Small mafia infiltrations.
Come è noto a chi si occupa di psicologia, "egocentrismo" e "sociocentrismo" sono due forze psichiche che agiscono nella mente umana dalla nascita alla morte in varia misura e contribuiscono a determinare lo sviluppo del "pensiero" di ogni individuo. Mentre l'egocentrismo prevede che l'individuo (e le sue idee) siano completamente "centrati" su se stesso, il sociocentrismo prevede che l'individuo (e le sue idee) siano centrati sul gruppo sociale al quale appartiene. Nel caso della mafia siciliana questi due modi di dare un senso alla realtà si combinano in modo patologico a causa del significato che la storia siciliana ha attribuito alla "famiglia". Infatti, le diverse civiltà che si sono succedute in Sicilia hanno imposto istituzioni proprie dalle quali i siciliani hanno cercato di difendersi creando un particolare "tipo di famiglia". Scrive lo psicologo Innocenzo Fiore ("La mafia dentro" pp. 51-52):
In Sicilia la sola organizzazione-istituzione rimasta stabile nel tempo è la famiglia. Essa ha resistito ai cambiamenti esterni e fatto fronte all'insicurezza diventando l'istituzione in grado di rappresentare l'identità siciliana ed assicurarle continuità. [...] Di fronte ai cambiamenti istituzionali la famiglia in Sicilia ha generato nel tempo un pensiero su se stessa, come modello organizzativo-istituzionale di grande forza che ha il compito di proteggere coloro che vi fanno parte. Essa si è affermata come la sola istituzione che il siciliano ha avuto a disposizione per adattarsi alla vita collettiva, l'unica capace di far fronte alle ansie derivanti dall'insicurezza e a colmare il bisogno di rassicurazione.
L'identificazione famiglia-mafia ha creato nel tempo un nucleo psichico patogeno come scrive lo psicologo Girolamo Lo Verso ("La mafia dentro" pp.27-31):
La famiglia è un campo psicologico e relazionale condiviso tra varie persone che lo hanno costruito. Essa è "regolata" e concepita dal mondo culturale che determina ampiamente in essa i criteri di bene e di male, di giusto ed ingiusto. Uno dei grandi punti di forza dello psichismo mafioso, che ha dato una incredibile coesione all'organizzazione ed ha contribuito a renderla realmente "Cosa nostra" è stato il fare, ampiamente, coincidere la famiglia biologica con quella sociale ed affettiva tramite i diffusi matrimoni all'interno dell'organizzazione, in ciò seguendo il millenario esempio occidentale dell'aristocrazia. [...] Quando il "noi" si sostituisce all' "io" non ne ha nè l'umanità nè le debolezze.
Conferme a quest'impostazione dello psichismo mafioso arrivano dal magistrato Roberto Scarpinato (vedi bibliografia Micromega) il quale, attingendo alla sua conoscenza diretta del fenomeno mafioso e agli interrogatori da lui condotti di vari mafiosi, scrive:
Più che la paura della morte fisica, prevale in molti mafiosi di estrazione popolare la paura di essere "morti nella vita, di essere morti nell'uovo", cioè all'atto stesso della nascita. Di attraversare l'esistenza restando "nessuno mescolato con niente", espressione siciliana che indica un destino di totale anonimato e di invisibilità sociale che ti rende quasi trasparente e invisibile agli occhi degli altri, come se non esistessi, come se non abitassi lo spazio comune. [...] Quando diventi componente dell'associazione, non sei più "nessuno mescolato con niente", sei "Cosa nostra", sei entrato a far parte della schiera di coloro che, invece di essere dominati, dominano.
Questo fattore sarebbe la causa del tradizionale conservatorismo dei siciliani nonchè del loro sentimento di sfiducia verso chiunque faccia qualcosa, giacchè "chi fa" sarebbe mosso, almeno nel giudizio comune, da esclusivo interesse personale. Diversamente, che motivo avrebbe per affaticarsi e per muoversi?
L'origine psicologica della Mafia siciliana va ricercata dunque nella relazione tra fattori psicologici (costruzione del sé del singolo individuo) e fattori sociologici (cultura del gruppo al quale appartiene). Il bisogno di protezione del singolo diventa un elemento fondamentale della costruzione della personalità, e se il gruppo sociale diventa garante unico di questo bisogno sottraendolo alla famiglia e identificandosi con essa, impedisce la possibilità per l'individuo di adattarsi alla vita collettiva in modo diverso. In tal modo un gruppo sociale come "Cosa nostra" può offrirsi come unica struttura di significazione del rapporto tra individui e realtà. In tal modo la mafia si impossessa interamente dell'identità dei suoi membri.
Sembra evidente la tragica illusione di molti politici, faccendieri, avvocati, medici, funzionari, cittadini ecc., che si possa convivere con la mafia o "fare dei patti" di sopravvivenza anche impliciti con essa. In una cultura organizzativa fondamentalista chiunque abbia a che fare con questo mondo "gli appartiene", diviene "cosa sua" e non può consentirsi differenziazioni e prese di distanza. In un mondo psichico siffatto nulla, nessun gesto, nessun rapporto ecc. può avvenire per caso o essere una tantum. Lo psichismo mafioso, nella forza fondamentalista dell'identità "noi" regge solo sino a quando per il singolo vi sono le certezze dell'organizzazione e del rapporto identificatorio con essa. Al di là di questo vi è la "crisi".
La difficoltà di sconfiggere la mafia, come ha potuto constatare sulla sua pelle il generale Carlo Alberto dalla Chiesa, è dovuta alla presenza radicata nella società e nelle Istituzioni. Scrive Scarpinato:La struttura interclassista della mafia sebbene sia stata posta in evidenza da alcuni autorevoli studiosi sin dalle origini dello Stato unitario italiano nel XIX secolo, è sempre stata negata o rimossa dagli apparati culturali ufficiali. [...] Autorevoli intellettuali ed esponenti di vertice della classe dirigente, tra i quali uomini ai vertici dello Stato, alti magistrati ed ecclesiastici, sino agli anni Ottanta del XX secolo hanno negato l'esistenza stessa della mafia come organizzazione criminale oppure ne hanno fornito un'immagine positiva.
I processi degli ultimi trenta anni, a partire dal Maxiprocesso del 1986-1992, "sdoganarono" l'esistenza della mafia in Italia e impedirono a molte persone di continuare a tacerne l'esistenza nella società. Tuttavia essa rimase (e rimane) attiva nella mente e nei comportamenti di una parte della borghesia e della élite culturale, scrive Scarpinato:Senza la protezione e la complicità borghesi, la componente popolare della mafia, quella costituita da specialisti della violenza come Salvatore Riina, sarebbe stata sgominata dalla forza dello Stato nell'arco di pochi decenni.
I processi hanno rivelato che gli assassini non hanno solo i volti proletari degli esecutori materiali, degli uomini che sulla scena dei delitti si macchiano le mani di sangue. Gli assassini e i loro complici hanno anche i volti levigati, i tratti raffinati, di tanti insospettabili e sono proprio loro, a volte, i più crudeli. Perchè essi hanno le risorse culturali e i mezzi sociali per edificare sulle fondamenta della paura collettiva i pilastri di un potere personale che dietro la maschera della rispettabilità, rivela i tratti di una luciferina volontà di potenza.
Il giornalista Corrado Stajano, intervistando il magistrato Giovanni Falcone nel 1979 sui fattori che alimentavano la forza della Mafia in Sicilia, scriveva la seguente risposta di Falcone:
Sulle trasformazioni della mafia Giovanni Falcone, già nel 1991 nel libro "Cose di Cosa nostra" (p.129) scriveva:"Se la mafia si riducesse soltanto a una questione criminale, non pensa che in quasi un secolo sarebbe stata eliminata dai poteri repressivi dello Stato? Il guaio è che occorre tener conto non soltanto della politica, ma anche del tessuto sociale sostanzialmente ambiguo di Palermo. Cosa nostra non è un bubbone, è la degenerazione a livello criminale di uno stato d'animo diffuso fra tutti i ceti e tutte le classi della città. Sa che cos'è la zona grigia?" Lo sapevo da Primo Levi, amico indimenticato. Ne parlava sempre e ne scriverà (nel 1986) nel suo "I sommersi e i salvati": è l'ibrido, dai contorni mal definiti, che separa, lega e congiunge i due campi dei padroni e dei servi. Anche per Falcone la definizione poteva adattarsi al costume mafioso.
Secondo quanto accertato dagli inquirenti, la tendenza è verso una diminuzione delle richieste di tangenti di importo considerevole. Brutto segno: se le tangenti del racket diminuiscono - o meglio si trasformano - ciò può significare che il mafioso tende a trasformarsi lui stesso in imprenditore, a investire in imprese i profitti illeciti del traffico di droga. La crescente presenza di Cosa Nostra sul mercato legale non rappresenta un segnale positivo per l'economia in generale.
La mafia è resa possibile dalla presenza nella società di alcune categorie antropologiche che ne rendono possibili le attività criminali. Secondo Nando dalla Chiesa tali categorie sono tre: i complici, i codardi e i cretini. Egli scrive (p.31):
I complici sono coloro che consapevolmente assicurano i propri servizi all'organizzazione. [...] I complici sono i fiancheggiatori dolosi, coloro che realizzano il celebre "concorso esterno in associazione mafiosa", quelli senza i quali l'organizzazione mafiosa non riuscirebbe a conseguire i propri scopi. [...]
I codardi sono coloro che "non vedono, non sentono, non parlano". Che per viltà fanno o omettono di fare. Che offrono in sacrificio al proprio quieto vivere la libertà e perfino la vita del prossimo. Senza sensi di colpa.
I cretini, infine, meritano un discorso a parte. Vale qui la pena di riprendere l'aneddoto raccontato, e non casualmente, da Giovanni Falcone a Marcelle Padovani nel suo "Cose di Cosa nostra". Racconta il magistrato: "Uno dei miei colleghi romani, nel 1980 va a trovare Frank Coppola, appena arrestato, e lo provoca: "Signor Coppola, che cosa è la mafia?" Il vecchio, che non è nato ieri, ci pensa su e poi ribatte: "Signor giudice, tre magistrati vorrebbero oggi diventare procuratore della Repubblica. Uno è intelligentissimo, il secondo gode dell'appoggio dei partiti di governo, il terzo è un cretino, ma proprio lui otterrà il posto. Questa è la mafia..." .
Negli ultimi trent'anni abbiamo assistito alla lenta e subdola espansione della 'Ndrangheta nel Nord Italia. Il fattore principale è stato la congiunzione di un evento (la scelta di inviare al confino al Nord un boss calabrese) e di una potenzialità (la corruzione prossibile delle amministrazioni pubbliche). Scrive il sociologo Nando dalla Chiesa nel libro "Manifesto dell'Antimafia" (p.27-28):
Quel che colpisce è il ruolo formidabile svolto dalla corruzione. Saverio Morabito, pentito eccellente di Buccinasco-Corsico, consegna un affresco da brividi dell'ascesa dei clan fino a fare di Buccinasco "la Platì del Nord". Il suo racconto è popolato di figure di corrotti. Comprati senza problemi con i soldi dell'eroina. Avvocati, marescialli dei carabinieri, commissari di polizia, politici. E magistrati. La gente, spiega Morabito, pensa che corrompere un magistrato sia difficile. E invece non c'è niente di più facile. E quando l'hai comprato la prima volta, la seconda lo prendi con una penna stilografica, perchè lo puoi ricattare. [...] E' un piano di riflessione che chiama in causa anche il tema delle relazioni sociali. Queste ultime sono l'essenza del potere 'ndranghetista (come di quello mafioso o camorrista). Sono il vero, autentico capitale della 'ndrangheta: ancora più importante, per paradosso ma non troppo, dei capitali monetari. E' decisivo poter contare sul politico amico, avvicinabile in virtù di debiti che nascono nelle campagne elettorali o nello spirito di corregionalità. Potere contare sull'impiegato comunale che dia le informazioni necessarie sulla pratica a cui il clan è interessato e su chi la sta trattando o vi si sta opponendo. Sul graduato che informi del procedimento giudiziario in arrivo. Sul medico disposto a curare il latitante o sull'infermiere disposto a cedere la stanza d'ospedale per un vertice d'affari. Sul professore universitario che procuri la promozione allo studente "giusto". Sul vigile urbano che avvisi del controllo disposto sul cantiere o sulla discoteca. Sul funzionario bancario che segnali le difficoltà della piccola impresa da usurare. Sul cancelliere che fornisca dati riservatissimi su indagini in corso. Sul funzionario parlamentare capace di far saltare o aggiungere una virgola a un emendamento. E' una rete che arriva fino ai luoghi alti delle istituzioni: ministeri e Parlamento, ambasciate e Consigli regionali. Corte di Cassazione e alti comandi militari.
- Domanda di Rocco Sciarrone: Già moltissimi anni fa, lei aveva elaborato il concetto di “borghesia mafiosa” e aveva rivolto l’attenzione alla dimensione finanziaria della mafia. Si può dire che aveva visto in anticipo l’evoluzione di Cosa nostra e il suo rapporto con la sfera della politica e dell’economia? O piuttosto c’è una continuità storica della “borghesia mafiosa”? E quali sono le specificità della fase attuale?
- Risposta di Umberto Santino:
Parlo di borghesia mafiosa dagli anni 70 e di mafia finanziaria dagli anni 80. Non so se ho anticipato, so per certo che è stata per molto tempo un’analisi ignorata o isolata e minoritaria. Negli anni 70 dominava il subculturalismo di Hess, poi c’è stato Arlacchi con la mafia destrutturata e imprenditrice che avrebbe scoperto la competizione per la ricchezza solo in quegli anni, mentre già quelli che chiamo fenomeni premafiosi documentabili fin dal XVI secolo hanno al centro insieme potere e accumulazione. Come per tutti i fenomeni di durata lo sviluppo storico è un intreccio di continuità e trasformazione. L’esistenza del fenomeno mafioso come fenomeno complesso, fatto di associazionismo criminale e sistema relazionale. è documentabile fin dagli anni trenta dell’800. I gabelloti, a fianco dell’aristocrazia terriera, erano borghesia in larga parte parassitaria e già nell’800 c’erano professionisti e altri soggetti borghesi che giocavano assieme ai mafiosi. La fase attuale è caratterizzata dalla lievitazione dell’accumulazione illegale, dalla proliferazione di gruppi di tipo mafioso a livello internazionale, dal trionfo del capitalismo e del liberismo e dall’imbarbarimento della politica. La mafia siciliana non è più un unicum, si sono affermati o sono nati altri gruppi, la globalizzazione ha effetti criminogeni alle periferie, dove l’emarginazione induce al ricorso di metodi illegali per percepire quote di reddito e per contare, e ai centri, dove la finanziarizzazione rende sempre più difficile la distinzione tra capitali legali e illegali. In Italia siamo passati dalla Dc come grande mediatrice tra tutti i poteri reali, compresa la mafia, al berlusconismo come modello intrinsecamente mafioso, per la privatizzazione delle istituzioni, l’uso dell’illegalità come risorsa e dell’impunità come legittimazione e status symbol. Questo è il periodo più buio della vita della Repubblica e non vedo prospettive, data l’inconsistenza e frammentarietà delle forze che dovrebbero essere alternative. In questo contesto poliziotti e magistrati, senza mezzi e attaccati se osano coinvolgere uomini di potere, possono arrestare e condannare capimafia a gregari ma è impossibile una lotta conseguente alla borghesia mafiosa. Si sta ripetendo quello che è accaduto durante il fascismo con l’azione di Mori: duri colpi ai mafiosi reali o presunti, alt all’azione rivolta allora ai manutengoli ora allo stesso capo del governo, icona della legalizzazione dell’illegalità.
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Lirio Abbate (2015), Mafia, ecco chi comanda in Italia - L'Espresso
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Pagina aggiornata il 25 aprile 2021