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La maggior parte di noi ha letto molti romanzi nel corso della propria vita, e magari quelli che abbiamo più apprezzato li abbiamo anche "riletti" in epoche differenti (io, ad esempio, ho letto "Viaggio al termine della notte" di Céline a ventanni e l'ho riletto a cinquanta: mi è piaciuto entrambe le volte ma non so il perchè). Il motivo per cui i libri che abbiamo letto ci sono piaciuti o non ci sono piaciuti è un mistero, forse perchè è difficile immaginare i motivi inconsci che ci hanno portato in quella direzione o forse perchè non l'abbiamo analizzato semioticamente. I motivi per cui un'opera ci piace o meno sono molteplici e vanno dalle nostre esigenze psicologiche del momento, alla formazione della nostra personalità, alla conferma/disconferma di certe credenze, o infinite altre, probabilmente perchè molti Testi sono dei "Rizomi", come sosteneva Umberto Eco, cioè delle opere aperte labirintiche. L’avvento di internet, infatti, ha già creato le condizioni per poter proseguire in questo cambiamento di paradigma, rappresentando la perfetta traduzione tecnologica del pensiero rizomatico: il web non obbliga ad una direzione, ma segnala concatenazioni e lascia liberi di giocare a creare connessioni, passando da un piano all’altro dello scibile. In questo senso ogni autore scrive il suo testo immaginando "mondi possibili", ovvero descrivendo situazioni che ricalcano la sua enciclopedia, cioè le leggi del mondo che egli ritiene reali. Ogni lettore fa la medesima operazione mentale ma, nel corso della lettura, è costretto a fare delle previsioni, che dipendono dalla propria enciclopedia, ovvero da ciò che egli sa già. Ogni scrittore immagina che il significato del suo testo sia traducibile in ogni altra lingua in virtù della sua struttura grammaticale. Non è così e Umberto Eco ci spiega perchè nel libro "Lector in fabula" dove scrive (p.51): "Un testo si distingue da altri tipi di espressione per una sua maggiore complessità. E motivo principale della sua complessità è proprio il fatto che esso è intessuto di non-detto. "Non-detto" significa non manifestato in superficie, a livello di espressione: ma è appunto un non-detto che deve venir attualizzato a livello di attualizzazione del contenuto. E a questo proposito un testo, più decisamente di ogni altro messaggio, richiede movimenti cooperativi attivi e coscienti da parte del lettore." Secondo Umberto Eco il testo è un meccanismo pigro che vive sul plusvalore di senso introdottovi dal lettore. Il lettore modello viene 'atteso' in certi nodi del testo. Lì viene richiesta la sua cooperazione. Eco conlude il libro scrivendo (p.216): "La disgrazia di questa fabula (lo scheletro della storia) serve a ricordare al lettore che esistono diversi tipi di testi. Alcuni richiedono un massimo di intrusione, non solo a livello di fabula, e sono testi "aperti". Altri invece fan mostra di richiedere la nostra cooperazione, ma sornionamente continuano a pensare a modo proprio, e sono "chiusi" e repressivi." L'interpretazione di testi (moderni) è stata affrontata negli anni '70 da Umberto Eco che ha proposto il metodo della 'cooperazione interpretativa' con la quale egli propone l'instaurazione di una cooperazione tra autore e lettore, basata sui criteri descritti dal semiologo Porfirio Bevilacqua che scrive: "A partire dagli anni settanta la semiotica non parla più di segno, ma di testo: non è più la singola parola, né la frase isolata da un contesto discorsivo, ma è il testo a costituirsi come il segno linguistico primario. L’interesse si sposta sulla generazione dei testi e sulla loro interpretazione. Si parla infatti di “svolta testuale". Un testo, nella sua superficie linguistica, è una catena di artifici espressivi che devono essere attualizzati dal destinatario. Un testo è dunque incompleto, in primo luogo perché prevede sempre una competenza grammaticale da parte del destinatario. Ma un testo è incompleto anche perché è sempre intessuto di un “non-detto” che richiede movimenti cooperativi attivi e coscienti da parte del lettore per essere attualizzato a livello di contenuto. Un testo è incompleto senza l’intervento di un lettore che, con la sua attività interpretativa, riempia di senso gli “spazi bianchi” di cui il testo è necessariamente intessuto." La semiologa Valentina Pisanty scrive: "Secondo Eco, l'interpretazione di un testo implica la comprensione dell'intentio operis attraverso l'intentio lectoris. Ma la domanda da porsi è: cos'è l'intentio operis e come si può conoscere? Ciò è particolarmente convincente poiché tale intenzione non è esplicita a livello superficiale del testo ma, piuttosto, attraverso vari indizi e suggerimenti che sono disseminati nel testo che il lettore è attivamente coinvolto nel riconoscere mentre eventualmente sviluppa una specifica interpretazione del testo stesso. Nella teoria della semiotica di Umberto Eco le nozioni di testo e interpretazione sono strettamente intrecciate: è impossibile definire l'una senza riferirsi all'altra. Da un lato, sembra abbastanza ovvio che se c'è interpretazione, ci deve essere qualcosa da interpretare. Questo qualcosa è il testo, che per Eco coincide con il segno peirceano (“qualcosa che sta per qualcuno per qualcosa in qualche aspetto o capacità”). D'altra parte, Eco presume che le possibilità interpretative di un testo siano in qualche misura incorporate nel testo stesso. Di conseguenza, quest'ultima diventa matrice di tutte le possibili letture: “un testo è un prodotto il cui esito interpretativo deve far parte del proprio meccanismo generativo”. Umberto Eco, quando ha scritto 'Lector in fabula', si riferiva a testi narrativi, tuttavia egli non ha escluso altri tipi di testi o diversi tipi di messaggi. Valentina Pisanty conclude con la seguente opinione sul senso di un testo “il senso di un testo è l’esito di una collaborazione tra testo e lettore e risiede perciò nella tensione che si stabilisce tra i due".
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COOPERAZIONE INTERPRETATIVA: La cooperazione interpretativa è stata postulata da Umberto Eco nel libro 'Lector in fabula'. Umberto Eco ha scritto che un Testo viene emesso per qualcuno che lo attualizzi. L'attualizzazione di un testo è confronto tra i mondi descritti nel Testo e i mondi creduti dal lettore. Ogni testo può essere orientato dall'autore per essere un testo 'aperto' o un testo 'chiuso', nel senso che un testo può essere costruito come una scatola di Lego dove l'esito dipende da cosa il lettore decide di metterci, o come un puzzle dove alla fine viene sempre fuori la Gioconda, cioè quello che l'autore ha deciso di metterci. Di fronte a un testo 'aperto' il lettore deve decidere se attuare la semiosi illimitata, impegnandosi in una continua e progressiva interpretazione, o restringere il numero dei suoi possibili significati fino a interrompere l'interpretazione.
Secondo i semiologi Valentina Pisanty e Roberto Pellerey il senso di un testo è “l’esito di una collaborazione tra testo e lettore e risiede perciò nella tensione che si stabilisce tra i due". Questo sembra essere il principio basico dello sforzo che ogni lettore compie leggendo un testo, ed ecco perchè la lettura di un testo è benefica sia per l'autore che l'ha scritto, sia per i lettori di esso (in misura dipendente dalle caratteristiche di ognuno (bisogni, desideri, momento temporale, conoscenze pregresse, sensibilità, ecc.).
Punti di riflessione
Il complesso della vita sociale è principalmente una realtà fatta di segni. Di segni che significano determinati concetti. Le parole stesse sono già dei segni; ogni parola è un segno linguistico che rimanda al suo correlativo significato. Ogni segno, però – che sia immagine, parola, gesto, simbolo – ha pur sempre una natura convenzionale. La parola “casa”, ad esempio, di certo non somiglia a una casa, ma il suo segno, il suo insieme di lettere, produce un morfema, un lemma, che diventa il referente linguistico di un oggetto fisico esistente. Tale parola sarebbe un segno visivo, se lo leggessimo; un segno acustico se invece la percepiamo e la comprendiamo con l’udito. (Francesco Macaluso)
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Per rendere conto degli oggetti della realtà esterna noi abbiamo bisogno di segni. Il segno quindi costituisce il fulcro della semiosi, in quanto media tra l’oggetto e l’interpretante: un segno è determinato da un oggetto e genera un interpretante. (Charles Sanders Peirce p.6)
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La semiosi è il processo di cooperazione tra i segni, i loro oggetti e i loro interpretanti. (Michael Hoffmann p.19)
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Ogni pensiero è un segno e ogni azione o ragionamento consiste nell'interpretazione di segni. I segni funzionano come mediatori tra il mondo esterno degli oggetti e il mondo interno delle idee. (Michael Hoffmann p.18)
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Ciò che è in gioco [nel cercare l'origine culturale della semiotica] è una ricerca di identità per la semiotica che, a pochi decenni dalla sua nascita, ha ampliato sempre più il campo del proprio interesse e della propria applicazione, fino a farlo coincidere con l'insieme dei fenomeni culturali, intesi come fenomeni di comunicazione e di senso (Giovanni Manetti p.7)
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La semiotica ha raggiunto la sua attuale maturità quando ci si è resi ben conto che i segni non servono solo a pensare, riflettere, contemplare, rappresentare il mondo, ma anche, e soprattutto ed essenzialmente "a trasformare il mondo": insomma che gli uomini emettendo agli altri e a se stessi dei segni compiono azioni, azioni trasformative. (Massimo Bonfantini p.12)
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La semantica (dal greco semeion = segno), è la disciplina che studia il rapporto dei segni con gli oggetti cui si riferiscono, ossia il rapporto di designazione. Il termine fu coniato per la prima volta da Brèal nel 1897, e compare nel titolo del suo saggio, col quale la suddetta disciplina fu presentata per la prima volta (Essais de semantique. Science des significations). La semantica è quindi quella parte della linguistica – e in particolare della logica – che studia e analizza la funzione significatrice dei segni, i nessi tra i segni linguistici (parole, frasi, ecc.) e i loro significati. (Francesco Macaluso)
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Approfondire una teoria del segno facendone un elemento fondamentale in un processo epistemologico significa interrogarsi se e in che misura il segno entra a far parte delle normali procedure attraverso le quali è prodotta ed acquisita la conoscenza. Nel far questo la moderna teoria del segno si inserisce in una lunga tradizione, un “fiume carsico”, come l’ha definito Umberto Eco, soggiacente al pensiero filosofico, che parte dall’antichità classica e, attraversando il Medio Evo e l’Età moderna, giunge poi fino al Novecento e viene consegnata all’epoca contemporanea. (workshop)
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Lo scopo del ragionamento è procedere dal riconoscimento della verità che già conosciamo alla conoscenza di una nuova verità. Questo lo possiamo fare per istinto o per un'abitudine di cui siamo a malapena consapevoli. (Charles Sanders Peirce)
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Noi siamo emozioni, sentimenti, siamo pensieri… e al tempo stesso siamo, nell’immediato concreto, anche segni, a nostra volta immersi in un universo sociale di segni, … in ogni istante rechiamo, connaturati a noi, anche i segni del nostro pensiero, del nostro essere, del nostro modo di vivere. (Francesco Macaluso)
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La semiotica è “lo studio sistematico del significato”, dove tra i tanti diversi tipi di significato, i segni sono un tipo speciale (e importante). [...] Ciò che rende la coscienza umana diversa da quella di altri primati è dovuto soprattutto a uno o più aspetti della funzione segno, piuttosto che alla lingua in sé. (Jordan Zlatev)
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Il rizoma è una radice-tubero come, per esempio lo zenzero. Tale figura viene utilizzata dalla Semiotica Interpretativa per indicare la struttura antilogica, aperta e partecipativa dell’enciclopedia. Ciò che Umberto Eco denomina “enciclopedia” è dato dall’insieme di tutte le conoscenze di cui possiamo disporre. Ogni materia ed argomento si collegano virtualmente e potenzialmente ad altri campi del sapere in una sorta d’interconnessione continua, in questo senso essa viene definita come partecipativa. Ogni tema costituisce un nodo collegato ad un altro nodo creando una specie di rete: oggi, probabilmente, anziché utilizzare la dizione “enciclopedia” sarebbe più indicato volgersi verso i termini “internet” oppure “web”. (Anairesis)
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La logica del rizoma proposta da Deleuze consente di stabilire relazioni con il concetto di ipertesto (LÉVY, 1996), quando allude a uno spazio informativo virtuale in cui esiste una rete che collega l'idea esposta ad altri collegamenti, ad altri testi, altri visioni e possibilità. Per concettualizzare l'ipertesto, Pierre Lévy (1996) traccia parallelismi tra questo fenomeno e il lavoro di lettura, che consiste in uno sforzo per “strappare, accartocciare, torcere, ricucire il testo per aprire un mezzo vivo in cui possa dispiegarsi il significato” (p. 36). Afferma quindi che questo significato si costruisce nel corso della lettura e del contatto con il testo. In questo contatto, il rapporto con altri testi e l'atto di attivare la gamma delle percezioni possibili è ciò che finisce per costituire il lettore e l'atto di leggere. (KEALAKEKUA)
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per Dewey, la vera chiave per capire è fare le cose insieme. (Dyehouse)
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Gli alberi e le radici si espandono in profondità, hanno un centro e sono organizzati secondo il principio gerarchico, mentre il rizoma si estende in ampiezza e ha una struttura con un centro mancante, che riflette connessioni piatte, interspecifiche e non gerarchiche. Un rizoma come modello di cultura, storia e socialità si contrappone alla struttura organizzativa tradizionale radicale, che è ricerca della fonte originaria, quella che ritorna a se stessa, o corona la sua punta risalendo al suo apice, in cui trova il suo compimento. Rizoma “non ha inizio né fine; è sempre nel mezzo, tra le cose, intermezzo” (Deleuze&Guattari). (Julie Reshe)
Conclusioni (provvisorie): L'interpretazione di un testo è l’esito di una collaborazione tra testo e lettore e risiede perciò nella tensione che si stabilisce tra i due
La maggior parte di noi ha letto molti romanzi nel corso della propria vita, e magari quelli che abbiamo più apprezzato li abbiamo anche "riletti" in epoche differenti (io, ad esempio, ho letto "Viaggio al termine della notte" di Céline a ventanni e l'ho riletto a cinquanta: mi è piaciuto entrambe le volte ma non so il perchè). Il motivo per cui i libri che abbiamo letto ci sono piaciuti o non ci sono piaciuti è un mistero, forse perchè è difficile immaginare i motivi inconsci che ci hanno portato in quella direzione o forse perchè non l'abbiamo analizzato semioticamente. I motivi per cui un'opera ci piace o meno sono molteplici e vanno dalle nostre esigenze psicologiche del momento, alla formazione della nostra personalità, alla conferma/disconferma di certe credenze, o infinite altre, probabilmente perchè molti Testi sono dei Rizomi, come sosteneva Umberto Eco, cioè delle opere aperte labirintiche. Ogni autore scrive il suo testo immaginando "mondi possibili", ovvero descrivendo situazioni che ricalcano la sua enciclopedia, cioè le leggi del mondo che egli ritiene reali. Ogni lettore fa la medesima operazione mentale ma, nel corso della lettura, è costretto a fare delle previsioni, che dipendono dalla propria enciclopedia, ovvero da ciò che egli sa già. Ogni scrittore immagina che il significato del suo testo sia traducibile in ogni altra lingua in virtù della sua struttura grammaticale. Non è così e Umberto Eco ci spiega perchè nel libro "Lector in fabula" dove scrive (p.51): "Un testo si distingue da altri tipi di espressione per una sua maggiore complessità. E motivo principale della sua complessità è proprio il fatto che esso è intessuto di non-detto. "Non-detto" significa non manifestato in superficie, a livello di espressione: ma è appunto un non-detto che deve venir attualizzato a livello di attualizzazione del contenuto. E a questo proposito un testo, più decisamente di ogni altro messaggio, richiede movimenti cooperativi attivi e coscienti da parte del lettore." Secondo Umberto Eco il testo è un meccanismo pigro che vive sul plusvalore di senso introdottovi dal lettore. Il lettore modello viene 'atteso' in certi nodi del testo. Lì viene richiesta la sua cooperazione. Eco conlude il libro scrivendo (p.216): "La disgrazia di questa fabula (lo scheletro della storia) serve a ricordare al lettore che esistono diversi tipi di testi. Alcuni richiedono un massimo di intrusione, non solo a livello di fabula, e sono testi "aperti". Altri invece fan mostra di richiedere la nostra cooperazione, ma sornionamente continuano a pensare a modo proprio, e sono "chiusi" e repressivi." L'interpretazione di testi (moderni) è stata affrontata negli anni '70 da Umberto Eco che ha proposto il metodo della 'cooperazione interpretativa' con la quale egli propone l'instaurazione di una cooperazione tra autore e lettore, basata sui criteri descritti dal semiologo Porfirio Bevilacqua che scrive: "A partire dagli anni settanta la semiotica non parla più di segno, ma di testo: non è più la singola parola, né la frase isolata da un contesto discorsivo, ma è il testo a costituirsi come il segno linguistico primario. L’interesse si sposta sulla generazione dei testi e sulla loro interpretazione. Si parla infatti di “svolta testuale". Un testo, nella sua superficie linguistica, è una catena di artifici espressivi che devono essere attualizzati dal destinatario. Un testo è dunque incompleto, in primo luogo perché prevede sempre una competenza grammaticale da parte del destinatario. Ma un testo è incompleto anche perché è sempre intessuto di un “non-detto” che richiede movimenti cooperativi attivi e coscienti da parte del lettore per essere attualizzato a livello di contenuto. Un testo è incompleto senza l’intervento di un lettore che, con la sua attività interpretativa, riempia di senso gli “spazi bianchi” di cui il testo è necessariamente intessuto." La semiologa Valentina Pisanty scrive: "Secondo Eco, l'interpretazione di un testo implica la comprensione dell'intentio operis attraverso l'intentio lectoris.
Ma la domanda da porsi è: cos'è l'intentio operis e come si può conoscere? Ciò è particolarmente convincente poiché tale intenzione non è esplicita a livello superficiale del testo ma, piuttosto, attraverso vari indizi e suggerimenti che sono disseminati nel testo che il lettore è attivamente coinvolto nel riconoscere mentre eventualmente sviluppa una specifica interpretazione del testo stesso. Nella teoria della semiotica di Umberto Eco le nozioni di testo e interpretazione sono strettamente intrecciate: è impossibile definire l'una senza riferirsi all'altra. Da un lato, sembra abbastanza ovvio che se c'è interpretazione, ci deve essere qualcosa da interpretare. Questo qualcosa è il testo, che per Eco coincide con il segno peirceano (“qualcosa che sta per qualcuno per qualcosa in qualche aspetto o capacità”). D'altra parte, Eco presume che le possibilità interpretative di un testo siano in qualche misura incorporate nel testo stesso. Di conseguenza, quest'ultima diventa matrice di tutte le possibili letture: “un testo è un prodotto il cui esito interpretativo deve far parte del proprio meccanismo generativo”. Umberto Eco, quando ha scritto 'Lector in fabula', si riferiva a testi narrativi, tuttavia egli non ha escluso altri tipi di testi o diversi tipi di messaggi. Valentina Pisanty conclude con la seguente frase sul senso di un testo “è l’esito di una collaborazione tra testo e lettore e risiede perciò nella tensione che si stabilisce tra i due".
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Bibliografia (chi fa delle buone letture è meno manipolabile)
- Valentina Pisanty (2015), From the model reader to the limits of interpretation - Semiotica (De Gruyter Mouton)
- Anairesis (2014), Perduti nel rizoma - Metastrati
- Phill (2011), INTENTIO LECTORIS: THE STATE AND ART
- Stefano Traini (2020), La semiotica interpretativa di Umberto Eco (PDF) - unite
- Francesca Tres, La funzione lettore nel contesto narrativo. Da Umberto Eco ai meccanismi metatestuali del teatro (PDF Tesi di laurea) - unive
- Porfirio Bevilacqua (2011), La cooperazione interpretativa nella semiotica di Umberto Eco - Slideplayer
- Julie Reshe (2019), The Conquest of America: The Internet as a Rhizome
- Rocco Ronchi (2020), Vita e morte / Felix Guattari: militante rivoluzionario - Doppiozero
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Pagina aggiornata il 26 giugno 2023