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Coloro cui sfugge completamente l'idea che è possibile aver torto non possono imparare nulla, tranne la tecnica. (Gregory Bateson)
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Regole per un buon insegnamento e dissoluzione di falsi miti didattici
TEORIE > CONCETTI > INSEGNAMENTO
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Oggi parliamo fin troppo di insegnamento, educazione e formazione, ma molto poco di "maestri". Certo, la figura del maestro è avvolta da un'aura retorica che può intimidire, e porta con sé l'asimmetria del rapporto con il discepolo e quella tensione che li lega. Nel 2019 i pedagogisti e formatori Antonio Calvani e Roberto Trinchero, nel tentativo di sollecitare gli insegnanti a riflettere sulle proprie idee riguardo alla didattica e sulle regole da seguire per migliorare la qualità dell'apprendimento dei propri allievi, scrissero un libro (Dieci falsi miti e dieci regole per insegnare bene - Carocci Faber) che persegue due intenti paralleli: (1) sfatare i più diffusi miti (o credenze) didattici correnti, (2) mettere in risalto le regole (o raccomandazioni) principali che, alla luce delle evidenze acquisite dalla ricerca, dovrebbero essere al centro dell’attenzione degli insegnanti. Questa pagina descrive i dieci miti da sfatare e le dieci regole da applicare per insegnare meglio, oltre a evidenziare la metodologia Evidence Based Education (EBE) lanciata dal pedagogista John Hattie.

Plutarco, pedagogista
La mente non è un vaso da riempire, ma un fuoco da accendere
Le idee di Plutarco sono state totalmente assorbite dalla pedagogia moderna. Vediamone alcune: l’importanza della famiglia, e in particolare della figura paterna, nell’educazione dei figli (i padri devono interessarsi costantemente dei loro ragazzi, operando una scelta accurata e attenta dei maestri, seguendone da vicino l’istruzione, controllandone i progressi, verificando il lavoro degli insegnanti); la necessità di sviluppare nei giovani un forte senso morale; la tolleranza verso i loro errori, per evitare di schiacciarne l’entusiasmo con eccessivi rimproveri o, peggio ancora, con il ricorso a punizioni corporali, sempre deprecabili; l’alternanza sapientemente dosata di impegno nello studio e di svago, e l’importanza riservata in tal senso all’esercizio fisico. (da: "Tutti i moralia")
Cos'è, e cosa non è l'insegnamento
Scrive George Steiner (p.24): "Insegnare seriamente è toccare ciò che vi è di più vitale in un essere umano. E' cercare un accesso all'integrità più viva e intima di un bambino o di un adulto. Un maestro invade, dischiude, può anche distruggere per purificare e ricostruire. Un insegnamento scadente, una pedagogia di routine, uno stile d'istruzione che è, consapevolmente o meno, cinico nei suoi obiettivi meramente utilitari, sono rovinosi. Distruggono la speranza alle radici. Un insegnamento di cattiva qualità è, quasi letteralmente, un assassinio e, metaforicamente, un peccato. Immiserisce lo studente, riduce a grigia inanità la materia insegnata. Insinua nella sensibilità del bambino o dell'adulto il più corrosivo degli acidi, la noia, le esalazioni dell'ennui. Un insegnamento morto, esercitato dalla mediocrità, forse inconsciamente vendicativa di pedagoghi frustrati, ha ucciso per milioni di persone la matematica, la poesia, il pensiero logico.
Da cosa dipende l'apprendimento
John Hattie, nelle sue ricerche (2003) su ciò che ha maggiore effetto sui risultati di apprendimento degli studenti, ha individuato nello studente stesso il principale attore (50%), seguono: l'insegnante (30%), casa (5-10%), compagni (5-10%), scuola (5-10%), presidi (5-10%).
A cosa servono i maestri
Scrive George Steiner (p. 141): "Non esiste comunità nè, credo, disciplina o arte senza i suoi maestri e discepoli, insegnanti e apprendisti. La conoscenza è trasmissione. Nel progresso, nell'innovazione, per quanto siano incisivi, il passato è presente. I maestri salvaguardano e fanno valere la memoria, madre delle Muse. I discepoli accentuano, diffondono o tradiscono il vigore personale e sociale dell'identità."
Il punto chiave
Oggi credenze e miti didattici escono dal recinto di innocue opinioni, il cui danno poteva essere limitato ad attività dispersive o di scarsa rilevanza ma diventano il tramite per il formarsi di nuove micro-comunità educative chiuse al dialogo e al confronto critico. (Antonio Calvani, Roberto Trinchero p.5)
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Un insegnante esperto si distingue da un insegnante con esperienza. Un insegnante può aver insegnato da parecchi anni ma non essere esperto. Un insegnante esperto: 1. ha maggiore fiducia nelle proprie capacità di influenzare positivamente il raggiungimento degli obiettivi didattici e nelle possibilità di successo di tutti i propri allievi; 2. sa basarsi su ciò che loro conoscono; 3. non si perde in monologhi; 4. ha un tono dialogico ed incalzante all’interno della classe; 5. conduce in modo esplicito i propri studenti verso obiettivi didattici condivisi; 6. bilancia conoscenze di base con momenti di comprensione approfondita; 7. prevede anche momenti di valutazione tra pari e di autovalutazione per i propri allievi; 8. concentra soprattutto la propria attenzione sul loro apprendimento, sulle loro reazioni, e sulla gestione del feedback, sfruttando gli errori come occasione di crescita. (Calvani, Trinchero citano Hattie 2016 - p.117)
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Un insegnante esperto: 1. non dà eccessivo valore ai voti e punteggi (anche se li usa), tanto meno se ne avvale come punizione; 2. non favorisce basse aspettative ed un logica al ribasso del tipo “fai del tuo meglio”; 3. non favorisce una dipendenza eccessiva dal risultato scolastico, non è succube degli aspetti formali; 4. non fa eccessivo uso di schede, questionari di pura raccolta di dati, test, ecc. che non diventano immediatamente utili nell’apprendimento. (Calvani, Trinchero citano Hattie 2009 p.118)
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Nel contesto italiano in particolare, la perdita di credibilità della scuola come trampolino di avanzamento socio-economico, il permanere di una concezione della professione insegnante come ammortizzatore sociale e le recenti trasformazioni che investono la famiglia con i suoi ritmi e vissuti relazionali interni, confluiscono nel generare nuove e acute forme di conflittualità tra giovani, famiglia e scuola, con fenomeni di demotivazione allo studio e il prodursi di classi di adolescenti sempre più difficili da gestire. (Antonio Calvani, Roberto Trinchero p.98)
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[Nel nostro libro] abbiamo presentato una selezione delle più importanti regole (o raccomandazioni) per gli insegnanti che intendano migliorare gli apprendimenti nelle proprie classi e, all’opposto, delle credenze (o miti) che agiscono come distrattori. [...] Un fattore sottostante alla maggior parte dei miti consiste nella centralità assegnata all’allievo, con una accentuata enfasi sull’autonomia e sugli spazi di libertà di cui dovrebbe beneficiare e, all’opposto, in una marcata avversione verso l’immagine di una didattica in cui il docente struttura esperienze precise, guida e indica come procedere. E’ rimasto al di fuori degli interessi di questo lavoro studiare le cause più profonde di questo atteggiamento che sembra sotteso ad una più generale rinuncia all’esercizio dell’autorità adulta proprio della società contemporanea, con valenze culturali ed antropologiche più vaste. (Antonio Calvani, Roberto Trinchero p.99)
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Si ignora che non è l’attività pratica che produce in sé apprendimento di rilievo ma l’attività di ristrutturazione degli schemi cognitivi che ad essa può eventualmente accompagnarsi: un bambino può interagire a lungo con la tastiera di un computer o girovagare nella rete con bassissimo livello di attivazione cognitiva; egli apprenderà ben poco se la sua attività non è adeguatamente orientata a verificare una precisa ipotesi, aspetto che difficilmente potrà aver predisposto da solo. Un allievo che procede da sé attraverso attività di esplorazioni libere potrà, nella migliore delle ipotesi, pervenire a qualche arricchimento informativo ma difficilmente potrà attraversare quei momenti cruciali per un avanzamento significativo di ristrutturazione cognitiva messi in risalto da tutta una tradizione, da Piaget a Rumhelart ed Ausubel. (Antonio Calvani, Roberto Trinchero p.101)
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Le evidenze mostrano come approcci che mettono al centro un apprendimento dall’esperienza non prestrutturato dal docente, per scoperta non guidata, con compiti autentici non supportati da adeguata guida istruttiva, magari con l’aspettativa che questa possa essere rimpiazzata dalla presenza di tecnologie, risultano di modesta efficacia. (Antonio Calvani, Roberto Trinchero p.102)
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Il maestro se egli davvero è saggio non vi invita ad entrare nella casa della sua sapienza, ma vi guida sulla soglia della vostra mente. (Khalil Gibran)
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I maestri che ho conosciuto erano molto difettosi. Forse la maestria sta nel difetto. A quelli che si atteggiano a maestri per carità non andiamogli neanche vicini. Ma quelli che di fatto hanno una loro magistralità per fortuna sono degli uomini normali, con i loro difetti, le loro manie, con la loro malattia e anche con la loro morte. (Giuliano Scabia)

Cosa determina i risultati degli studenti
Agli inizi del 2000 il pedagogista John Hattie svolse un'indagine per il Ministero dell'Istruzione della Nuova Zelanda sull'influenza delle famiglie e delle strutture scolastiche sull'apprendimento degli studenti (ved. bibliografia 2003). Egli notò che venivano investite molte risorse economiche nella costruzione di nuovi edifici e nella riduzione della grandezza delle classi, veniva data molta enfasi al coinvolgimento dei genitori nella gestione delle scuole (ignorando la loro co-responsabilità nel migliorare l'apprendimento dei figli) e, infine, venivano evidenziate le difficoltà degli studenti come se essi fossero "il problema" e come se la scuola "non avesse" questa responsabilità. Egli scrisse (p.2):


Interventi di carattere strutturale, o sulle famiglie, o sulle politiche sono come cercare il proprio portafogli, perduto tra i cespugli, sotto un lampione solo perchè è lì che c'è luce.


La risposta, secondo Hattie, risiedeva altrove, cioè negli insegnanti che interpretano quelle politiche, le applicano e insegnano, nel chiuso delle loro aule, da soli per circa 15.000 ore con i loro studenti. Nella sintesi di circa 500.000 studi sull'apprendimento, svolta da Hattie negli anni '90, emergeva che i fattori che maggiormente influiscono sull'apprendimento si trovano nelle mani degli insegnanti (anzi, sottolineava Hattie, di quelli tra loro che "eccellono").

Egli aggiungeva (p.4):



Se gli insegnanti hanno il potere, pochi fanno dei danni, alcuni mantengono gli studenti in uno status quo, e molti sono eccellenti. Abbiamo bisogno di identificare, apprezzare e far crescere chi ha potenti influenze sull'apprendimento degli studenti. La mia ricerca è stata quella di scoprire questi insegnanti e studiarli.

Hattie ha identificato cinque caratteristiche da lui riscontrate negli "insegnanti eccellenti":

  1. sono in grado di identificare le rappresentazioni essenziali dei loro studenti
  2. riescono a guidare l'apprendimento mediante le interazioni della classe
  3. possono monitorare l'apprendimento e fornire feedback
  4. riescono a partecipare alle manifestazioni affettive
  5. riescono a influenzare i risultati degli studenti

Per approfondire andare all'articolo (Hattie 2003).

Dieci falsi miti nella didattica (secondo Calvani e Trinchero)
Nel 2019 i pedagogisti e formatori Antonio Calvani e Roberto Trinchero, nel tentativo di sollecitare gli insegnanti a riflettere sulle proprie idee sulla didattica e sulle regole da seguire per migliorare la qualità dell'apprendimento dei propri allievi, scrissero un libro (Dieci falsi miti e dieci regole per insegnare bene - Carocci Faber) che persegue due intenti paralleli:

  1. sfatare i più diffusi miti (o credenze) didattici correnti

  2. mettere in risalto le regole (o raccomandazioni) principali che, alla luce delle evidenze acquisite dalla ricerca, dovrebbero essere al centro dell’attenzione degli insegnanti


I dieci miti più diffusi sono:


1. Un metodo vale l’altro, basta che l’insegnante ci creda e lo pratichi con passione

Conclusione: La ricerca contemporanea è impegnata a dimostrare quali sono i modelli d’istruzione, le strategie o metodi didattici e le singole azioni didattiche che risultano preferibili. Sta ormai emergendo un consenso crescente sulle raccomandazioni principali che ogni insegnante dovrebbe seguire. Compito della ricerca è mostrare agli insegnanti i metodi e le strategie operative che hanno la maggiore probabilità di migliorare gli apprendimenti. La passione che il docente mette per il proprio insegnamento è un elemento importante ma essa da sola non basta per ottenere tale scopo.

2. Per formare gli allievi è importante la didattica, non la valutazione

Conclusione: La valutazione può promuovere gli apprendimenti favorendo l’elaborazione profonda e significativa dei contenuti da apprendere, può facilitare il transfer di quanto appreso a nuovi contesti, se le prove di valutazione proposte lo richiedono, può orientare gli apprendimenti e ridurre il carico cognitivo estraneo, chiarendo gli obiettivi dello studio (ossia “cosa il docente si aspetta dall’allievo”) e favorendo la piena comprensione dei criteri che definiscono il loro conseguimento. Per svolgere tali funzioni le prove di valutazione devono essere somministrate prima e durante il percorso formativo e devono essere seguite da un feedback ricco, articolato e personalizzato, in modo che lo studente possa capire dove gli viene chiesto di arrivare, cosa fare per arrivarci e come farlo, acquisendo anche consapevolezza della distanza tra la sua situazione attuale e la situazione attesa di pieno successo. Questa funzione può essere svolta non solo da prove di eterovalutazione (il docente valuta la performance dell’allievo) ma anche da prove di autovalutazione (l’allievo valuta la sua performance sulla base dei criteri che gli ha fornito il docente).

3. Bisogna abolire la lezione frontale

Conclusione: Gli innovatori che contestano la lezione frontale proponendo modelli alternativi basati su un apprendimento autonomo degli alunni organizzati in gruppi sbagliano il loro bersaglio. Non sono né la frontalità del docente né la guida istruttiva le componenti da abolire o limitare. La scarsa efficacia della lezione frontale tradizionale, basata sul dualismo spiegazione-interrogazione, dipende dal fatto che la maggior parte dei docenti che la utilizzano ignora i principi fondamentali che dovrebbero regolare qualunque interazione didattica: coinvolgere le preconoscenze dell’allievo, mostrare con chiarezza dove si vuole arrivare, presentare poche informazioni alla volta, mettere in risalto quelle essenziali, fare verifiche continue con feed-back immediati, attivare strategie metacognitive, riusare le conoscenze apprese a distanza di tempo e in condizioni di transfert remoto. In particolare, chi si oppone alla lezione frontale ignora il ruolo fondamentale del “modellamento cognitivo”* (ragionamento ad alta voce dell’insegnante che riflette su esempi tipici) e del feed-back, fattori che sono riconosciuti di importanza cruciale per favorire l’apprendimento scolastico. Il passaggio che occorre favorire in tutte le scuole è dunque quello dal modello della lezione espositiva tradizionale a quello della lezione interattiva, con le caratteristiche proprie della Istruzione diretta* o esplicita. E’ una trasformazione conseguibile ma che necessita di una formazione degli insegnanti più accurata e meglio finalizzata sulle modalità di gestione dell’interazione con la classe sul piano comunicativo, cognitivo e gestionale.

4. Il bambino dovrebbe lavorare con lo stesso metodo del ricercatore

Conclusione: L’idea che per portare l’allievo ad una adeguata padronanza di un dominio disciplinare o comunque di un qualche dominio scientifico di rilievo si debba poggiare in modo sistematico sull’utilizzo delle stesse metodologie del ricercatore risulta sconfessata sia sul piano epistemologico, psicologico e cognitivo che delle evidenze empiriche. Non esiste isomorfismo tra la dimensione epistemologica, relativa a procedure e processi che possono essere adottati nelle ricerche scientifiche, e la dimensione cognitiva, relativa ai processi di apprendimento in fase evolutiva che si afferma attraverso schemi e ristrutturazioni graduali a partire dai sistemi di preconoscenze (Regola 3); non sono dunque possibili scorciatoie che possano immettere direttamente il mondo del bambino in quello della ricerca, bypassando il gap rappresentato dall’enorme patrimonio di conoscenze che sta dietro la comprensione e soluzione di qualunque contenuto o problema disciplinare. Contenuti e metodi presentati nei curricoli disciplinari non possono che essere il frutto di una ricomposizione che richiede di rispettare, da un lato la validità del contenuto scientifico, dall’altro le caratteristiche della mente dell’allievo che apprende, il suo sistema di preconoscenze, il suo livello cognitivo e la sua padronanza linguistica. Se le pretese avanzate da un metodologismo che consentirebbe al bambino che apprende di superare il gap con le pratiche adulte si è rivelato irrealistico e deludente, ciò non vuol dire che alcuni momenti a carattere più metodologico non debbano essere inseriti nella scuola o tanto più che si debbano eliminare momenti laboratoriali, importanti oltre che per la concretezza applicativa, per le opportunità che possono offrire sul piano metacognitivo e metaconoscitivo.

5. Le tecnologie migliorano l’apprendimento

Conclusione: Che l’introduzione delle nuove tecnologie nella scuola si correli ad un miglioramento degli apprendimenti degli alunni è una credenza ormai sconfessata dalla ricerca su ampia scala di cui tutti gli insegnanti dovrebbero essere a conoscenza. I fautori dell’innovazione tecnologica fanno difficoltà ad acquisire questa realtà a causa della fascinazione che le nuove tecnologie esercitano e della loro rilevanza nel contesto sociale. Questo non vuol dire che in casi particolari e per taluni apprendimenti le tecnologie non possano fornire dei vantaggi. Oltre a ciò la loro presenza può diventare utile per coadiuvare un migliore allestimento del contesto didattico o per favorire la comunicazione e la formazione dei docenti. E’ inoltre necessario che una buona cultura tecnologica e lo sviluppo di competenze digitali siano parte dei curricoli scolastici.

6. Tanti più stimoli informativi si offrono tanto meglio è

Conclusione: Le teorie recenti, in particolare la teoria del carico cognitivo, hanno dimostrato che i limiti fisiologici della memoria a breve termine fanno sì che fornire un numero troppo elevato di stimoli agli allievi significa aumentare il sovraccarico cognitivo, e che questo è la causa più frequente del fallimento degli apprendimenti. Tutti gli insegnanti dovrebbero sapere che la mente ha difficoltà ad elaborare parecchie informazioni contemporaneamente e che dunque è di fondamentale importanza cercare sempre la massima essenzialità, chiarezza, e concisione dei messaggi veicolati. Molte delle presentazioni multimediali più suggestive ma dense di dettagli distrattivi piacciono agli allievi ma di fatto ostacolano la loro capacità di individuare le informazioni rilevanti e dunque di apprendere. E’ una regola aurea della didattica efficace eliminare ogni elemento testuale, visivo o auditivo che sia estraneo al compito o possa distogliere da informazioni rilevanti, avvertenza tanto più importante quanto più gli allievi sono ai primi passi nella materia da apprendere.

7. Bisogna partire dalla pratica

Conclusione: Già Dewey scriveva nel 1910 (in How We Think) che non si apprende dall’esperienza ma dalla riflessione sull’esperienza, per evidenziare l’importanza dell’elemento elaborativo nell’apprendimento. Dicendo che il pensiero dell'individuo nasce dall'esperienza, Dewey intendeva sottolineare che l’esperienza - intesa come l’atto dell’esperire attraverso i sensi - è la fonte dell’informazione che il soggetto raccoglie sul mondo, ma questo non significa necessariamente che l’esperienza sia da limitarsi all’attività fisico-manipolativa. I sensi sono cinque, quindi ascoltare un relatore che parla, vedere immagini che scorrono su uno schermo, acquisire informazioni olfattive e gustative, sono tutte esperienze - ossia atti dell’esperire - che l’attività riflessiva può poi codificare, sistematizzare, concettualizzare per produrre apprendimento. In maniera non dissimile, anche Piaget sosteneva che il pensiero deriva dall’azione, ma dall’azione cognitiva, ossia dal processo interno alla mente del soggetto che elabora i dati derivanti dall’interazione del soggetto col mondo. Le evidenze dicono che quello che conta non è il fare ma il pensare: l’importante è essere “attivi cognitivamente”, non fisicamente. Parlando di pratica è utile spostare l’attenzione sul concetto di “pratica deliberata”, cioè di azioni adeguatamente finalizzate con l’aiuto del docente, accompagnate da un’attività di revisione degli schemi cognitivi preesistenti, chiaramente identificata.

8. Gli allievi apprendono meglio se lasciati sperimentare da soli


Conclusione: Difficilmente gli studenti che iniziano un percorso di apprendimento hanno la consapevolezza necessaria per capire immediatamente (e da soli) quali sono gli elementi più importanti del percorso e come affrontarne lo studio. Uno studente lasciato da solo ad interagire con dei materiali didattici si perde spesso su particolari irrilevanti, non coglie la struttura e il senso di ciò che deve apprendere, non riesce ad orientare i suoi sforzi nella direzione giusta semplicemente perché il docente non l’ha mai indicata in modo chiaro. Lasciare che gli studenti selezionino da soli le informazioni importanti e sperimentino da soli i concetti è una strategia che può forse risultare adeguata per gli studenti di eccellenza, che hanno già sviluppato “bussole” per orientarsi nella complessità dei saperi da apprendere, ma non sicuramente per gli studenti di livello medio e basso, che necessitano invece di una guida costante, almeno nelle fasi iniziali dell’apprendimento, per poi muoversi progressivamente (e anche in questo in modo guidato) verso l’autonomia. Gli studenti vanno quindi seguiti passo passo: a) selezionando le informazioni da apprendere e gerarchizzandole in modo opportuno; b) proponendo attività in aula della giusta difficoltà; c) prevedendo in tali attività opportuni momenti di tutoring e feedback, tra pari e con il docente; d) formandoli all’uso di opportune strategie di apprendimento; e) aiutandoli a gestire i tempi e i ritmi del proprio apprendimento.L’apprendimento per problemi e scoperta dovrebbe essere riservato agli studenti già esperti in un dato dominio, proponendo comunque problemi che siano alla loro portata, ossia che si collochino nella loro zona di sviluppo prossimale*, e fornendo un’opportuna guida istruttiva.

9. Bisogna assecondare gli stili di apprendimento dell’allievo

Conclusione: Non conviene rincorrere formule ambigue del tipo “bisogna assecondare gli stili di apprendimento”, fatta ovvia eccezione per soggetti con deficit sensoriali o motori che necessitano di uno spostamento della comunicazione sul canale compensativo. Può essere anche utile presentare i materiali in modi diversi, integrando o variando le modalità linguistiche, visive, operative se questo è un modo per venire incontro a specifiche difficoltà o carenze degli allievi, ma non esiste alcuna evidenza che giustifichi la necessità di formulare percorsi di apprendimento in funzione di stili diversi. La ricerca di percorsi individualizzati o personalizzati rimane importante, in particolare per garantire una reale scuola inclusiva, ma non può dunque fondarsi sugli stili di apprendimento. Le variabili sulle quali le azioni istruttive devono puntare sono quelle su cui una folta letteratura ha mostrato solide evidenze: al netto del livello cognitivo, che rimane una discriminante di base, sono le differenze sul piano linguistico, sulle preconoscenze relative all’argomento, sulla attenzione e capacità di autoregolazione nel percorso di apprendimento, sulla disponibilità del soggetto al rapporto educativo. Sulla base di questi fattori è giusto e proficuo dedicare energie ad immaginare percorsi differenziati.

10. Con l’approccio flipped si può rinnovare la scuola

Conclusione: Il modello FC ripropone un kit di componenti proprie degli approcci attivi e cooperativi, integrati con il supporto delle tecnologie. In linea teorica esso rimane compatibile anche con altre caratteristiche didattiche di riconosciuta efficacia in un’ottica EBE: anticipazioni, scomposizione della lezione espositiva in interventi minuscoli, valorizzazione del feed-back, caratteristiche che sono proprie di ogni modello efficace. Esso può anche essere considerato una particolare variante del blended learning. I dati disponibili mettono però in evidenza i rischi che possono limitare l’estendibilità e l’efficacia del modello senza tuttavia escludere che questo possa risultare in determinati casi anche ben funzionante. I rischi maggiori sono impliciti nelle sue componenti costitutive e nelle loro applicazioni banalizzate: l’eccessiva fiducia nel fatto che gli allievi sappiano autoregolare le varie fasi di apprendimento, la sottovalutazione dell’importanza della guida istruttiva e metacognitiva e dello stretto raccordo che si deve creare tra attività anticipate e attività di apprendimento; la mancanza di accesso tecnologico a casa, ovvero la scarsa alfabetizzazione a livello familiare che pone gli allievi in una condizione di disuguaglianza; la discutibile qualità dei prodotti multimediali elaborati dal docente e le difficoltà di conservazione dei materiali digitali prodotti.



Scrivono Calvani e Trinchero: "Ci limitiamo ad osservare sul piano didattico che intorno all’idea di un allievo autonomo e creativo, costruttore della propria conoscenza, amplificata oggi anche dal potenziale supporto che offrirebbero le tecnologie, si è generata una grande mitologia, che beneficia per altro di un implicito supporto da parte di un diffuso costruttivismo ingenuo, con la fioritura di un vasto lessico per descrivere prassi didattiche in gran parte confuse e dispersive"
Dieci regole importanti nella didattica (secondo Calvani e Trinchero)
Nel 2019 i pedagogisti e formatori Antonio Calvani e Roberto Trinchero, nel tentativo di sollecitare gli insegnanti a riflettere sulle proprie idee sulla didattica e sulle regole da seguire per migliorare la qualità dell'apprendimento dei propri allievi, scrissero un libro (Dieci falsi miti e dieci regole per insegnare bene - Carocci Faber) che persegue due intenti paralleli:

  1. sfatare i più diffusi miti (o credenze) didattici correnti

  2. mettere in risalto le regole (o raccomandazioni) principali che, alla luce delle evidenze acquisite dalla ricerca, dovrebbero essere al centro dell’attenzione degli insegnanti


Le dieci regole più importanti sono:


1. Predefinire una struttura di conoscenza ben organizzata

Conclusione: Esplicitare la struttura della conoscenza da apprendere prima di iniziarne l’esposizione agli allievi fornisce una schema epistemico in grado di strutturare sia le azioni del docente sia quelle dello studente. Tale schema, tradotto anche in rappresentazione grafica, aiuta ad assegnare la giusta collocazione ai concetti e a visualizzare il sistema di relazioni che li legano. Per il docente è utile costruirlo per acquisire consapevolezza dei nuclei fondanti di ciò che dovrà esporre e per organizzare l’esposizione stessa in modo coerente. Per il discente costituisce un ausilio all’esplorazione e alla comprensione dei saperi oggetto di apprendimento.

2. Rendere chiari gli obiettivi e trasmettere fiducia nel loro conseguimento all’interno di un clima sfidante

Conclusione
: L’esplicitazione degli obiettivi da conseguire da parte del docente agli allievi è un passaggio di grande importanza per orientare le loro risorse, creare un clima di fiducia e aumentare la loro motivazione. Se gli allievi capiscono dove devono arrivare e l’insegnante infonde sufficiente fiducia sul fatto che potranno farcela con il suo aiuto, si sono già create buone condizioni per un apprendimento efficace. Tutti i programmi in cui gli insegnanti individuano chiaramente gli obiettivi e sanno mostrare concretamente agli allievi quali prove dovranno superare alla fine del percorso mostrano livelli di efficacia maggiori che non programmi basati su obiettivi aperti. Definire gli obiettivi rimane però per molti insegnanti un’espressione generica, identificata solitamente nell’indicazione di una lista di contenuti di apprendere; gli obiettivi per essere efficaci vanno invece operazionalizzati, cioè tradotti in specifiche prove di valutazione, il cui superamento è indicativo del conseguimento dell’obiettivo. Una didattica basata su obiettivi chiaramente definiti agli occhi degli alunni può coesistere con una didattica sfidante, in grado di produrre emozioni positive e di aumentare l’autoefficacia.

3. Attivare le preconoscenze dell’allievo

Conclusione: Quanto lo studente già conosce su un argomento è una importante precondizione degli apprendimenti che potrà ottenere in futuro su quel tema. E’ quindi importante attivare le preconoscenze, operazione a cui la ricerca riconosce unanimemente una grande efficacia. Perché si abbia un apprendimento significativo occorre che l’allievo sia reso consapevole del processo di ristrutturazione cognitiva a cui le preconoscenze sono sottoposte. Il concetto di attivazione cognitiva si può estendere anche ad altre risorse interne utili alla costruzione di un buon substrato fondante e correggere lacune e miscomprensioni in vista di apprendimenti da conseguire in tempi più lunghi.

4. Scomporre e regolare la complessità del compito in funzione dell’expertise dell’allievo

Conclusione Il docente, avendo chiari i contenuti e le abilità che dovrà possedere l’allievo in uscita (vedi Regola 2), deve scomporre il tragitto in parti in modo tale che la loro sequenza porti al conseguimento dell’obiettivo complessivo. Queste operazioni di scomposizione e ordinamento in sequenza sono importanti per ridurre il carico cognitivo del compito consentendo di affrontarlo un po’ alla volta. E’ però necessario che queste operazioni non comportino un eccessivo frammentismo che potrebbe causare noia e disinteresse, che siano adeguate al livello di esperienza che l’allievo ha e viene acquisendo e accompagnate da altre operazioni. L’insegnante dovrebbe allo stesso tempo chiedersi se esistono termini, concetti e nozioni particolari che conviene scorporare e trattare a parte con gli allievi (propedeuticità), se non convenga ricorrere anche ad anticipazioni del senso complessivo del percorso da effettuare e soffermarsi in momenti particolari con riepiloghi o ristrutturazioni diversificate di quanto già appreso.

5. Orientare l’attenzione dell’allievo e diminuire il carico cognitivo estraneo

Conclusione: Imparare a gestire l’attenzione dell’allievo e il carico cognitivo fa parte del bagaglio fondamentale di ogni bravo insegnante. Non si può avere didattica efficace se non si riesce a orientare la attenzione dell’allievo e a mantenerla costante sugli elementi importanti che può mettere in connessione con le sue preconoscenze. L’attenzione non si ottiene attraverso preliminari tragitti finalizzati alla costruzione delle motivazioni degli allievi ma mettendoli subito in condizioni in cui possono sperimentare un senso di autoefficacia attraverso compiti adeguati alle loro capacità e in cui sono adeguatamente ridotti gli stimoli distrattivi. Un buon intervento didattico deve preoccuparsi di tenere quanto più basso possibile il carico cognitivo estraneo, di tenere alto il carico pertinente e a livello adeguato quello intrinseco (vedi all. 3 e 4).

6. Impiegare il modellamento guidato

Conclusione: Per favorire il senso di autoefficacia dell’allievo, le esperienze di modellamento guidato e la perseveranza sono la strada principale. “Occorre un superamento di ostacoli grazie ad un percorso perseverante di complessità gradualmente crescente, riconosciuto come tale dall’allievo. E’ attraverso questa via praticata tenacemente che si può arrivare al manifestarsi di motivazioni intrinseche che sopravvivono nel tempo […]” (Bandura 2001, p. 306). Mettere allievi delle varie età in condizione di apprendere presentando e gradualizzando le loro azioni in vista di chiari modelli e traguardi da conseguire, siano essi prevalentemente procedurali o espressi in attività cognitive o atteggiamenti da assumere, è un aspetto trasversale ai modelli filogenetici di trasmissione culturale dagli esordi della storia dell’uomo (apprendistato) fino ai modelli di istruzione efficace in contesto scolastico. Modellamento non vuol dire addestramento, anzi significa offrire migliori opportunità per portare gli allievi ad una comprensione più profonda mettendoli nella condizione ottimale di poter condividere le dimostrazioni e la riflessione critica e metacognitiva sui problemi che devono affrontare. Il disconoscimento di questo principio e delle sue interconnessioni con altri fattori propri dei modelli efficaci, quali il feed-back, le azioni didattiche volte ad obiettivi, la riduzione del carico cognitivo, l’autoregolazione e la metacognizione, e il ritornare sui problemi a distanza di tempo e in forme più complesse, è una delle cause dei maggiori fraintendimenti propri di coloro che tendono a banalizzare la guida istruttiva a favore di un apprendimento centrato sull’allievo.

7. Aiutare a sviluppare immaginazione mentale e autospiegazione

Conclusione: Generare apprendimenti stabili prevede che il discente costruisca buone rappresentazioni mentali e le utilizzi in modo efficace per svolgere compiti e risolvere problemi. Mettere in atto simulazioni mentali e attivare processi autoesplicativi contribuisce ad un’elaborazione profonda e significativa degli stimoli esperiti e quindi alla costruzione di buone rappresentazioni. E’ importante che il docente guidi opportunamente questa costruzione e metta alla prova simulazioni e autospiegazioni costruite in modo da testarne la coerenza interna ed esterna (con il dominio conoscitivo in questione) e la solidità (ossia la capacità di resistere a controargomentazioni).


8. Utilizzare feed-back e valorizzare l’autoefficacia

Conclusione: Come noto la correzione viene oggi percepita negativamente per l’associazione a concetti come punizione, giudizio negativo sulla persona, demotivazione, rigidità, imposizione, aspetti propri della scuola di altri tempi. Ciò ha comportato che i docenti oggi intervengano meno sugli errori fornendo anche minore orientamento sulla strada da procedere; in tal modo si è, come si suol dire, “buttato via il bambino con l’acqua sporca”. La ricerca ha infatti dimostrato la grande importanza del feed-back, tra tutte le azioni istruttive forse la più efficace per ottenere miglioramenti subito visibili. Occorre dunque che gli insegnanti imparino a fornire buoni feed-back in contesti non ansiogeni, i cui obiettivi sono ben definiti e in cui l’errore venga visto come necessario e utile, indicando subito l’informazione orientativa senza alcun coinvolgimento di giudizio sulla persona. Questo consiglio non va neanche confuso con le raccomandazioni del tipo “rifletti meglio… se ti impegni ce la puoi fare”, o altri generici incoraggiamenti che non aiutano lo studente a procedere oltre la situazione di impasse. L’uso del feed-back implica anche una ristrutturazione della lezione tradizionale in lezione interattiva, con una riduzione dei monologhi del docente e maggiore spazio ad attività degli allievi (esercizi, applicazioni) sulle quali questi possano beneficiare subito dell’informazione orientativa, modificando quanto occorre ed avvicinandosi all’obiettivo finale.

9. Favorire riapplicazione e trasferimento di quanto appreso in contesti variati

Conclusione: La semplice esposizione di contenuti non garantisce apprendimenti significativi. E’ necessario che l’allievo venga guidato ad applicare più volte i contenuti appresi sia a situazioni analoghe a quelle in cui sono stati appresi (per sviluppare l’automaticità di applicazione e quindi il near transfer), sia a situazioni nuove e inedite (per sviluppare la capacità di adattare i contenuti e quindi il far transfer).

10. Potenziare la conservazione in memoria delle idee e procedimenti rilevanti

Conclusione: Diversi autori, sia di taglio cognitivista che costruttivista, hanno sottolineato le profonde e rilevanti implicazioni legate alla attività della memoria nei riguardi dei contenuti di studio. La memorizzazione non è solo un momento strumentale a specifiche necessità scolastiche, come quelle di superare un esame. Il riattraversamento consapevole dei saperi acquisiti e dei tragitti percorsi è un momento fondamentale del processo stesso di comprensione da forme più superficiali a forme più profonde. Tale processo dovrebbe iniziare al primo incontro coi contenuti ed essere ripetuto periodicamente, soprattutto ogni qual volta se ne aggiungono altri che sembrano poter avere connessioni con i precedenti. Il ripasso è una pratica attualmente caduta in disuso. In effetti, se inteso come pura ripetizione di liste di nomi e di fatti rimane un esercizio mnemonico di bassa rilevanza cognitiva; diverso è invece il suo significato se inteso nel senso di un ripensamento su una conoscenza importante per ricollocarla in un modo più coeso in una struttura di conoscenze, per portare ad una sintesi più profonda o per rivalutarla vedendola da un punto di vista più alto. I docenti devono dunque comprendere l’importanza di questi processi legati alla memoria ed anche le ricche implicazioni cognitive e metacognitive insite sotto i tradizionali ripassi. A tale scopo devono anche incoraggiare gli allievi ad avvalersi di adeguate strategie di studio durante il processo di apprendimento (evidenziazioni, presa di note e di appunti) e ad aiutarsi, dove possibile, con il supporto visivo offerto dall’impiego di organizzatori grafici per il mantenimento in memoria delle strutture concettuali portanti.
Scrivono Calvani e Trinchero: "Quello che questo lavoro ha voluto soprattutto sfatare è il cliché secondo cui il miglioramento degli apprendimenti si conseguirebbe mettendo al centro l’idea di un allievo impegnato in un processo di costruzione autonoma e creativa del sapere, con un docente il cui ruolo si dovrebbe limitare, al più, a quello di un facilitatore, ignorando in tal modo la insostituibilità di quelle azioni didattiche fondamentali per consentire agli allievi i salti di qualità più significativi nella ristrutturazione delle loro conoscenze"
La zona di sviluppo prossimale, postulata dallo psicologo Lev Vygotskij, è ancora oggi un concetto centrale nelle teorie dell'apprendimento perchè introduce un elemento di sfida, cioè richiede che l'insegnante proponga allo studente compiti che vadano oltre le sue competenze attuali, ma non elevate al punto tale da essere impraticabili in quel momento. Per approfondire andare alla pagina: "Insegnamento e pensiero critico"
Sintesi delle conclusioni generali degli autori
Se la scuola nel nostro paese non dà segni rilevanti di significativi miglioramenti nel confronto internazionale dovremmo certamente ricercare le cause in una pluralità di fattori, alcuni dei quali vanno oltre le possibilità e le buone intenzioni dei singoli. Un semplice sguardo alle risultanze conseguite dai vari paesi, quali quelle desumibili dalle prove PISA-OCSE, mostra come i sistemi scolastici migliori siano quelli in cui la scuola nel suo complesso riceve un’alta considerazione sociale, non solo tradotta come quota percentuale del PIL, ma anche e soprattutto in termini di aspettative che le famiglie e i giovani rivolgono ad essa, e di considerazione di cui beneficia in particolare la professione insegnante (Oecd-Talis 2014); in questi ambiti vanno cercate le cause più rilevanti che spiegano le differenze nel confronto tra i risultati conseguiti nei paesi orientali rispetto alla maggior parte di quelli occidentali. [...] E le evidenze mostrano che è nell’intreccio tra modellamento guidato, uso di feed-back ed attività metacognitive all’interno di percorsi didattici ben organizzati e finalizzati che si conseguono i valori di massima efficacia: qui troviamo primeggiare quella tipologia che nel mondo anglosassone va sotto il nome di Istruzione diretta* - da non fraintendere con la lezione frontale tradizionale - e il modello dell’apprendistato cognitivo*. Se vogliamo che gli allievi conseguano apprendimenti migliori i docenti devono imparare a padroneggiare le modalità e tecniche tipiche degli insegnanti esperti e che oggi la ricerca è in grado di descrivere ed esemplificare analiticamente. Con ciò non si vuol affermare che non debbano esistere nei curricoli scolastici anche momenti e spazi per l’esplorazione libera e per l’apprendimento autonomo degli allievi, individuale o in gruppo; in particolare ci sono poi situazioni e contesti in cui questi dovrebbero essere inclusi e in certi casi valorizzati (si pensi all’educazione prescolare, oltre alla formazione in fase avanzata). Quello che questo lavoro ha voluto soprattutto sfatare è il cliché secondo cui il miglioramento degli apprendimenti si conseguirebbe mettendo al centro l’idea di un allievo impegnato in un processo di costruzione autonoma e creativa del sapere, con un docente il cui ruolo si dovrebbe limitare, al più, a quello di un facilitatore, ignorando in tal modo la insostituibilità di quelle azioni didattiche fondamentali per consentire agli allievi i salti di qualità più significativi nella ristrutturazione delle loro conoscenze. L’idea che ci si debba ridurre la guida del docente fa parte di una mitologia didattica dura a morire, che riemerge nel tempo e che è già stata già fonte di rilevanti fraintendimenti, quando non di veri e propri fallimenti educativi.

Conclusioni (provvisorie): Esistono azioni didattiche fondamentali per consentire agli allievi i salti di qualità più significativi nella ristrutturazione delle loro conoscenze
  
Nel 2019 i pedagogisti e formatori Antonio Calvani e Roberto Trichero, nel tentativo di sollecitare gli insegnanti a riflettere sulle proprie idee sulla didattica e sulle regole da seguire per migliorare la qualità dell'apprendimento dei propri allievi, scrissero un libro (Dieci falsi miti e dieci regole per insegnare bene - Carocci Faber) che persegue due intenti paralleli: (1) sfatare i più diffusi miti (o credenze) didattici correnti, (2) mettere in risalto le regole (o raccomandazioni) principali che, alla luce delle evidenze acquisite dalla ricerca, dovrebbero essere al centro dell’attenzione degli insegnanti. Questa pagina descrive i dieci miti da sfatare e le dieci regole da applicare per insegnare meglio. Vengono inoltre sintetizzate le conclusioni cui sono giunti gli autori che hanno così espresso: "Quello che questo lavoro ha voluto soprattutto sfatare è il cliché secondo cui il miglioramento degli apprendimenti si conseguirebbe mettendo al centro l’idea di un allievo impegnato in un processo di costruzione autonoma e creativa del sapere, con un docente il cui ruolo si dovrebbe limitare, al più, a quello di un facilitatore, ignorando in tal modo la insostituibilità di quelle azioni didattiche fondamentali per consentire agli allievi i salti di qualità più significativi nella ristrutturazione delle loro conoscenze."

per scaricare le conclusioni (in pdf):
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agli insegnanti che vogliono approfondire l'apprendimento
Spesa annua pro capite in Italia per gioco d'azzardo 1.583 euro, per l'acquisto di libri 58,8 euro (fonte: l'Espresso 5/2/17)

Pagina aggiornata il 15 settembre 2021

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Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione 2.5 Generico
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