'ippocampo sinistro, che aiuta nell'apprendimento, nella cognizione, nella memoria e nella regolazione emotiva

3. La giunzione tempo parietale, o TPJ, che è associata all'assunzione di prospettiva, all'empatia e alla compassione.

4. Un'area del tronco cerebrale chiamata ponte, dove vengono prodotti molti neurotrasmettitori regolatori

5. L'amigdala, la parte del cervello che combatte o scappa, importante per l'ansia, la paura e lo stress in generale. Quell’area è diventata più piccola nel gruppo che ha seguito il programma di riduzione dello stress basato sulla consapevolezza. Il cambiamento nell’amigdala è stato correlato anche ad una riduzione dei livelli di stress.

Domanda: Quindi quanto tempo bisogna meditare prima di iniziare a vedere i cambiamenti nel proprio cervello?
Lazar: I nostri dati mostrano cambiamenti nel cervello dopo sole otto settimane.
In un programma di riduzione dello stress basato sulla consapevolezza, i nostri soggetti hanno seguito una lezione settimanale. È stata data loro una registrazione e è stato detto loro di esercitarsi per 40 minuti al giorno a casa. E questo è tutto.
Domanda: Quindi, 40 minuti al giorno?
Lazar: Beh, era molto variabile nello studio. Alcune persone praticavano 40 minuti praticamente ogni giorno. Alcune persone si esercitavano di meno. Alcuni solo un paio di volte a settimana.
Nel mio studio, la media era di 27 minuti al giorno. O circa mezz'ora al giorno.
Non ci sono ancora dati attendibili su quanto qualcuno debba esercitarsi per trarne beneficio.
Gli insegnanti di meditazione te lo diranno, anche se non c'è assolutamente alcuna base scientifica a riguardo, ma i commenti aneddotici degli studenti suggeriscono che 10 minuti al giorno potrebbero avere qualche beneficio soggettivo. Dobbiamo testarlo.
Stiamo appena iniziando uno studio che, si spera, ci permetterà di valutare quale sia il significato funzionale di questi cambiamenti. Studi condotti da altri scienziati hanno dimostrato che la meditazione può aiutare a migliorare l’attenzione e le capacità di regolazione delle emozioni. Ma la maggior parte non erano studi di neuroimaging. Quindi ora speriamo di unire la scienza comportamentale e quella del neuroimaging.
Punti di riflessione
Il cervello non è solo una macchina per pensare, e il corpo non è là per muoversi. (Anil Seth)
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Sappiamo quale emozione stiamo vivendo in un dato momento solo grazie alle nostre sensazioni interocettive. (Kelly Mahler)
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Il radicamento nel singolo corpo è [per l'uomo] il prezzo da pagare per accedere a qualsiasi esperienza qualitativa. (Gerald Edelman, Giulio Tononi)
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La gente spesso dice che questa o quella persona non ha ancora trovato se stessa. Ma 'se stessi' non è qualcosa che si trova, è qualcosa che uno si crea. (Thomas Szasz)
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Sembra che siamo programmati per alternare divagazione mentale e attenzione, e che le nostre menti siano disegnate per vagare, che la cosa ci piaccia o meno. Per adattarci a un mondo complesso abbiamo bisogno di fuggire dall'hinc et nunc, considerare futuri possibili, rimuginare sugli errori passati, comprendere come funzionano le menti degli altri. Il vagare con la mente è soprattutto fonte di creatività, la scintilla dell'innovazione che porta nel lungo periodo a una crescita del benessere, piuttosto che a una sua diminuzione. (Michael Corballis)
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Molti sistemi biologici periferici esistono all'interno di una rete di connessioni neurali ed endocrine che mediano l'influenza del cervello sulla funzione biologica periferica. Connessioni dal corpo al cervello sono bidirezionali nella maggior parte di questi sistemi. Questa disposizione anatomica e funzionale permette alla mente di influenzare il corpo e viceversa. La meditazione è una forma di addestramento mentale che coinvolge la volontaria alterazione di schemi di attività neurale e può avere effetti sulla biologia periferica attraverso questi meccanismi. (Richard Davidson)
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Ciò che cerchiamo di fare è di creare un ambiente dove la gente possa imparare a rallentare nella vita - o forse anche a fermarsi - e familiarizzare con il calmare il corpo, osservando che cosa succede sia nel corpo sia nella mente e coltivando una certa sorta di intimità con il momento presente così com'è. Viviamo perlopiù nel futuro, preoccupandoci o pianificando, o nel passato, ricordando cose accadute prima e a volte deformandole del tutto. (Jon Kabat-Zinn)
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La meditazione, o addestramento mentale, è in grado di modificare le reti neurali e di coordinare le oscillazioni nelle regioni del cervello. La meditazione è uno strumento molto potente. Regola le funzioni neuroendocrine, ormoni che hanno possenti effetti su praticamente ogni sistema del corpo. Abbiamo imparato che la meditazione accresce la consapevolezza e l'impegno e potenzialmente aumenta il benessere migliorando il sistema immunitario. Può di fatto limitare le malattie. (Ralph Snyderman da "La meditazione come medicina p. 220)
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L'impatto dell'interocezione si estende oltre i riflessi omeostatici/allostatici: si propone che esso sia fondamentale per la motivazione, l'emozione (sentimenti affettivi e comportamenti), cognizione sociale e autocoscienza. Questa visione è supportata da un corpo crescente di prove sperimentali che collegano le funzioni fisiologiche periferiche ai processi mentali. (Manos Tsakiris, Hugo Critchley)
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Ho migliorato le mie capacità di ascolto. Riesco a rimanere concentrato sull'importante piuttosto che sull'urgente, mantenendo un atteggiamento calmo, rilassato e ottimista e non sono più distratto o infastidito dalle piccole cose. (Dave Gray)
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Uno studio condotto dalla neuroscienziata Sara Lazar, nel 2005, organizzato dal Max Planck Institute, ha scansionato il cervello di un gruppo di praticanti che dedicavano ogni giorno dai 30 ai 50 minuti per la pratica della Meditazione. Lo studio è durato alcuni mesi e i soggetti, maschi e femmine, sono stati scelti in età tra i 25 e i 60 anni. I risultati furono sorprendenti e inequivocabili. Nei soggetti che praticavano meditazione, rispetto ad un analogo gruppo sperimentale di persone simili ma non praticanti, si riscontrò un evidente aumento della materia grigia, principalmente nell’area frontale del cervello, con un accrescimento del potenziale mnemonico e di una velocizzazione dei processi decisionali. Fu osservato anche un aumento della capacità empatica e di comprensione delle altre persone. (Sara Lazar al.)
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L’amigdala è coinvolta nella regolazione dell’ansia, dell’aggressività, delle risposte allo stress, dei ricordi legati alle emozioni e della cognizione sociale. È coinvolta nell’attivazione della risposta “combatti o fuggi”, influenzando come reagiamo a situazioni potenzialmente pericolose. Sebbene ciò sia adattativo e ci aiuti a rimanere al sicuro, può diventare disregolato e portare a una risposta iperattiva. Coloro che hanno un’amigdala iperattiva possono percepire queste risposte anche quando non sono in pericolo. Ciò può essere stressante ed esauriente. Poiché l’amigdala è collegata a ricordi emotivi oltre che alle emozioni attuali, è coinvolta nei cosiddetti “flashbulb memories” o ricordi vividi e dettagliati di eventi sorprendenti e emotivamente significativi o momenti storici. (Interterapia)
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Come può qualcosa così semplice come una posizione yoga o lo star seduto a osservare il proprio respiro, come può qualcosa del genere portare a tutti questi diversi tipi di cambiamento? Quello che sappiamo è che, quando si ripete un comportamento più e più volte, questo può portare a cambiamenti nel cervello. Questo è ciò che viene chiamato plasticità cerebrale. Che significa semplicemente che il cervello è plastico e che i neuroni possono modificare, con l’esperienza, il modo in cui comunicano tra di loro. (Sara Lazar)
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Gli effetti sull’amigdala sono particolarmente interessanti, perché studi condotti su roditori posti sotto stress hanno rilevato un aumento nella dimensione dell’amigdala per effetto di tensioni continuative. In condizioni di forte stress e paura, questa parte del cervello tende ad aumentare le sue dimensioni. Questo è significativo, perché l’importanza dell’amigdala è rilevante nella nostra vita. (Andrea Di Terlizi)
Il vagare della mente è la causa dello stato di insoddisfazione e di infelicità delle persone. In un esperimento fatto su 2250 volontari la mente vagava nel 46,9% dei campioni e non scendeva mai al di sotto del 30% durante ogni attività tranne quando facevano l'amore
Il problema della mente che vaga e i pensieri ruminativi (una mente che vaga è una mente infelice)
Una caratteristica spesso trascurata della mente umana è la sua propensione a vagare. Secondo uno studio condotto dagli psicologi Matthew A. Killingsworth e Daniel T. Gilbert (vedi bibliografia 2010), le persone passano il 46,9 per cento del loro tempo di veglia pensando a qualcosa di diverso da ciò che stanno facendo. Questo "vagare" del pensiero, indipendente da stimoli, sembra essere la modalità di default della mente, che ha consentito grandi vantaggi evolutivi quali l'apprendimento, il ragionamento, la pianificazione, la creatività e tanti altri (e di questi aspetti scrive lo psicologo Michael Corballis nel libro "La mente che vaga").


Tuttavia esso può avere dei pesanti costi emotivi, come hanno evidenziato le psicologhe Sonja Lyubomirsky e Susan Nolan-Hoeksema (vedi bibliografia 1995). Infatti, quando l'oggetto delle divagazioni sono elaborazioni autoreferenziali focalizzate su se stessi, allora il pensiero ripetitivo e la predilezione per stati d'animo negativi provoca ciò che la Lyubomirsky e la Nolan-Hoeksema hanno denominato "ruminazione". Ci sono persone nelle quali questa tendenza a "ruminare" diventa un tratto stabile della loro personalità, portandole verso fenomeni depressivi più o meno gravi (vedi bibliografia 1993 Nolen-Hoeksema).
I risultati dello studio sperimentale (su 2250 volontari) di Killingsworth e Gilbert confermano che il vagare della mente è la causa dello stato di insoddisfazione e di infelicità delle persone. Essi scrivono che, durante l'esperimento:


Le menti delle persone vagavano spesso, a prescindere da ciò che stavano facendo. La mente vagava nel 46,9% dei campioni e non scendeva mai al di sotto del 30% durante ogni attività tranne quando facevano l'amore. Sorprendentemente, la natura delle attività delle persone ha avuto solo un impatto modesto sul vagare delle loro menti e quasi nessun impatto sulla piacevolezza delle attività che svolgevano.


La vita mentale dell'essere umano si fonda su un'architettura neurale formatasi in milioni di anni. Scrive lo psicologo Daniel Goleman nel libro "Intelligenza emotiva" (p.22):


Se parliamo in termini di biologia dei fondamentali circuiti neurali dell'emozione, dobbiamo ammettere che quelli di cui siamo dotati sono i meccanismi rivelatisi più funzionali nelle ultime cinquantamila generazioni umane - si badi bene, non nelle ultime cinquemila, e meno che mai nelle ultime cinque. Le forze che hanno plasmato le nostre emozioni, forze evolutive, lente e ponderate, hanno impiegato un milione di anni per compiere il loro lavoro; nonostante gli ultimi diecimila anni siano stati testimoni della rapida ascesa della civiltà e dell'esplosione della popolazione umana da cinque milioni a cinque miliardi di anime, essi hanno tuttavia lasciato pochissime tracce nella matrice biologica della vita emotiva umana.


I pensieri autoreferenziali possono essere di due tipi: duraturi (cioè con un focus narrativo costante, NF) o temporanei (con un focus esperienziale, EF). Il neurofisiologo Norman Farb (vedi bibliografia 2007), ha sottoposto a risonanza magnetica funzionale (fMRI) due gruppi di persone: il primo gruppo senza esperienze di meditazione, e il secondo gruppo con esperienze di partecipazione a un corso di 8 settimane di meditazione consapevole (Mindfulness). Scrive Norman Farb:


La meditazione di consapevolezza è una forma di allenamento al controllo dell'attenzione attraverso la quale gli individui sviluppano la capacità di dirigere e mantenere l'attenzione verso il momento presente (Kabat-Zinn et al., 1992; Segal et al., 2002). Il nostro studio ha esaminato le persone con training di meditazione mindfulness (MT) in aggiunta a un gruppo di novizi senza tale formazione, nel tentativo di determinare se il gruppo MT mostrasse una maggiore capacità di liberarsi dalla generazione narrativa e rivelare le reti neurali che supportano l'autocoscienza centrata sul presente.
Il vagare della mente causa lo stato di insoddisfazione e di infelicità di molte persone. Allora perché la maggior parte delle persone, secondo uno studio limitato a poche migliaia di soggetti, passano il 46,9 per cento del loro tempo di veglia pensando a qualcosa di diverso da ciò che stanno facendo? Il motivo è che, secondo lo psicologo Michael Corballis, il vagare della mente ha portato a immumerevoli vantaggi all'evoluzione umana, quali: creatività, apprendimento, ragionamento, ecc.
Il metabolismo del cervello e la scoperta della Default Mode Network
Era noto da tempo ai neuroscienziati che l'attività cerebrale non si ferma mai, ma solo nel 2001 il neuroscienziato Marcus Reichle riuscì a registrare l'attività cerebrale in varie condizioni (vedi bibliografia 2007). Scrive Richard Davidson nel libro "La meditazione come cura" (pp. 176-177):


Le osservazioni  di Reichle confermavano un fatto misterioso che era già noto da tempo nel campo della scienza del cervello: che quest'ultimo, pur costituendo solo il 2 per cento della massa corporea, consuma circa il 20 per cento dell'energia metabolica del corpo (misurata in base all'uso di ossigeno), e che il suo consumo di ossigeno rimane più o meno costante a prescindere da quello che stiamo facendo (incluso il non fare assolutamente nulla).  A quanto pare, il cervello rimane sempre indaffarato allo stesso modo, sia che ci stiamo rilassando sia che stiamo compiendo uno sforzo mentale. Dove si trovano, quindi, tutti quei neuroni che chiacchierano tra di loro mentre noi non facciamo nulla di particolare? Reichle identificò una serie di aree, tra cui soprattutto la mPFC (medial prefrontal cortex, o corteccia prefrontale mediale) e la PCC (posterior cingulate cortex, o corteccia cingolata posteriore), un nodo connesso al sistema limbico, e chiamò questi circuiti la "rete della modalità di default" (default mode network) del cervello.

Uno studio di un gruppo di ricercatori guidati dall'antropologo Christopher Kuzawa, suggerisce che: "il nostro organismo, nell'infanzia,  non riesce a crescere velocemente quanto gli altri mammiferi a causa delle enormi risorse richieste per alimentare il cervello umano in via di sviluppo”. Pare che la nostra specie abbia sviluppato un metabolismo veloce per sopperire alle enormi richieste energetiche del cervello a spese della crescita corporea.
Inoltre il sonno è il costo che l'organismo deve pagare per "resettare" il cervello fortemente sollecitato dalla veglia, infatti esperimenti hanno mostrato che il volume delle spine dendritiche e delle sinapsi aumenta di circa il 20% quando il cervello è cosciente.
Pro e Contro della Default Mode Network
Il vagabondaggio della mente si attua in una serie di regioni corticali che sono attive quando il cervello è a riposo, cioè quando non è impegnato in un compito cognitivo specifico. Tali aree sono state denominate "Default Mode Network" (DMN). Scrive la psicologa Malia Mason (vedi bibliografia):

In assenza di un compito che richiede elaborazione deliberativa, la mente tende generalmente a vagare, passando da un pensiero all'altro con fluidità e facilità. Data la natura onnipresente di questo fenomeno, è stato suggerito che il vagabondaggio mentale costituisce una linea di base psicologica da cui le persone partono quando l'attenzione è richiesta altrove e alla quale ritornano quando i compiti non richiedono più una supervisione cosciente.

Lo psicologo Randy Buckner (vedi bibliografia) ha ipotizzato che la creazione della Default Mode Network nel cervello umano sia un risultato adattivo volto alla sopravvivenza, infatti essa permetteva (e permette) di esplorare gli eventi passati per creare o simulare scenari e aspettative future, e lo fa in un momento in cui il cervello non è impegnato in compiti che richiedono una forte attenzione.
Purtroppo, secondo vari ricercatori tra i quali il neuroscienziato Judson Brewer (vedi bibliografia), il vagabondaggio mentale ha degli effetti collaterali che lo mettono in correlazione con l'infelicità e con l'attivazione dell'elaborazione autoreferenziale, quindi con vari disturbi che vanno dall'ansia al deficit di attenzione e iperattività (ADHD) fino alla malattia di Alzheimer.
La creazione della Default Mode Network nel cervello umano sembra un risultato adattivo volto alla sopravvivenza, infatti essa permette di esplorare gli eventi passati per creare o simulare scenari e aspettative future, e lo fa in un momento in cui il cervello non è impegnato in compiti che richiedono una forte attenzione
Il cervello sia a riposo (nella Default Mode Network), sia quando impegnato in un compito specifico
Default Mode Network di un individuo a riposo (area blu). Salience Network per raccoglie informazioni dai sensi e attiva il sistema limbico (area gialla). Central-Executive Network per la risoluzione di un problema specifico con l'attivazione di varie parti neocorticali (area rossa).
Un modello metaforico della mente
Il filosofo e coach Dave Gray ha ipotizzato un modello metaforico della mente come se fosse guidata da un bizzarro team, disfunzionale e goffo, composto da una scimmia (la coscienza, dislocata nella corteccia pre-frontale), un elefante (l'inconscio, dislocato nella Default Mode Network) e una lucertola (l'apparato emotivo, dislocato nel sistema limbico).

Egli scrive:

La scimmia pensa di essere al comando, ma in realtà l'elefante praticamente va dove vuole. Se la scimmia riesce a comunicare nel linguaggio che l'elefante comprende (come immagini mentali vivide, storie e metafore), allora l'elefante sentirà e capirà. La scimmia parla costantemente, a volte con gli altri, ma soprattutto a se stesso, e una delle cose che gli piace dire è che è lui che ha il controllo. Se arrivano a un bivio e l'elefante se ne va a sinistra, allora la scimmia dice che voleva assolutamente andare a sinistra, e fornisce ogni tipo di motivo. Se l'elefante invece va a destra, la scimmia spiega come e perchè voleva andare a destra. Ama l'illusione del controllo. Ma è l'elefante che decide. La lucertola è costantemente alla ricerca di minacce (non chiedermi come fa da dentro un elefante, è una metafora!). Se percepisce una minaccia, prende il controllo dell'elefante. Ma i suoi controlli sono rozzi: può solo rendere l'elefante terrorizzato o arrabbiato, e non può davvero controllare cosa succede dopo. La mia lucertola è una specie di camaleonte: è rosso vivo quando vigile, ma quando è calma diventa di un grigio bluastro più freddo. Comunicare con l'elefante è un processo molto lento. Richiede tempo. Ma quando i messaggi vengono ricevuti i risultati sono potenti e forti. Cosa bisogna fare? Calmare la lucertola, guidare l'elefante e così si può portare la scimmia dove vuole andare. Scoprire il serraglio nella tua mente è un meraviglioso processo di scoperta e di divertimento.
La scimmia pensa di essere al comando, ma in realtà l'elefante praticamente va dove vuole. Se la scimmia riesce a comunicare nel linguaggio che l'elefante comprende (come immagini mentali vivide, storie e metafore), allora l'elefante sentirà e capirà. La scimmia parla costantemente, a volte con gli altri, ma soprattutto a se stesso, e una delle cose che gli piace dire è che è lui che ha il controllo.
Una scimmia, un elefante e una lucertola nel cervello
Dave Gray ha ipotizzato un modello metaforico della mente come se fosse guidata da un team disfunzionale e goffo composto da una scimmia (la coscienza), un elefante (l'inconscio) e una lucertola (il sistema emotivo)
mente
My brain fled abroad.
Unfortunately, I stayed here.
Percezione umana
Come l'essere umano percepisce se stesso nel mondo
Nella figura: Inferenza e percezione. Le frecce verdi rappresentano le predizioni esterocettive (e gli errori di previsione) alla base del contenuto percettivo, come l'esperienza visiva di un pomodoro. Le frecce arancioni rappresentano le previsioni propriocettive dell'azione relativa e l'esperienza della proprietà del corpo. Le frecce blu rappresentano le previsioni interocettive che stanno alla base dell'emozione, dell'umore e della regolazione autonomica.

Il primo a introdurre nella terminologia medica propriocezione, interocezione ed esterocezione fu il premio Nobel Charles Scott Sherrington nel 1906. In particolare il termine interocezione è oggi oggetto di molti studi a causa della sua influenza nell'esperienza emotiva umana.

  • Propriocezione (proprioception): è la percezione inconscia (di natura neurologica) del movimento, della posizione e dell'equilibrio del proprio corpo dovuto ai propriocettori, cioè alle sensazioni provenienti dalle terminazioni nervose dei muscoli e delle articolazioni oltre che dall'orecchio interno

  • Interocezione (interoception): è la consapevolezza dei segnali provenienti dal corpo dell'individuo (dai suoi organi interni quali cuore, polmoni, stomaco, ecc)

  • Esterocezione (exteroception): è la consapevolezza di tutti gli stimoli provenienti ai sensi dal mondo esterno al soggetto (stimoli visuali, uditivi, olfattivi, tattili, gustativi)
Alcuni stimoli interocettivi
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Interocezione: il sé biologico
Il sé è una componente critica della coscienza, e la consapevolezza di sé, il "sentire", rivela una profonda e ineludibile radice corporea, che non risiede soltanto nel cervello: la retroazione del corpo, a livello propriocettivo ed interocettivo, coinvolge tutto il corpo (di cui il cervello, naturalmente, fa parte).

È necessario, dunque, secondo il neurofisiologo Antonio Damasio (vedi bibliografia 2003), superare il dualismo corpo/cervello in cui anche le neuroscienze sono ricadute, e considerare le due componenti, strettamente intrecciate, che costituiscono il sé, cioè il "sé mentale" (che crea continuamente mappe neurali di oggetti ed eventi del mondo esterno che attingendo alla memoria ci permettono di ricostruire un'autobiografia e un senso di identità), e il "sé biologico o immunologico" (che crea continuamente mappe neurali dello stato dei vari organi del corpo allo scopo di mantenerlo in vita).
Le recenti tecniche di brain imaging hanno permesso di dimostrare che il feedback, integrato centralmente nel cervello, e proveniente da varie parti del corpo gioca un ruolo determinante nell'esperienza emotiva.
La consapevolezza corporea di sè include l’interocezione, ovvero il sentire il nostro respiro, la nostra digestione, la nostra attivazione, il nostro dolore, la nostra fatica, ecc e allo stesso tempo una consapevolezza di movimento e coordinazione fra le diverse parti del corpo e fra il corpo e l’ambiente.
Essa concerne l’essere in un presente emozionale soggettivo. L'interocezione è un prodotto del sistema nervoso centrale, un costrutto basato sull'integrazione di varie fonti. Nel tempo il significato di interocezione si è trasformato da restrittivo (che prevede solo le sensazioni derivanti dai visceri) a inclusivo (come esperienza fenomenologica dello stato corporeo, esperienza che è un prodotto del sistema nervoso centrale).
Il "sé biologico o immunologico" crea continuamente mappe neurali dello stato dei vari organi del corpo allo scopo di mantenerlo in vita. L'interocezione è un prodotto del sistema nervoso centrale, un costrutto basato sull'integrazione di varie fonti. Nel tempo il significato di interocezione si è trasformato da restrittivo (che prevede solo le sensazioni derivanti dai visceri) a inclusivo (come esperienza fenomenologica dello stato corporeo, esperienza che è un prodotto del sistema nervoso centrale)
Come la meditazione può cambiare i percorsi neurali bloccando il costante flusso narrativo
In assenza di compiti che richiedono attenzione deliberata la nostra mente tende a vagare, passando da un pensiero all'altro con fluidità. Come mostrato dagli studi degli psicologi Malia Mason et Al. (vedi bibliografia), questo vagabondaggio mentale segue dei percorsi neurali che costituiscono una modalità di base (chiamata Default Network) che si attenua quando l'attenzione della mente viene richiamata a un compito specifico. Le ricerche di Norman Farb si sono concentrate sul confronto neuronale di due tipi di focus attenzionale:

  • Focus narrativo: associato a esperienze nel tempo che seguono un percorso neurale posto nella corteccia mediale prefrontale

  • Focus esperienziale: associato all'esperienza somatica (basata sull'attenzione al corpo e al respiro) del "momento presente"

Scrive Jon Kabat Zinn nel libro "La meditazione come medicina" (p. 248):

L'addestramento del MBSR [un protocollo meditativo Mindfulness di otto settimane] si risolse in riduzioni marcate e pervasive dell'attività dei circuiti associati con il focus narrativo e un'aumentata attivazione della rete associata con il focus esperienziale. Ciò suggerisce che queste due forme molto diverse di auto referenzialità, che spesso avvengono in contemporanea, possono essere separate attraverso l'addestramento alla mindfulness, una scoperta che potrebbe essere di importanza clinica per allentare la presa di narrazioni egocentriche associate alla ruminazione mentale depressiva e ad altre abitudini inconsce di preoccupazione per se stessi e assorbimento in se stessi che causano e amplificano la sofferenza.

Le ricerche di Norman Farb offrono prove di plasticità attenzionale basate sull'esperienza, e dell'efficacia della meditazione sulla qualità dell'attenzione e la gestione delle emozioni. Scrive Carrie Heather (vedi bibliografia):

Ricerche recenti dimostrano che focalizzare l'attenzione sul flusso della narrazione della coscienza, come la memoria e l'autoconoscenza riflessiva, utilizza un percorso neurale separato rispetto a quello di focalizzare l'attenzione sull'esperienza sensoriale del momento presente. Secondo il neuropsicologo Norman Farb, esiste una fondamentale disconnessione neurale tra questi due distinti modi di autoconsapevolezza.

Quando dirigiamo la nostra attenzione sul respiro e sulle sensazioni corporee interne il nostro cervello si modifica, rafforzando il percorso neurale del focus esperienziale e sopprimendo il flusso indesiderato del focus narrativo. Attraverso la pratica meditativa costante diventa più facile accedere a questi percorsi neurali che incrementano l'attenzione per l'esperienza interiore (del corpo-cervello) nella vita quotidiana.
Scrive Norman Farb (vedi bibliografia 2007):

Un ostacolo allo studio della consapevolezza centrata sul presente è la consolidata tendenza della mente a vagare e diventare distratta dal momento presente in favore di un pensiero temporalmente distante e indipendente dallo stimolo.
Cos'è e a che serve la Mindfulness
La Mindfulness è una terapia cognitiva finalizzata a sviluppare la "consapevolezza" del paziente mediante l'impiego di pratiche meditative (vedi bibliografia Davies e Hayes). Lo studio del neurofisiologo Norman Farb, citato all'inizio della pagina, riporta gli esiti di molti altri studi analoghi su pazienti depressi, che non prevedevano il confronto con la meditazione. Nell'esperimento di Farb questo confronto si è rivelato favorevole ai soggetti che, praticando il protocollo meditativo, avevano acquisito la capacità di concentrarsi sul "momento presente". Scrive Farb nelle conclusioni del suo studio:
I risultati della connettività funzionale suggeriscono che una modalità predefinita di auto-consapevolezza può dipendere dall'accoppiamento abituale tra regioni corticali che supportano le rappresentazioni cognitive-affettive del sé e alcune immagini neurali viscerosomatiche laterali dello stato del corpo. Questa doppia modalità di auto-riferimento si nota meglio dopo la meditazione Mindfulness, dove queste modalità si disaccoppiano mediante l'allenamento dell'attenzione. Questa ipotizzata riorganizzazione corticale dopo la meditazione è coerente con l'idea che la meditazione consente una distinta modalità esperienziale in cui pensieri, sentimenti e sensazioni corporee sono visti meno come buoni o cattivi o integrali al "sé" e trattati più come eventi mentali transitori che possono essere semplicemente osservati. Come tale, la capacità di disimpegnare la narrativa estesa e duratura e impegnarsi in più modalità neurali momentanee di autofocus ha importanti implicazioni per i disturbi dell'umore e dell'ansia, dato che le narrazioni durature aumentano la vulnerabilità della persona. Invece, un numero crescente numero di prove suggerisce che l'avvicinarsi all'esperienza di sé attraverso un focus più centrato sul presente può avere un effetto positivo sul benessere umano.

Su cosa sia e a cosa tenda la meditazione, si sono espressi molti neuroscienziati tra i quali il biologo molecolare Jon Kabat-Zinn che nel libro "La meditazione come medicina" ha chiarito la sua funzione, da lui attuata con due dei protocolli oggi più usati al mondo: MBSR e MBCT. Scrive Jon Kabat-Zinn (p. 49):

Ciò che cerchiamo di fare è di creare un ambiente dove la gente possa imparare a rallentare nella vita - o forse anche a fermarsi - e familiarizzare con il calmare il corpo, osservando che cosa succede sia nel corpo sia nella mente e coltivando una certa sorta di intimità con il momento presente così com'è. Viviamo per lo più nel futuro, preoccupandoci o pianificando, o nel passato, ricordando cose accadute prima e a volte deformandole del tutto.

In particolare il protocollo MBCT (Mindfulness-Based Cognitive Therapy), nato con lo scopo di affrontare i più comuni disturbi emotivi (ansia, depressione, ecc), si attua attraverso il non reprimere i pensieri negativi, ma osservarli come facenti parte del panorama della mente e servirsi dell'ancoraggio al corpo e al respiro per accettarli lentamente. Un articolo che riassume l'esito di un seminario tenuto nel 2016 dalla Harvard Medical School "Now and Zen: How mindfulness can change your brain and improve your health" riporta le differenze tra varie tipologie meditative ed è reperibile in bibliografia.
Quando dirigiamo la nostra attenzione sul respiro e sulle sensazioni corporee interne il nostro cervello si modifica, rafforzando il percorso neurale del focus esperienziale e sopprimendo il flusso indesiderato del focus narrativo
Perchè la respirazione induce stati mentali quali il rilassamento o l'eccitazione
Dagli esperimenti condotti dagli psicologi Greg Feldman et Al. (vedi bibliografia), è emerso che gli esercizi di respirazione, tipici della Mindfulness, riducono la reattività ai pensieri ripetitivi in misura maggiore rispetto ad altre tecniche quali: il rilassamento muscolare progressivo (PMR) e la meditazione amorevole (LKM).
Non molti sanno che un sospiro è molto più di un respiro, infatti un sospiro è un respiro profondo che gonfia gli alveoli (sacche dove l'ossigeno entra e l'anidride carbonica lascia il flusso sanguigno). In media ogni persona sana sospira (involontariamente) ogni cinque minuti. In persone malate a volte gli alveoli collassano, compromettendo il ricambio ossigeno-anidride e, se non ci fossero i sospiri (che introducono il doppio di ossigeno dei respiri), la funzionalità polmonare verrebbe in breve compromessa. Un recente studio dei neurobiologi Jack Feldman e Mark Krasnow (vedi bibliografia Krasnow) condotto su roditori, ha individuato un gruppo di 200 neuroni nel tronco cerebrale, la cui funzione è quella di regolare gli stati mentali (dal rilassamento all'eccitazione) agendo sulla respirazione. Ad esempio incrementando il numero di sospiri da 40 all'ora a più di 400 all'ora per coloro che hanno una funzione respiratoria debilitata, o riducendo il numero di sospiri per coloro che soffrono di stati d'ansia, infatti lo stress aumenta la frequenza dei sospiri. Le radici emotive del sospiro consapevole sono però ancora sconosciute.
Altan
Depressed?
Maybe! Unhappy.
La meditazione mindfulness è: "creare un ambiente dove la gente possa imparare a rallentare nella vita - o forse anche a fermarsi - e familiarizzare con il calmare il corpo, osservando che cosa succede sia nel corpo sia nella mente e coltivando una certa sorta di intimità con il momento presente così com'è. Viviamo per lo più nel futuro, preoccupandoci o pianificando, o nel passato, ricordando cose accadute prima e a volte deformandole del tutto."
Presente e futuro della meditazione
Gli psicologi Daniel Goleman e Richard Davidson, nel loro libro "La meditazione come cura", nel quale sintetizzano le loro più recenti scoperte sugli effetti della meditazione sull'essere umano, suddividono le tipologie meditative in cinque livelli:

  • Livello 1: è il livello più profondo, praticato dagli yogin tibetani secondo la tradizione del buddhismo theravada

  • Livello 2: è la meditazione del livello 1 adattata in forma più accettabile per la cultura occidentale

  • Livello 3: si tratta delle pratiche del livello 2 depurate degli aspetti spirituali e rivolte alla riduzione dello stress, quali ad esempio il protocollo MBSR (Mindfulness-based stress reduction) di Jon Kabat-Zinn o le tecniche di meditazione trascendentale

  • Livello  4: sono forme di meditazione annacquate per renderle accessibili a un maggior numero di persone, quali ad esempio le app che ci ricordano di fare un minuto di meditazione e simili (ad esempio, per android: 5 Minuti Meditazione, Headspace, Chakra Meditazione, ecc)

  • Livello  5: è un livello oggi in fase di formazione, con lo scopo di ampliare ulteriormente l'impiego della meditazione e favorire la calma interiore presso tutti i gruppi sociali.

L'Università del Wisconsin ha avviato un programma, che impiega apposite app, per estendere la meditazione nelle aziende: il programma "Healthy Minds @Work".
Come cambia la mente nella meditazione
A sinistra la mente nella condizione di Default Mode Network (mente errante, non focalizzata) e a destra la mente focalizzata in meditazione. Le aree arancione, gialla e verde rappresentano vari livelli di attività cerebrale e onde. Le regioni blu indicano minore attività e intensità (onde calme).
Amigdala, fulcro del nostro stress
È risaputo che la corteccia cerebrale tende a ridursi progressivamente nel corso dell’invecchiamento. Durante gli studi sopra riportati si riscontrò che i cinquantenni che praticavano Meditazione da tempo, possedevano il medesimo volume di corteccia dei venticinquenni.
Perché la posizione del loto è fisiologicamente importante
Nell’immagine notiamo la posizione del loto (Padmasana) assunta con le gambe e il contatto di pollice e dito medio, rispetto al più comune contatto con il dito indice. Questo dito è collegato al Pericardio (maestro del cuore). In questa posizione si possono percepire i processi del pensare e i sentimenti come più liberi dal corpo. Il significato dell’esercizio sta in questa calma, nella vigilanza e nel raddrizzarsi in contemporanea indipendenza dal corpo.
Durante i suoi studi universitari in biologia molecolare, un  infortunio causato da un allenamento eccessivo ha fatto deragliare le aspirazioni  della dottoressa Sara Lazar  di correre la maratona di Boston. Durante la convalescenza, ha scoperto lo yoga  e, dopo alcune lezioni,  è rimasta sorpresa di scoprire di sentirsi  più calma, più compassionevole e meno reattiva. Voleva  capire  perché, e quella ricerca alla fine cambiò il corso della sua carriera.  Per oltre 15 anni, lei e il suo team del Dipartimento di Psichiatria  del Massachusetts General Hospital  hanno studiato come la meditazione influisce sul cervello e sono stati i primi a mostrare la connessione tra meditazione e ispessimento corticale nel cervello. Nel 2005, utilizzando scansioni MRI modificate, lei e il suo team del Dipartimento di Psichiatria sono stati i primi a mostrare che la materia grigia aumenta nelle persone che imparano la meditazione, in particolare nelle aree legate all'apprendimento, alla regolazione emotiva e all'assunzione di prospettiva. Insomma, meditando si diventa più intelligenti ed empatici.
Conclusioni (provvisorie): importanza del corpo per la costituzione della "mente"
Una caratteristica spesso trascurata della mente umana è la sua propensione a vagare. Il vagabondaggio della mente si attua in una serie di regioni corticali che sono attive quando il cervello è a riposo, cioè quando non è impegnato in un compito cognitivo specifico. Tali aree sono state denominate "Default Mode Network" (DMN). Secondo uno studio condotto dagli psicologi Matthew A. Killingsworth e Daniel T. Gilbert, le persone passano il 46,9 per cento del loro tempo di veglia pensando a qualcosa di diverso da ciò che stanno facendo. Questo "vagare" del pensiero, indipendente da stimoli, sembra essere la modalità di default della mente, che ha consentito grandi vantaggi evolutivi quali l'apprendimento, il ragionamento, la pianificazione, la creatività e tanti altri (e di questi aspetti scrive lo psicologo Michael Corballis nel libro "La mente che vaga"). Tuttavia esso può avere dei pesanti costi emotivi, come hanno evidenziato le psicologhe Sonja Lyubomirsky e Susan Nolan-Hoeksema. Infatti, quando l'oggetto delle divagazioni sono elaborazioni autoreferenziali focalizzate su se stessi, allora il pensiero ripetitivo e la predilezione per stati d'animo negativi provoca ciò che la Lyubomirsky e la Nolan-Hoeksema hanno denominato "ruminazione". Ci sono persone nelle quali questa tendenza a "ruminare" diventa un tratto stabile della loro personalità, portandole verso fenomeni depressivi più o meno gravi. Era noto da tempo ai neuroscienziati che l'attività cerebrale non si ferma mai, ma solo nel 2001 il neuroscienziato Marcus Reichle riuscì a registrare l'attività cerebrale in varie condizioni. Come abbiamo visto, in assenza di compiti che richiedono attenzione deliberata la nostra mente tende a vagare, passando da un pensiero all'altro con fluidità, e come mostrato dagli studi degli psicologi Malia Mason et Al., questo vagabondaggio mentale segue dei percorsi neurali che costituiscono una modalità di base (chiamata Default Network) che si attenua quando l'attenzione della mente viene richiamata a un compito specifico. Le ricerche di Norman Farb si sono concentrate sul confronto neuronale di due tipi di focus attenzionale: (1) Focus narrativo: associato a esperienze nel tempo che seguono un percorso neurale posto nella corteccia mediale prefrontale (2) Focus esperienziale: associato all'esperienza somatica (basata sull'attenzione al corpo e al respiro) del "momento presente". Scrive lo psicologo Jon Kabat Zinn nel libro "La meditazione come medicina": "L'addestramento del MBSR [un protocollo meditativo Mindfulness di otto settimane] si risolse in riduzioni marcate e pervasive dell'attività dei circuiti associati con il focus narrativo e un'aumentata attivazione della rete associata con il focus esperienziale. Ciò suggerisce che queste due forme molto diverse di auto referenzialità, che spesso avvengono in contemporanea, possono essere separate attraverso l'addestramento alla mindfulness, una scoperta che potrebbe essere di importanza clinica per allentare la presa di narrazioni egocentriche associate alla ruminazione mentale depressiva e ad altre abitudini inconsce di preoccupazione per se stessi e assorbimento in se stessi che causano e amplificano la sofferenza." La meditazione mindfulness è: "creare un ambiente dove la gente possa imparare a rallentare nella vita - o forse anche a fermarsi - e familiarizzare con il calmare il corpo, osservando che cosa succede sia nel corpo sia nella mente e coltivando una certa sorta di intimità con il momento presente così com'è. Tra l'altro iniziano a venir fuori evidenze neuroscientifiche (vedi bibliografia Sara Lazar) che riguardano una riduzione dell'attività dell'amigdala durante la meditazione che portano a una riduzione del cortisolo, e inoltre un ispessimento di diverse parti della materia grigia che consentono di immaginare un benefico ricablaggio dei percorsi neurali dovuto alla meditazione, ottenuto in poche settimane. Viviamo per lo più nel futuro, preoccupandoci o pianificando, o nel passato, ricordando cose accadute prima e a volte deformandole del tutto." Meditate gente...meditate...
per scaricare le conclusioni (in pdf):
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Pagina aggiornata il 12 maggio 2024

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Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione 2.5 Generico
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