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Coloro cui sfugge completamente l'idea che è possibile aver torto non possono imparare nulla, tranne la tecnica. (Gregory Bateson)
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Cos'è l'esperienza? L'esperienza è quantistica? Abbiamo proprio bisogno di una "Macchina dell'esperienza"? Il Metaverso diventerà reale?
TEORIE > CONCETTI > ESPERIENZA
Scopo di questa pagina
Il concetto di esperienza sta per diventare più importante in vista della nuova stagione che, forse, sta per aprirsi con l'evoluzione di Internet verso la realtà virtuale, cioè verso quell'ambiente che è stato chiamato "Metaverso" dallo scrittore Neil Stephenson nel romanzo "Snow Crash". Il Metaverso è in fase di creazione e molte aziende stanno investendo sforzi e capitali enormi per crearlo, tra loro uno dei più famosi è Mark Zuckerberg che sta trasformando Facebook in Meta, cioè in un'azienda completamente dedicata alla realtà virtuale. L'essere umano si autocostruisce, e/o si fa costruire da altri, con le esperienze che vive nel proprio ambiente: esse creano le sue conoscenze, sia che si tratti di esperienze dirette che l'individuo vive personalmente nel mondo, sia che si tratti di esperienze indirette (la maggior parte delle nostre esperienze) che l'individuo apprende da altri (libri, conversazioni, mezzi di comunicazione, social media, ecc.). Il filosofo Robert Nozick aveva già anticipato il tema nel 1974 nel libro "Anarchia, stato e utopia", proponendo una "macchina dell'esperienza" che viene descritta e valutata in questa pagina. La domanda al centro della Experience Machine è: il piacere è tutto ciò che conta? Con l'intento di capire se l'essere umano è guidato, nella sua azione, solo dalla ricerca del piacere personale, come ipotizzato da Sigmund Freud nel 1920 nel libro "Al di là del principio di piacere", che avviò la sua riflessione psicoanalitica o ci sono altre "spinte" mentali (diverse da quella proposta da Freud). Robert Nozick aveva descritto la macchina dell'esperienza in questo modo "Immagina una macchina che possa darti qualsiasi esperienza (o sequenza di esperienze) tu possa desiderare. Quando sei connesso a questa macchina dell'esperienza, puoi avere l'esperienza di scrivere una grande poesia o di portare la pace nel mondo o di amare qualcuno ed essere amato in cambio. Puoi provare i piaceri "provati" di queste cose, come si sentono "dall'interno". Puoi programmare le tue esperienze per... il resto della tua vita. Se la tua immaginazione è impoverita, puoi utilizzare la biblioteca di suggerimenti estratti da biografie e arricchiti da romanzieri e psicologi. Puoi vivere i tuoi sogni più cari "dall'interno". Sceglieresti di farlo per il resto della tua vita?... Entrando, non ricorderai di averlo fatto; quindi nessun piacere verrà rovinato dal rendersi conto che sono prodotti dalla macchina". Si tratta di una domanda che si porrà a tutti gli utenti del Metaverso se, come pare probabile, esso mira a diventare il grande "videogioco planetario". Qual è stata la risposta di Nozick? Robert Nozick ha risposto "NO", cioè ha risposto che la maggior parte degli esseri umani non riterrebbe conveniente dare in pasto la propria vita alla macchina dell'esperienza. Ciò principalmente per tre motivi: (1) perché le persone ritengono ci sia una differenza enorme tra "fare un'esperienza" in una realtà (solo positiva) costruita artificialmente, piuttosto che "fare delle azioni in una realtà vera" soggetta a tutte le potenziali variabili (positive o negative) della vita reale; (2) perché le persone vogliono "essere" delle persone "vere" piuttosto che dei fantocci che galleggiano in un serbatoio della macchina dell'esperienza; (3) perché le persone vogliono vivere nella realtà (misteriosa e incerta) piuttosto che suicidarsi all'interno di una macchina indirizzata da qualcun altro. Infatti sembra che, per apprezzare la macchina dell'esperienza, bisognerà essere psicopatici, sociopatici, ludopatici, o peggio..., cioè quella parte degli esseri umani minoritaria e limitata, secondo una meta-analisi di 15 studi della psichiatra Ana Sanz-Garcia e dei suoi colleghi, al 4,5% della popolazione adulta generale (prevalenza inferiore a quella riscontrata nella popolazione che ha commesso reati o carceraria, che di solito oscilla tra il 10 e il 35% ).
Ma indipendentemente dal Metaverso e della sua probabile attuazione/attrazione, la problematica dell'esperienza si esaspera di fronte alla realtà proposta dalla meccanica quantistica la quale prevede una realtà diversa da quella (convenzionale) della meccanica classica in cui siamo abituati a vivere e dove facciamo le nostre esperienze. A questo proposito gli psicologi e neuroscienziati Subhash Kak, Deepak Chopra e Menas Kafatos scrivono (vedi bibliografia 2014): "Il nostro senso della realtà è diverso dalle sue basi matematiche fornite dalle teorie fisiche. Sebbene la natura al suo livello più profondo sia quantomeccanica e non locale, appare alla nostra mente nell’esperienza quotidiana come locale e classica. Poiché le stesse leggi dovrebbero governare tutti i fenomeni, proponiamo che questa differenza nella natura della realtà percepita sia dovuta al principio di nonlocalità "velata" associato alla coscienza. La nonlocalità velata consente alla coscienza di operare e presentare ciò che sperimentiamo come realtà oggettiva. In altre parole, questo principio ci permette di considerare la coscienza indirettamente, in termini di come opera la coscienza".
esperienza
Are you the wolf?
No, I am experience.
Punto chiave di questa pagina
REALTA' VELATA: I neuroscienziati Subhash Kak, Deepak Chopra e Menas Kafatos nel 2014 hanno scritto (vedi bibliografia): "Il nostro senso della realtà è diverso dalle sue basi matematiche fornite dalle teorie fisiche. Sebbene la natura al suo livello più profondo sia quantomeccanica e non locale, appare alla nostra mente nell’esperienza quotidiana come locale e classica. Poiché le stesse leggi dovrebbero governare tutti i fenomeni, proponiamo che questa differenza nella natura della realtà percepita sia dovuta al principio di nonlocalità "velata" associato alla coscienza. La nonlocalità velata consente alla coscienza di operare e presentare ciò che sperimentiamo come realtà oggettiva. In altre parole, questo principio ci permette di considerare la coscienza indirettamente, in termini di come opera la coscienza".
Punti di riflessione
Le esperienze vissute sono quelle che formano una persona, che le danno una identità: non il precipitato puro dell'esperienza pre-programmata. (Robert Nozick)
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La coscienza è tutto ciò che sperimenti. È la melodia bloccata nella tua testa, la dolcezza della mousse al cioccolato, il dolore lancinante di un mal di denti, l'amore feroce per tuo figlio e l'amara consapevolezza che alla fine tutti i sentimenti finiranno. L'origine e la natura di queste esperienze, a volte indicate come qualia, sono state un mistero dai primi giorni dell'antichità fino ai giorni nostri. (Christof Koch)
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Per essere felici e provare un vero piacere, bisogna anche provare un certo grado di tristezza e dolore: Il dolore, il desiderio e la tristezza sono essenziali per la propria felicità, sostiene questa argomentazione. Inoltre, la felicità si raggiunge spesso se perseguita solo indirettamente. Ci si può sforzare di avere una buona carriera, una vita familiare, ecc., ma spesso la ricerca è piena di sfide e battute d'arresto; eppure, tutti questi pezzi messi insieme costituiscono la felicità. Inoltre, a volte ottenere ciò che si desidera non aumenta realmente il proprio benessere. (Dana Angreicut)
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Sbagliare è umano, ma è assurdo perseverare nell’errore (errare humanum est, perseverare autem diabolicum) (Sant’Agostino d’Ippona)
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Se l'identità è davvero una costante, allora essere una persona diversa – per definizione – impedirebbe di rimanere se stessi. Il meglio che possiamo sperare è cambiare il nostro contesto. Questo è ciò che accade realmente quando gli individui usano gli equivalenti più vicini alle macchine di trasformazione: visitano i terapeuti per riformulare le conseguenze percepite del loro comportamento; pagano i chirurghi plastici per apportare differenze estetiche alle loro apparenze; prendono droghe per alterare le loro percezioni e partecipano alle lotterie per cambiare la loro ricchezza. (Sam Hill)
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Potrebbero i pensieri esistere in una sorta di sovrapposizione quantistica a livello inconscio solo per diventare consci quando c'è una selezione specifica, simile alla misurazione della posizione dell'elettrone? Questo è ciò che
hanno proposto il fisico premio Nobel Roger Penrose e l'anestesista Stuart Hameroff .
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Mi butto continuamente in situazioni e esperienze nuove, e proprio questo è il problema. (Erica Jong)
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Esperienza vuol dire in fondo aver attraversato una serie di eventi che, accumulati, hanno sviluppato un arricchimento interiore e una crescita morale. Per questo tendiamo ad associare l'esperienza alla maturità o alla vecchiaia. (Stefano Gensini, Giancarlo Schirru)
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Viaggiare ha poco senso se, al nostro ritorno, non avremo in valigia occhi nuovi con cui interpretare noi stessi e il mondo. (Thea)
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Se ci riferissimo alla sola esperienza personale conosceremmo molto poco del mondo. Come può una persona dire cose sensate sui figli se non ne ha? Come può una persona dire cose sensate sull’adozione se non ha mai adottato un bambino? Come può una persona parlar male di un lavoro se non lo ha mai fatto? Come può una persona dire cose sensate sulla droga se non si è mai drogata? Di esempi come questi ce ne sono a migliaia e sono certo che a questo punto tutti hanno capito: è banale comprendere che non bisogna aver messo le dita nella presa della corrente per capire che è meglio astenersi dal farlo. Possiamo parlare di esperienza da altri diretta o indiretta. La prima l’abbiamo osservando o interagendo direttamente con le persone, in modo naturale, senza doverci preoccupare di studiare, cioè di acquisire dati con un’azione mirata all’acquisizione; la seconda è invece basata sullo studio, cioè quell’insieme di tecniche e di strategie che utilizziamo per acquisire conoscenza. (Thea - Psicologia e Benessere)
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Anche inconsciamente siamo condizionati dalle notizie che sentiamo nei telegiornali o da quelle che leggiamo sul giornale; se nella nostra città accadono molti fatti violenti, ecco che saremo portati a credere che la nostra città sia pericolosa, anche se nessuno di questi fatti è accaduto direttamente sotto ai nostri occhi. Ovviamente, un’informazione scorretta può alterare la nostra esperienza da altri diretta. Per l’esperienza indiretta il problema della corretta informazione è sempre esistito e si trasforma nel problema della validazione delle fonti. [e della credibilità]. (Thea - Psicologia e Benessere)
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E' necessario ricordare che esistono molti individui che negano alla base, inconsciamente, il valore dell’esperienza (negazione dell’esperienza). Pensiamo alle persone che non sopportano di sbagliare, che si autopuniscono per i loro errori o peggio che tendono a punire con eccessiva severità chi sbaglia; non hanno capito che nessuno può pretendere di capire la vita senza l’esperienza: la ragione, da sola, non basta. (Thea - Psicologia e Benessere)
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Come dobbiamo essere indulgenti con noi stessi al primo errore, così dobbiamo essere spietati quando lo ripetiamo: solo con questo atteggiamento riusciremo a migliorare la qualità della nostra vita. (Thea - Psicologia e Benessere)
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La percezione non è la realtà, ma, è vero, la percezione può diventare la realtà di una persona (c'è una differenza!) perché la percezione ha una potente influenza su come guardiamo alla realtà. [...]  La nostra tendenza è presumere che il modo in cui percepiamo la realtà sia una rappresentazione accurata di ciò che la realtà è veramente. Ma non lo è. Il problema è che la lente attraverso la quale percepiamo è spesso deformata in primo luogo dalle nostre predisposizioni genetiche, esperienze passate, conoscenze pregresse, emozioni, nozioni preconcette, interessi personali e distorsioni cognitive. Il dottor Daniel Kahneman, il noto psicologo che ha ricevuto il premio Nobel per l'economia nel 2002, ha creato una vera e propria industria artigianale identificando quella che ha definito "pregiudizi cognitivi (ce ne sono almeno 100)" che sono modi sistematici in cui gli esseri umani creano 'realtà sociale soggettiva' che devia dalla realtà oggettiva. Apprezzo il fatto che alcuni filosofi sostengano che la realtà in realtà non esiste, ma, invece, è una costruzione soggettiva perché non sperimentiamo direttamente la realtà. Piuttosto, sperimentiamo la realtà attraverso i sensi che limitano il modo in cui elaboriamo la realtà. (Jim Taylor)
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Quando apri gli occhi, vedi il mondo come è veramente? Vediamo la realtà? Gli esseri umani si sono posti questa domanda per migliaia di anni. Dalle ombre sul muro della caverna di Platone in "The Republic" a Morpheus che offre a Neo la pillola rossa o il becco blu in "The Matrix", l'idea che ciò che vediamo potrebbe non essere ciò che è veramente lì ci ha turbato e stuzzicato. Nel diciottesimo secolo, il filosofo Immanuel Kant sostenne che non si può mai avere accesso al Ding an sich , la “cosa in sé” non filtrata della realtà oggettiva. Le grandi menti della storia hanno ripreso questa domanda sconcertante ancora e ancora. Avevano tutti delle teorie, ma ora la neuroscienza ha una risposta. La risposta è che non vediamo la realtà. Il mondo esiste. È solo che non lo vediamo. Non sperimentiamo il mondo così com'è perché il nostro cervello non si è evoluto per farlo. È una specie di paradosso: il tuo cervello ti dà l'impressione che le tue percezioni siano oggettivamente reali, eppure i processi sensoriali che rendono possibile la percezione in realtà ti separano dall'accesso diretto a quella realtà. I nostri cinque sensi sono come la tastiera di un computer: forniscono i mezzi per far entrare le informazioni dal mondo, ma hanno ben poco a che fare con ciò che viene poi sperimentato nella percezione. In sostanza sono solo mezzi meccanici, e quindi svolgono solo un ruolo limitato in ciò che percepiamo. In effetti, in termini di numero di connessioni neurali, solo il 10 percento delle informazioni che il nostro cervello usa per vedere proviene dai nostri occhi. (Beau Lotto)
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La percezione deriva non solo dai nostri cinque sensi, ma dalla rete apparentemente infinitamente sofisticata del nostro cervello che dà un senso a tutte le informazioni in arrivo. Chiaramente il modello di percezione del nostro cervello ha servito bene la nostra specie, permettendoci di navigare con successo nel mondo e nella sua complessità in continua evoluzione, dai nostri giorni come cacciatori-raccoglitori nella savana alla nostra esistenza attuale pagando le bollette sui nostri smartphone. Siamo in grado di trovare cibo e riparo, mantenere un lavoro e costruire relazioni significative. Abbiamo costruito città, lanciato astronauti nello spazio e creato Internet. Dobbiamo fare qualcosa di giusto, quindi... . . chi se ne frega che non vediamo la realtà? La percezione è importante perché è alla base di tutto ciò che pensiamo, sappiamo e crediamo: le nostre speranze e sogni, i vestiti che indossiamo, le professioni che scegliamo, i pensieri che abbiamo e le persone di cui ci fidiamo. . . e non fidarti. La percezione è il sapore di una mela, l'odore dell'oceano, l'incanto della primavera, il rumore glorioso della città, il sentimento dell'amore e persino le conversazioni sull'impossibilità dell'amore. Il nostro senso di sé, il nostro modo più essenziale di comprendere l'esistenza, inizia e finisce con la percezione. La morte che tutti temiamo è meno la morte del corpo e più la morte della percezione, poiché molti di noi sarebbero abbastanza felici di sapere che dopo la "morte corporea" la nostra capacità di impegnarci nella percezione del mondo intorno a noi è continuata. Questo perché la percezione è ciò che ci permette di sperimentare la vita stessa. . . anzi di vederla dal vivo. (Beau Lotto)
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La ricerca sulle abilità percettivo-cognitive e motorie indica che sono automatizzate attraverso l'esperienza e quindi rese inconsce. La ricerca sull'elaborazione automatica, la percezione subliminale, la memoria implicita e l'ipnosi indica che gli eventi possono influenzare le funzioni mentali anche se non possono essere percepiti o ricordati consapevolmente. Si conclude che esiste una divisione tripartita dell'inconscio cognitivo in processi mentali veramente inconsci che operano su strutture di conoscenza che possono essere esse stesse preconsce o subconsce. (John Frederick Kihlstrom)
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Più la scienza ci parla del mondo, più questo ci sembra strano. Da quando la fisica ha penetrato per la prima volta l’atomo, all’inizio di questo secolo, ciò che ha scoperto ha rappresentato una sfida radicale e senza risposta a molte delle nostre concezioni della natura più care. Da allora è stato letteralmente messo in discussione se esistano sempre o meno fatti oggettivi riguardo alla posizione delle particelle subatomiche, o alla posizione di tavoli e sedie, o anche al contenuto stesso dei nostri pensieri. Un nuovo tipo di incertezza è diventato un principio della scienza. (David Albert)
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Come funziona il mondo intorno a noi e cosa è reale? Tali domande non sono solo centrali nel discorso scientifico e filosofico, ma circolano fin dagli albori dell’esistenza umana. Peter Verheyen della Sola Society and Academy dell'Università di Vienna, in Austria, esplora l'idea che la realtà cosciente che sperimentiamo come esseri umani è tratta dalle informazioni costantemente emesse dal mondo fisico reale. Pertanto, si può sostenere che il mondo fisico reale è simile a un gigantesco computer quantistico che dà origine alla coscienza stessa. (Peter Verheyen)
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Come ha detto Carl Sagan: "Noi siamo un modo attraverso il quale l'universo conosce se stesso". Fin dal primo momento in cui gli esseri umani hanno avuto il linguaggio, che permette loro di pensare e immaginare le cose, abbiamo speculato sulla realtà e sulla nostra origine. A poco a poco abbiamo avuto più successo in questo. L'obiettivo finale del gioco è finalmente scoprire la nostra origine e dare a tutto un significato, compreso l'universo e le informazioni emesse.
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In quella che alcuni scienziati credono sia un’intricata danza tra la coscienza umana e la meccanica quantistica si nasconde un fenomeno che sfida la nostra comprensione collettiva della realtà da oltre 100 anni: il potere della percezione di modellare il futuro. Oggi, la maggior parte delle persone che hanno anche una superficiale familiarità con la scienza sono consapevoli che quando gli scienziati scrutano il regno quantistico, viene suggerita una possibilità sorprendente: quando gli esseri umani si concentrano su un evento, in qualche modo consolidiamo il suo verificarsi. (Lisa Broderick)
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L'interpretazione di Copenhagen della meccanica quantistica separa l'universo fisico in due parti, la prima parte è l'
sistema osservato, e la seconda parte è l'agente umano, insieme ai suoi strumenti. L'agente esteso è descritto in termini mentali e comprende non solo il suo apparato ma anche istruzioni ai suoi colleghi su come impostare gli strumenti e riferire sulle proprie osservazioni. L'Heisenberg-cut (chiamato anche taglio von Neumann) è l'ipotetica interfaccia tra eventi quantistici e informazioni, conoscenza o consapevolezza cosciente di un osservatore. Sotto il taglio tutto è governato dalla funzione d'onda; sopra il taglio si applica una descrizione classica. Nella concezione materialista, che lascia fuori i processi quantistici poiché fino a poco tempo fa si pensava che non svolgessero un ruolo nei processi cerebrali, la coscienza è un epifenomeno che ha come fondamento la biologia. Ma, anche se questo è il prevalente paradigma delle neuroscienze, non possiamo in alcun modo giustificare la visione secondo cui le particelle materiali in qualche modo acquisiscono coscienza per conto della complessità delle interconnessioni tra i neuroni. Esiste anche la posizione panpsichista secondo cui la coscienza è caratteristica di tutte le cose, ma nella sua formulazione abituale come nella posizione MWI che sarà discussa più avanti è semplicemente a riaffermazione della posizione materialista in modo da rendere conto della coscienza (Strawson, 2006). D'altra parte è la posizione secondo cui la coscienza è un fenomeno trascendente – poiché non può essere una cosa – che compenetra la materia dell'universo. Il cervello umano, informato dal fenomeno della coscienza, ha autocoscienza per contemplare le proprie origini. (Kak, Chopra, Kafatos)
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Il progresso della scienza si riflette in un corrispondente sviluppo del linguaggio. I panorami aperti dal microscopio, dal telescopio, dalla tomografia e da altri dispositivi di rilevamento ha portato alla denominazione di nuove entità e processi. La teoria quantistica ha portato al superamento del quadro atomico classico e si parla in termini di processi intricati e logica non binaria. La teoria quantistica ha portato anche a profonde domande legate alla definizione di osservatore e osservato. Questo è stato un percorso per l'esame del mistero della mente. Gli altri percorsi affondano le loro radici nelle antiche tradizioni filosofiche e psicologiche e nelle teorie del secolo scorso. (Subhash Kak
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L'esplorazione culmina in una prospettiva alternativa provocatoria: la realtà che percepiamo potrebbe essere un'illusione intricata, un'interpretazione soggettiva creata dalle nostre interazioni con il mondo quantistico. Questa prospettiva suggerisce che la vita stessa è un processo di interpretazione e comprensione quantistica, in cui la morte segna un ritorno a uno stato quantico originale. Questo concetto ridefinisce la nostra comprensione dell’esistenza, inquadrando la vita e la morte come parte di un processo quantistico continuo e ci sfida a riconsiderare la natura della realtà, della percezione e del flusso universale di coscienza. (Thomas Locker)

La mente è sottoposta a un processo quantistico continuo?
Beau Lotto scrive: " Il nostro senso di sé, il nostro modo più essenziale di comprendere l'esistenza, inizia e finisce con la percezione. La morte che tutti temiamo è meno la morte del corpo e più la morte della percezione, poiché molti di noi sarebbero abbastanza felici di sapere che dopo la "morte corporea" la nostra capacità di impegnarci nella percezione del mondo intorno a noi è continuata. Questo perché la percezione è ciò che ci permette di sperimentare la vita stessa. . . anzi di vederla dal vivo"
Come si costruisce il nostro senso di realtà
In merito alla percezione della realtà, i neuroscienziati Subhash Kak, Deepak Chopra e Menas Kafatos scrivono (vedi bibliografia 2014):

La nostra realtà percepita è classica, cioè è costituita da oggetti materiali e dai loro campi. D'altra parte, la realtà al livello quantistico è differente in quanto non locale, il che implica che gli oggetti siano sovrapposizioni di altre entità e, quindi la loro struttura sottostante è ondulatoria, cioè spalmata. Questa discrepanza si manifesta nel quadro della stessa teoria quantistica perché la funzione d'onda si svolge in modo deterministico tranne quando è osservata, in cui agisce e fa sì che si localizzi. Il fatto che la funzione d’onda del sistema collassi dopo l’osservazione suggerisce che dovremmo chiederci se sia così rappresentata fondamentalmente l'interazione della coscienza con la materia. In realtà questa domanda ha senso solo se ne siamo capaci di definire oggettivamente la coscienza. Poiché la coscienza non è una cosa o un oggetto esterno, la sua postulata interazione con la materia diventa paradossale. Se riformulassimo la nostra domanda potremmo chiederci dove si trova il nostro sé personale e se è giusto qualche struttura neurale che esiste nel mondo classico, perché la sua attività (osservazione) fa collassare la funzione d'onda? L'osservatore umano interagisce con il sistema quantistico attraverso apparati da lui ideati e, quindi, attualizza l’interazione che avviene tra sistemi fisici. Se l’essere umano osservasse direttamente il sistema, allora anche l’interazione sarebbe interna al cervello umano che è costituito da varie strutture neurali. L'osservazione è associata ad un elemento temporale dall'apparato che deve essere prima preparato e poi esaminato dopo che è avvenuta l'interazione con il sistema quantistico. [...] Alla domanda se gli stati mentali siano governati da leggi quantistiche la risposta è affermativa da parte di coloro che accettano le basi quantistiche della mente (von Neumann, 1932/1955; Wigner, 1983; Penrose, 1994; Nadeau e Kafatos, 1999; Roy e Kafatos, 2004; Hameroff e Penrose, 2003; Stapp, 2003; Freeman e Vitiello, 2006). Recenti scoperte a sostegno di modelli quantistici per la biologia (ad esempio, Lambert et al., 2013) forniscono ulteriore supporto a questa posizione. Aggiungiamo un punto di cautela: la mente come macchina quantistica casuale, come suggerito da alcune teorie, potrebbe rappresentare un progresso ma non il quadro completo poiché non sarà in grado di rendere conto della libertà e del libero arbitrio dell’individuo; e non può implicare una realtà oggettiva indipendente dall'osservazione. La questione relativa ai limiti di ciò che può essere conosciuto dalla mente ha una componente logica affine a quella di Gödel del Teorema di incompletezza e paradossi logici (Davis, 1965), applicabile anche ai limiti della conoscenza in fisica e biologia (Herrnstein, 1985; Grandpierre e Kafatos, 2012; Kak, 2012; Buser et al., 2013)

Il processo di creazione di un universo trascendente è indicato in figura:

Universo trascendente

Universo come proiezione di un principio trascendente (la freccia larga è la proiezione; la freccia stretta è la rappresentazione completa)

Secondo la meccanica quantistica la realtà non è locale e gli oggetti separati nel tempo e nello spazio possono essere fortemente correlati. Pertanto, per una coppia di particelle entangled distanti miliardi di chilometri, l'osservazione di una particella provoca un collasso istantaneo della funzione d'onda della particella gemella. L'entanglement persiste anche nel tempo e un'osservazione fatta ora può cambiare la situazione del passato come nell’esperimento della scelta ritardata di Wheeler (Wheeler, 1990). Eppure non è possibile confermare l'entanglement per una specifica coppia di particelle perché qualsiasi tentativo di verifica sarà sconfitto dal collasso della funzione d'onda. Esistono esperimenti probabilistici per insiemi di particelle per separare gli effetti classici da quelli quantistici. Se la realtà è non locale, perché appare ai nostri sensi come locale e separata? L’idea della nonlocalità velata è che la coscienza maschera la sua interezza e nonlocalità per produrre processi locali. Questa idea è nata da un fatto sperimentale che non è stato ancora trovato alcun test privo di scappatoie della nonlocalità (Kak, 2014). Può essere visto come il Principio di Indeterminazione di Heisenberg che pone dei limiti alla descrizione dello stato di una specifica particella. Questo processo di filtraggio consente osservazioni e pensieri specifici in un mondo classico dell'esperienza quotidiana, mentre
mantenendo i processi quantistici e relativistici generali lontani dalla vista. Un altro esempio di nonlocalità velata nella gravitazione è l'ipotesi della censura cosmica (Penrose, 1999), che descrive l'incapacità degli osservatori distanti di osservare direttamente il centro di un buco nero, o “singolarità nuda”. (Kafatos e Kak, 2014) La nonlocalità velata è come una sfocatura che rompe un intero sistema in diversi sottosistemi collegati localmente. Illustriamo di seguito nella Figura 2 l'idea generale. La suddivisione di un tutto in sottosistemi può essere mostrata attraverso la semplice osservazione. I cinque sensi non possono percepire il mondo quantum, eppure la percezione dipende da esso. Il mondo quantistico ci è nascosto il modo in cui funziona il cervello è nascosto. Se pensi alla parola "elefante" e vedi l'immagine dell'animale nella tua mente, non sei consapevole dei milioni di neuroni che si attivano nel tuo cervello per produrli. Eppure quelle attivazioni... per non parlare del cellulare invisibile operazioni che mantengono in vita ogni parte del tuo corpo: sono il fondamento delle capacità del cervello. Proprio come l'immagine di un elefante è il punto finale visibile dei processi velati, il mondo materiale è fondato su un mondo velato di realtà. Inoltre, per produrre un’unica immagine mentale, deve partecipare tutto il cervello. Aree specifiche, principalmente quella visiva corteccia, producono immagini mentali, ma sono coordinate con tutto ciò che fa il cervello, come sostenere la corteccia cerebrale, che riconosce cos'è un'immagine e mantiene un corpo sano. Ciò indica un legame profondo tra il cervello e il cosmo. I due sono inseparabili. Infatti, a nostro avviso, la complementarità assicura che appaiano come separati e l'uno causa dell'altro, ma in realtà sono aspetti della totalità indivisa prodotta dalla coscienza, che è indivisa, non locale e intera (vedi anche sotto). Il velo della realtà è in consonanza con l'idea della mente che costruisce la sua realtà. Tale velatura si verifica anche nel processo scientifico che filtra e scarta un’enorme porzione dell’esperienza umana – quasi tutto ciò che si vorrebbe classificare come soggettivo. Il suo modello è altrettanto selettivo, se non di più, di quello che dà forma a una realtà religiosa o a una metafisica. Per quanto riguarda il cervello, il filtraggio neurale avviene in tutti i modelli, siano essi scientifici, spirituali, artistici o psicotici. Il cervello è un elaboratore di input, non uno specchio della realtà. Se il nostro cervello filtra costantemente ogni esperienza, non c’è modo che qualcuno possa affermare di sapere cosa è “realmente” reale. Voi non potete uscire dal vostro cervello per capire cosa c'è al di là di esso. Così come esiste un orizzonte per gli oggetti più lontani che emettono luce nel cosmo, e l'orizzonte più lontano per quanto indietro nel tempo l'astronomia può esplorare, c'è un orizzonte più lontano per pensare. Il cervello opera nel tempo e nello spazio, avendo pensieri lineari che sono il punto finale di un processo di filtraggio selettivo. Quindi tutto ciò che è al di fuori del tempo e dello spazio è inconcepibile, e la realtà non filtrata probabilmente farebbe saltare i circuiti del cervello, o essere semplicemente cancellata.

Fig.2 Una realtà velata: il processo che produce una realtà classica


Proponiamo, come mostrato nella Figura 2, che la realtà basata sulla coscienza, e limitata da un velo fondamentale, fornisca significato e apparenza di ciò che chiamiamo realtà oggettiva, sistemi, oggetti e relazioni a tutti i livelli di organizzazione.
Il mondo quantistico e quello classico non sono separati semplicemente da un divario fisico. Da un lato il comportamento del quanto è privo di significato, casuale e imprevedibile. Una particella subatomica non ha scopo o obiettivo. D’altro canto, nel mondo classico, è ovvio che ognuno di noi vive la propria vita con uno scopo e un significato in mente. Accettare questo come ovvio è fondamentale per alzarsi ogni mattina, quindi le arcane dispute sul libero arbitrio e sul determinismo sono,
pragmaticamente parlando, non rilevanti per la domanda più fondamentale: può la casualità produrre significato e, se sì, come?
Condurre un’esistenza priva di significato è intollerabile, quindi è ironico che la fisica quantistica basi il cosmo su basi prive di significato, e doppiamente ironico se si considera che la fisica stessa è un’attività significativa. La frase “universo partecipativo”, riassume come lo stesso processo di osservazione cambi il risultato (Wheeler, 1990). L'osservazione non solo
cambia il risultato in senso casuale, ma in realtà può essere utilizzata per guidare lo sviluppo di un sistema fisico nel modo scelto dall'effetto quantistico Zeno (Misra e Sudarshan, 1974; Kak, 2007). Per definizione la realtà è completa; pertanto, qualunque sia lo scopo e il significato che troviamo in essa, utilizzando le limitate capacità umane, essa è un frammento di uno stato preesistente, che chiamiamo lo stato delle infinite possibilità. Il frammento non può essere il tutto, anche se, per quanto possa sembrare strano, la parte implica il tutto (Kafatos e Nadeau, 2000; Nadeau e Kafatos, 1999). E il tutto è più della somma delle parti, perché nessuna quantità di parti, non importa quante, forma il tutto. Questo stato ci è velato, così come ci è nascosta l'esistenza di ogni possibile particella subatomica. Il concetto di campo contiene in sé questo rapporto tra il tutto e le sue parti. Non c'è motivo di escludere il campo della coscienza dal mostrare la stessa relazione con le sue parti, da qui l'intuizione che può essercene solo una di coscienza, non molte (Schrödinger, 1974) [...]
La coscienza cosmica, quindi, non è solo reale: è totalmente necessaria. Salva la fisica e la scienza in generale da un vicolo cieco
- la totale incapacità di creare la mente dalla materia - e le offre una nuova via di indagine. Esistiamo come creature con un
piede in due mondi che in realtà sono uno, diviso dall'apparenza e dalla realtà. La coscienza come principio trascendente
fornisce un modo per collegare i due processi della teoria quantistica. Sottolineiamo che questo punto di vista è l'unico vero
in definitiva autoconsistente. Le visioni materiali della realtà alla fine si imbattono in enigmi e incoerenze senza risposta o
la necessità di visioni strane come il MWI che si fonda sull’esistenza di risultati reali senza l’intervento di coscienza.

Conclusioni

La teoria quantistica è arrivata al punto in cui la fonte di tutta la materia e l'energia sono vuoto, un nulla che contiene
tutte le possibilità di tutto ciò che è mai esistito o potrebbe esistere. Queste possibilità emergono quindi prima come probabilità
"collassando" in quanti localizzati, manifestandosi come particelle nello spazio e nel tempo che sono gli elementi costitutivi di atomi e molecole. Dove esistono le probabilità? Dove si trova la raffinata matematica che abbiamo a nostra disposizione? Qualche sorta di “spazio reale” o di spazio materiale? Questo ovviamente non ha senso. La probabilità di un evento (anche un evento come vincere alla lotteria o volare il giorno in cui si verifica una bufera di neve) esiste solo finché c'è qualcuno che si chiede cosa potrebbe accadere e misura i risultati quando si verificano. Quindi le probabilità e altre espressioni matematiche, che sono il fondamento della moderna fisica quantistica, implicano l’esistenza dell’osservazione. Innumerevoli atti di osservazione
danno sostanza e realtà a quelli che altrimenti sarebbero fantasmi dell'esistenza. Questo risolve il cosiddetto “problema della misurazione” della teoria quantistica che esiste se si assume una realtà indipendente dall’osservazione. È più elegante, coerente e molto più facile da accettare come ipotesi di lavoro che la sensibilità esista come potenziale fonte della creazione, e la prova più evidente è già stata messa sul tavolo: tutto ciò che deve essere osservato nell’universo implica la coscienza. Alcuni teorici cercano di salvare il materialismo dicendo che l'informazione è codificata in tutta la materia, ma “informazione” è un concetto mentale, e senza il concetto non c’è informazione in nulla, poiché l’informazione è la definizione che deve in definitiva contenere un significato (anche se è una sequenza di 0 e 1 come nel linguaggio dei computer), e solo le menti cogliere il significato. Inoltre, supporre che questo tipo di informazione in bit sia una proprietà codificata della materia implica che sia una variabile nascosta (i bit) che sono state escluse dal Teorema di Bell (1964) e dagli esperimenti di laboratorio ad esso correlati (Aspect, Dalibard e Roger, 1984). Un albero che cade nella foresta non emette alcun suono se non c'è nessuno a sentirlo? Ovviamente no.
Lo schianto fa vibrare le molecole dell'aria, ma il suono ha bisogno dell'udito affinché queste vibrazioni si trasformino in percezione. Abbiamo proposto che la coscienza crei la realtà e la renda conoscibile: se c'è un altro candidato valido, deve passare
la prova del fuoco: trasformarsi in pensieri, sentimenti, immagini e sensazioni. La scienza non è neanche lontanamente vicina a cambiare lo zucchero di una zuccheriera nella musica di Mozart o nelle opere di Shakespeare. Il tuo cervello converte lo zucchero nel sangue in parole e musica, non per qualche trucco delle molecole del cervello, poiché non sono in alcun modo speciali o privilegiate. Piuttosto, la tua coscienza utilizza il cervello come un dispositivo di elaborazione, spostando le molecole dove sono necessarie per creare la vista, udito, tatto, gusto e olfatto del mondo. Nella vita di tutti i giorni, possiamo sperimentare il miracolo della trasformazione che provoca un mondo tridimensionale, completato la quarta dimensione del tempo, per manifestarsi davanti ai nostri occhi. Il grande vantaggio dell'esperienza è che non è teorica. La realtà non è mai sbagliata e tutti noi siamo immersi nella realtà, indipendentemente dai modelli che applichiamo per spiegarla.
L'esame indiretto della coscienza attraverso il processo di velatura, come delineato in questo articolo, può essere testato tramite
di esperimenti. Ad esempio, la teoria proposta può essere confutata se vengono ideati test privi di scappatoie per confermare la nonlocalità. D'altra parte, processi cognitivi con probabilità anomale darebbero supporto alla nostra tesi.
Notiamo infine che l'Heisenberg/von Neumann-cut non esiste da nessuna parte: L’osservatore deve essere uno, tutti gli osservatori sono apparizioni di entità distinte o indipendenti, che assumono un'apparente “realtà” attraverso l'azione velante. Come dichiarato sopra, la nostra tesi risolve il problema della misurazione. Leggendo von Neumann c'è un forte indizio che anche lui sostenesse questa visione.
Percezione, esperienza e realtà
Il neuroscienziato Beau Lotto scrive: "Quando apri gli occhi, vedi il mondo come è veramente? Vediamo la realtà? Gli esseri umani si sono posti questa domanda per migliaia di anni. Dalle ombre sul muro della caverna di Platone in "The Republic" a Morpheus che offre a Neo la pillola rossa o il becco blu in "The Matrix", l'idea che ciò che vediamo potrebbe non essere ciò che è veramente lì ci ha turbato e stuzzicato. Nel diciottesimo secolo, il filosofo Immanuel Kant sostenne che non si può mai avere accesso al Ding an sich , la “cosa in sé” non filtrata della realtà oggettiva. Le grandi menti della storia hanno ripreso questa domanda sconcertante ancora e ancora. Avevano tutti delle teorie, ma ora la neuroscienza ha una risposta. La risposta è che non vediamo la realtà. Il mondo esiste. È solo che non lo vediamo. Non sperimentiamo il mondo così com'è perché il nostro cervello non si è evoluto per farlo. È una specie di paradosso: il tuo cervello ti dà l'impressione che le tue percezioni siano oggettivamente reali, eppure i processi sensoriali che rendono possibile la percezione in realtà ti separano dall'accesso diretto a quella realtà. I nostri cinque sensi sono come la tastiera di un computer: forniscono i mezzi per far entrare le informazioni dal mondo, ma hanno ben poco a che fare con ciò che viene poi sperimentato nella percezione. In sostanza sono solo mezzi meccanici, e quindi svolgono solo un ruolo limitato in ciò che percepiamo. In effetti, in termini di numero di connessioni neurali, solo il 10 percento delle informazioni che il nostro cervello usa per vedere proviene dai nostri occhi"
Il neuroscienziato Beau Lotto scrive: "Ma se il cervello è una manifestazione della nostra storia, come è mai possibile uscire dal passato per vivere e creare diversamente nel futuro? Fortunatamente, la neuroscienza della percezione - e in effetti l'evoluzione stessa - ci offre una soluzione. La risposta è essenziale perché porterà a future innovazioni nel pensiero e nel comportamento in tutti gli aspetti della nostra vita, dall'amore all'apprendimento. Qual è la prossima grande innovazione? Non è una tecnologia. È un modo di vedere"
E questo nuovo modo di vedere è quello proposto da questo sito che, sotto la riduttiva denominazione di "pensiero critico" invita a vedere il mondo diversamente...
Prevalenza dell'inconscio
La ricerca sulle abilità percettivo-cognitive e motorie indica che esse vengono automatizzate attraverso l'esperienza e quindi rese inconsce. La ricerca sull'elaborazione automatica, la percezione subliminale, la memoria implicita e l'ipnosi indica che gli eventi possono influenzare le funzioni mentali anche se non possono essere percepiti o ricordati consapevolmente. Si conclude che esiste una divisione tripartita dell'inconscio cognitivo in processi mentali veramente inconsci che operano su strutture di conoscenza che possono essere esse stesse preconsce o subconsce
La domanda di Robert Nozick all'uomo moderno
Nel 1974 il filosofo Robert Nozick descrisse, nel libro "Anarchia, stato e utopia", una fantomatica (a quel tempo) macchina dell'esperienza: "Immagina una macchina che possa darti qualsiasi esperienza (o sequenza di esperienze) tu possa desiderare. Quando sei connesso a questa macchina dell'esperienza, puoi avere l'esperienza di scrivere una grande poesia o di portare la pace nel mondo o di amare qualcuno ed essere amato in cambio. Puoi provare i piaceri provati di queste cose, come si sentono "dall'interno". Puoi programmare le tue esperienze per... il resto della tua vita. Se la tua immaginazione è impoverita, puoi utilizzare la biblioteca di suggerimenti estratti da biografie e arricchiti da romanzieri e psicologi. Puoi vivere i tuoi sogni più cari "dall'interno". Sceglieresti di farlo per il resto della tua vita?... Entrando, non ricorderai di averlo fatto; quindi nessun piacere verrà rovinato dal rendersi conto che sono prodotti dalla macchina".
La macchina dell'esperienza di Robert Nozick
La domanda al centro della Experience Machine è: il piacere è tutto ciò che conta?
Cos'è la libertà individuale secondo Nozick
Riguardo al motivo per cui Robert Nozick ha ideato la "Macchina dell'esperienza" dobbiamo chiederci cosa egli pensava della libertà individuale. Egli la pensava come Immanuel Kant, e cioè, come riportato nell' Internet Encyclopedia of Philosophy:

Immanuel Kant pensava che mostriamo il dovuto rispetto per le persone quando le trattiamo come fini a se stesse. Cioè, dovremmo trattare gli altri come se avessero obiettivi e progetti propri e non dobbiamo usarli semplicemente come strumenti per ottenere ciò che vogliamo. Gli esseri umani possono decidere quali comportamenti consentiranno loro di raggiungere i propri obiettivi e possono essere utilizzati solo in un modo che rispetti tale capacità razionale. Ciò significa anche che le persone non possono essere utilizzate in alcun modo senza il loro consenso.

Riguardo ai diritti individuali Nozick continua:

I diritti individuali che le persone possiedono equivalgono a vincoli morali su ciò che può essere fatto loro. L'unica condizione che potrebbe consentire la violazione di tali vincoli collaterali sarebbe se questo fosse l'unico modo per "evitare un catastrofico orrore morale". Salvo una condizione così drammatica, ciò significa che i diritti delle persone non devono essere 'scambiati' anche se ciò significa guadagni per l'intera società. Ma il motivo per cui è così importante che i diritti individuali a sé e alla proprietà non siano violati potrebbe essere ulteriormente spiegato dall'idea che gli individui hanno bisogno dello spazio per rendere la propria vita significativa: “Io [Nozick] ipotizzo che la risposta [alla domanda su cosa i diritti individuali siano] si collega a quella nozione elusiva e difficile: il senso della vita". Nozick ha continuato dicendo che la capacità di ognuno di plasmare la propria vita secondo una sorta di piano di vita è proprio il modo in cui si dà un significato alla propria vita. Questo offre un'altra prospettiva da cui possiamo capire perché la vita umana ha un valore unico. Solo gli esseri con la capacità razionale di plasmare la propria vita possono avere o addirittura perseguire una vita significativa.

In particolare, riguardo all'esperimento mentale della "macchina dell'esperienza" l'Encyclopedia of Philosophy scrive di Nozick:

[Nozick] Ci fa immaginare una macchina sviluppata da "neuropsicologi super stupidi" in cui si potrebbe entrare e fare qualsiasi tipo di esperienza desideri. Il cervello di una persona potrebbe essere stimolato in modo che possa pensare e sentire che sta leggendo un libro, scrivendo un grande romanzo o scalando l'Everest. Ma per tutto il tempo la persona galleggia semplicemente in una vasca con gli elettrodi attaccati alla testa. Se si teme che potrebbe annoiarsi di una vita di circostanze piacevoli, non c'è nulla che le impedisca di avere semplicemente eventi problematici programmati per mantenere le cose interessanti. Poiché si tratta di un esperimento mentale, e Nozick non vuole che i lettori siano distratti da dettagli che li costringano a testare le loro intuizioni, dobbiamo immaginare che la macchina sia affidabile, anzi infrangibile, quindi questi non sarebbero motivi tecnici o banali per non entrare. Nozick chiede al lettore se vuole entrare nella macchina. Nozick pensava che non saremmo entrati, concludendo che le persone avrebbero seguito la sua intuizione che tali esperienze programmate non sono reali. Ha affermato che le persone non vogliono semplicemente sperimentare determinate azioni, ma vogliono eseguirle effettivamente. Nozick sospetta che non entreremmo nella macchina perché non desideriamo semplicemente sperimentare l'essere famosi, ma vogliamo "essere" certi tipi di persone che fanno determinati tipi di cose. Per esempio, non voglio semplicemente sperimentare che sono un grande romanziere, voglio "essere" davvero un grande romanziere. In che modo l'intuizione che dovremmo ottenere dalla macchina dell'esperienza è una critica all'utilitarismo classico? L'idea è che il valore fondamentale alla base dell'utilitarismo, come classicamente descritto da Jeremy Bentham e John Stuart Mill, è che la felicità è il massimo e l'unico bene intrinseco. Cioè, la felicità è il bene per il quale si perseguono tutti gli altri beni. Presumibilmente il fascino iniziale di entrare nella macchina di Nozick sarebbe la promessa di acquisire piacere. Tuttavia, la riluttanza ad entrare alla fine sembra significare che desideriamo qualcos'altro oltre la felicità nelle nostre vite, che sia realtà o genuinità. Quindi, sembra che la felicità non sia il bene supremo. Anche se questo sembra infliggere un colpo significativo contro l'utilitarismo classico, non sembra influenzare altre forme di utilitarismo come l'utilitarismo di preferenza. Gli utilitaristi di preferenza potrebbero affermare che le persone potrebbero non entrare nella macchina non perché si preoccupano di più di valori diversi dalla felicità, ma perché preferiscono sperimentare la felicità solo attraverso alcuni mezzi che implicano il perseguire attivamente la felicità e non semplicemente sperimentarla. Inoltre, potrebbero vedere la felicità in un modo complesso per cui non desiderano semplicemente il piacere "bruto", ma desiderano una sorta di felicità sfumata.
Una descrizione della macchina dell'esperienza (Sam Harris)
esperienza
I am willing to have new experiences but only if they are useless!
I have no intention of changing!
Un'altra descrizione della macchina dell'esperienza (Jeffrey Kaplan)
La macchina dell'esperienza di Nozick ha lo scopo di mostrare che ciò che conviene ad ogni persona è "vivere" la propria vita, nel bene e nel male, senza cercare a tutti i costi il piacere. Quindi è un rifiuto dell'Edonismo.
esperienza
Il neurobiologo Pier Vincenzo Piazza scrive nel libro "Homo biologicus" (pp-70-71): Le esperienze vissute non hanno effetti visibili a occhio nudo sul cervello. Forse per questa ragione abbiamo preso l'abitudine di pensare che agiscano sulla fantomatica mente immateriale, dato che nemmeno lei si vede. Eppure sappiamo tutti che le nostre attività possono modificare il nostro corpo. Basta osservare l'evoluzione fisica di chi pratica uno sport con costanza. La ripetizione dei movimenti trasforma i muscoli che, dopo alcuni mesi d'allenamento, aumentano di volume. Ciò che sappiamo molto meno è che il cervello è il campione del mondo della risposta biologica alle esperienze di vita. Dove al muscolo necessitano settimane, il sistema nervoso può modificare nel giro di poche ore in maniera durevole la propria biologia."
Cos'è l'esperienza?
Ci siamo mai chiesti cos'è l'esperienza che ogni persona fa nella vita reale?  E' utile chiederselo, mentre si affronta la visione di Robert Nozick. Ecco alcune definizioni:
Esperienza esterna ed ed esperienza interna

L'enciclopedia Treccani così definisce l'esperienza:

In generale, conoscenza diretta, personalmente acquisita, di una sfera particolare della realtà. John Locke e l’empirismo distinguono l’ esperienza esterna, o percezione dei fatti a noi esterni (sensazioni), e l’ esperienza interna, o percezione dei moti interni alla coscienza (riflessione). Esperienza esterna ed esperienza interna costituiscono il presupposto di quell’ulteriore riflessione intellettuale che ne elabora i dati. Immanuel Kant accolse questo concetto dell’esperienza, ma sostenne che l’esperienza presume necessariamente alcuni elementi ideali che non possono derivare da essa, ma uniti a essa ne costituiscono l’universalità e necessità (principi ‘a priori’ o ‘trascendentali’). Tra Otto e Novecento l’empirio-criticismo ha parlato di esperienza pura, i cui elementi ultimi e costitutivi sono le sensazioni, gli unici dati certi in base ai quali e alle loro connessioni studiare i fenomeni sia fisici sia psichici. In filosofia della scienza, con il termine esperienza si intende di solito il metodo sperimentale, ossia l’insieme delle procedure comprendenti l’ ‘esperimento’ e l’‘osservazione’. Si suole anche distinguere l’ esperienza comune, che è quella spontanea, senza regole, e l’esperienza scientifica, che nell’osservazione dei fatti applica regole fornite dalla ragione.

I sensi, il rapporto con le cose e con gli altri

Mentre Educational Rai, con i suoi linguisti Sfefano Gensini e Giancarlo Schirru, così definisce l'esperienza:

La parola esperienza proviene per via colta dal sostantivo latino experientia, a sua volta derivato da experiens, participio presente del verbo experiri, cioè provare, sperimentare. Il termine, come avviene spesso per gli adattamenti dotti, non ha mutato sostanzialmente il suo significato da quello della corrispondente forma latina: indica infatti lo sperimentare o il conoscere direttamente un aspetto della realtà.
Nella tradizione filosofica il termine ha avuto un significato molto specifico, ristretto alla conoscenza ottenuta dal solo mondo fisico, intesa come separata dalla ragione e dall'idea: indica cioè quel tipo di conoscenza che parte dell’attività dei sensi. Nel linguaggio comune, la parola ha però usi più vari e indica in modo generico la conoscenza del mondo ottenuta attraverso la vita quotidiana, il rapporto con le cose e gli altri. Esperienza vuol dire in fondo aver attraversato una serie di eventi che, accumulati, hanno sviluppato un arricchimento interiore e una crescita morale. Per questo tendiamo ad associare l'esperienza alla maturità o alla vecchiaia. Oppure associamo il termine a ogni singolo atto che ha permesso di conoscere un particolare aspetto del mondo o della vita: ad esempio un viaggio, una difficoltà, un’avventura amorosa. O ancora intendiamo per esperienza la perizia che si raggiunge attraverso la consuetudine o l’applicazione costante in una determinata tecnica o in una professione.

Esperienza da sé ed esperienza da altri

Il sito "psicologia e benessere" della casa editrice Thea, così descrive l'esperienza:

Classicamente, l’esperienza è la conoscenza di concetti o eventi ottenuta tramite l’interazione o l’osservazione. Di per sé l’esperienza non ha lo stesso peso in tutti gli individui proprio perché l’interazione e l’osservazione sono processi molto complessi. Innanzitutto occorre distinguere l’esperienza da sé da quella da altri. L’ "esperienza da sé" è quella che più comunemente viene considerata. È quella che il soggetto acquisisce di persona, sulla propria pelle, vivendo. Non a caso un adulto sbaglia mediamente di meno di un adolescente proprio perché “ha più esperienza”; vivere una situazione già vissuta dovrebbe avere come conseguenza quella di viverla meglio della volta precedente, ovviamente se l’elaborazione dell’esperienza non è stata fallimentare. L’importanza dell’esperienza da sé è tale da essere riassunta nel classico motto "errare humanum est, perseverare autem diabolicum". L’esperienza da altri è quella che il soggetto acquisisce per qualcosa che è accaduto o accade al di fuori di sé, contrariamente alla credenza comune, oggi l’esperienza da sé dà una minore quantità d’informazione rispetto a quella da altri. In altri termini, se ci riferissimo alla sola esperienza personale conosceremmo molto poco del mondo. Come può una persona dire cose sensate sui figli se non ne ha? Come può una persona dire cose sensate sull’adozione se non ha mai adottato un bambino? Come può una persona parlar male di un lavoro se non lo ha mai fatto? Come può una persona dire cose sensate sulla droga se non si è mai drogata? Di esempi come questi ce ne sono a migliaia e sono certo che a questo punto tutti hanno capito: è banale comprendere che non bisogna aver messo le dita nella presa della corrente per capire che è meglio astenersi dal farlo. Possiamo parlare di esperienza da altri diretta o indiretta. La prima l’abbiamo osservando o interagendo direttamente con le persone, in modo naturale, senza doverci preoccupare di studiare, cioè di acquisire dati con un’azione mirata all’acquisizione; la seconda è invece basata sullo studio, cioè quell’insieme di tecniche e di strategie che utilizziamo per acquisire conoscenza. Attualmente la distinzione fra le due forme è meno netta che per esempio un secolo fa, quando quella diretta era basata soprattutto sul contatto fisico con le persone; oggi lo sviluppo dei media porta nelle case moltissima informazione su ciò che accade agli altri nel mondo. Anche inconsciamente siamo condizionati dalle notizie che sentiamo nei telegiornali o da quelle che leggiamo sul giornale; se nella nostra città accadono molti fatti violenti, ecco che saremo portati a credere che la nostra città sia pericolosa, anche se nessuno di questi fatti è accaduto direttamente sotto ai nostri occhi. Ovviamente, un’informazione scorretta può alterare la nostra esperienza da altri diretta. Per l’esperienza indiretta il problema della corretta informazione è sempre esistito e si trasforma nel problema della validazione delle fonti. [e della credibilità]

Quest'ultima osservazione ci obbliga ad esercitare un "pensiero critico" sull'informazione e valutare attentamente la credibilità delle nostre fonti. L'importanza di questo concetto è stata recentemente dimostrata dalle azioni dei "NO VAX" molti dei quali (in tutto il mondo), nella pandemia di Covid19, quando infettati e moribondi, hanno continuato a "negare": non hanno imparato nulla dall'esperienza...


Prima di procedere nella descrizione di come questa elaborazione possa essere ottimizzata, è necessario ricordare che esistono molti individui che negano alla base, inconsciamente, il valore dell’esperienza (negazione dell’esperienza). Pensiamo alle persone che non sopportano di sbagliare, che si autopuniscono per i loro errori o peggio che tendono a punire con eccessiva severità chi sbaglia; non hanno capito che nessuno può pretendere di capire la vita senza l’esperienza: la ragione, da sola, non basta. Per convincersi, si consideri una persona molto intelligente che non sa giocare a scacchi e una persona mediocre che gioca da una vita. Il nostro genio si compra un libriccino, impara le regolette del gioco (non ci vuole più di un’ora) e poi, dall’alto della sua intelligenza, decide di sfidare il nostro giocatore da caffè. Ebbene, nonostante quello che può pensare la maggioranza delle persone, il nostro genio farà una figuraccia perché gli scacchi, come la vita, sono soprattutto una questione di esperienza. È chiaro poi che, a parità di esperienza, conta la capacità di capirla, di elaborarla. Accanto alla negazione dell’esperienza troviamo due figure opposte nella gestione dell’esperienza, il recidivo e il praticone. Il recidivo è colui che fa sempre gli stessi errori e, di fatto, resta esistenzialmente sempre al punto di partenza. L’esperienza deve servire per fare le scelte giuste, mutando regole sbagliate in regole corrette: se non lo facciamo (si può continuare a perseverare nello stesso errore per l’incapacità di assimilare il processo che serve per evitarlo o per la pigrizia nel cambiare la propria vita o per altri mille motivi) tutta la nostra fatica è sprecata, siamo esistenzialmente stupidi. Come dobbiamo essere indulgenti con noi stessi al primo errore, così dobbiamo essere spietati quando lo ripetiamo: solo con questo atteggiamento riusciremo a migliorare la qualità della vita.

L'esperienza è dunque la conoscenza  (diretta o indiretta) che l'individuo ha acquisito riguardo a una certa realtà.
Certo la vita di ognuno di noi è stata determinata dalle esperienze che abbiamo fatto (o non fatto) negli ambienti che abbiamo frequentato. Esse hanno determinato la formazione del nostro sé e dei nostri comportamenti. Spesso, le esperienze più importanti (scuola, lavoro, famiglia, malattie, lutti, relazioni sentimentali e amicali, ecc.) hanno cambiato la nostra prospettiva e, dunque, anche la nostra identità personale. Ognuno, riflettendo sul proprio passato, può individuare quali esperienze sono state fondamentali nel creare la propria identità.
Cos'è la "vita umana" secondo Robert Nozick
La nostra "vita", secondo Robert Nozick è il prodotto combinato di molte cose, riconducibili a una serie di valori i cui più importanti sono: (1) Esperienza: ciò che "sentiamo" (2) Identità; ciò che siamo (3) Eredità: ciò che lasciamo agli altri (Cliccare per approfondire)
L'eterna lotta tra piacere e realtà
Il sito "Il viaggio dell'Eroe" scrive:

Secondo Sigmund Freud tutte le scelte della psiche sono dettate dal principio del piacere: l’uomo desidera la sua felicità, l’appagamento immediato e incondizionato dei suoi desideri, ma tale desiderio si scontra quasi sempre con la realtà, ovvero con le costrizioni morali e le tradizioni sociali che sono ostili al pieno soddisfacimento del piacere. Spesso desideriamo così intensamente e al di là di ogni morale che è inevitabile non ottenere quasi mai ciò che vogliamo. Il principio del piacere si scontra con la realtà e ne deriva l’inevitabile frustrazione dei desideri.

Ecco allora che al principio del piacere può subentrare quello di realtà: esso cerca la soddisfazione del desiderio in relazione a ciò che la realtà può offrire.
Mentre il principio di piacere cerca la soddisfazione immediata del bisogno in modo completamente irrazionale, il principio di realtà persegue l’appagamento del desiderio ponendosi obiettivi estesi nel tempo e sublimando l’impossibile appagamento immediato in rappresentazioni sostitutive. In altre parole, di fronte all’impossibilità di un appagamento completo, il principio di realtà agisce in modo da adattare il soddisfacimento del desiderio alle situazioni avverse.
Come dobbiamo essere indulgenti con noi stessi al primo errore, così dobbiamo essere spietati quando lo ripetiamo: solo con questo atteggiamento riusciremo a migliorare la qualità della nostra vita
Uno schema dell'esperienza umana
Le esperienze di vita di un essere umano sono un'interazione dinamica tra l'ambiente circostante, l'ambiente interno e le diverse forme di coscienza che lo aiutano a dare un senso a entrambi questi ambienti.
Il Metaverso piacerà solo agli psicopatici, o anche ai normodotati?
Esistono molti studi e report sull'incidenza di psicopatia nella personalità degli individui. Per approfondire andare alla pagina: "Psicopatologia"
Il significato della Experience Machine è che, nonostante il richiamo di una vita di bei momenti all'interno della macchina, lo scopo dell'esperimento mentale di Nozick era persuaderci che la vita è ben più di semplici esperienze piacevoli. Il punto della macchina, dice Nozick, non è dimostrare la bellezza della vita in Matrix, ma mostrare che dovremmo preferire una vita autentica nel mondo reale a una (in)autentica all'interno della macchina. Questa riflessione, maturata quando la realtà virtuale non era ancora realizzabile, diventa utile adesso che sta per concretizzarsi la macchina dell'esperienza del futuro umano basato sulla realtà virtuale e aumentata: il Metaverso
Lisa Broderick scrive: "La relazione tra percezione ed eventi futuri è importante. Quindi, considerato dove potremmo trovarci, cosa c’è da fare al riguardo? Ebbene, possiamo consapevolmente non consolidare eventi futuri e spaventosi. Se stiamo costruendo attivamente eventi spaventosi, allora è ovvio che possiamo anche decostruirli attivamente. In un mondo di incertezza, apprezzare i meccanismi della percezione rappresenta un’opportunità di empowerment. Riconoscendo l’influenza dei nostri pensieri sulla concretizzazione degli eventi nel tempo, possiamo riacquistare il controllo sui nostri destini individuali e collettivi. Possiamo diventare esperti nella consapevolezza cosciente e nella concentrazione intenzionale per contrastare la tendenza verso un pensiero individuale e collettivo basato sulla paura."
Beau Lotto scrive: "Se il cervello è una manifestazione della nostra storia, come è mai possibile uscire dal passato per vivere e creare in modo diverso nel futuro? Fortunatamente, la neuroscienza della percezione – e in effetti l’evoluzione stessa – ci offre una soluzione. La risposta è essenziale perché porterà a future innovazioni nel pensiero e nel comportamento in tutti gli aspetti della nostra vita, dall’amore all’apprendimento. Qual è la prossima grande innovazione?
Non è una tecnologia. È un modo di vedere."
Conclusioni (provvisorie): Sembra che, per apprezzare la macchina dell'esperienza, bisognerà essere psicopatici, sociopatici, ludopatici, o peggio..., cioè quella parte degli esseri umani minoritaria della società
Il concetto di esperienza sta per diventare più importante in vista della nuova stagione che sta per aprirsi con l'evoluzione di Internet verso la realtà virtuale, cioè verso quell'ambiente che è stato chiamato "Metaverso" dallo scrittore Neil Stephenson nel romanzo "Crash Snow". Il Metaverso è in fase di creazione e molte aziende stanno investendo sforzi e capitali enormi per crearlo, tra loro uno dei più famosi è Mark Zuckerberg che sta trasformando Facebook in Meta, cioè in un'azienda completamente dedicata alla realtà virtuale. L'essere umano si autocostruisce, e/o si fa costruire da altri, con le esperienze che vive nel proprio ambiente: esse creano le sue conoscenze, sia che si tratti di esperienze dirette che l'individuo vive personalmente nel mondo, sia che si tratti di esperienze indirette (la maggior parte delle nostre esperienze) che l'individuo apprende da altri (libri, conversazioni, mezzi di comunicazione, social media, ecc.). Il filosofo Robert Nozick aveva già anticipato il tema nel 1974 nel libro "Anarchia, stato e utopia", proponendo una "macchina dell'esperienza" che viene descritta e valutata in questa pagina. La domanda al centro della Experience Machine è: il piacere è tutto ciò che conta? Con l'intento di capire se l'essere umano è guidato, nella sua azione, solo dalla ricerca del piacere personale, come ipotizzato da Sigmund Freud nel 1920 nel libro "Al di là del principio di piacere", che avviò la sua riflessione psicoanalitica o ci sono altre "spinte" mentali (diverse da quella proposta da Freud). Robert Nozick aveva descritto la macchina dell'esperienza in questo modo "Immagina una macchina che possa darti qualsiasi esperienza (o sequenza di esperienze) tu possa desiderare. Quando sei connesso a questa macchina dell'esperienza, puoi avere l'esperienza di scrivere una grande poesia o di portare la pace nel mondo o di amare qualcuno ed essere amato in cambio. Puoi provare i piaceri "provati" di queste cose, come si sentono "dall'interno". Puoi programmare le tue esperienze per... il resto della tua vita. Se la tua immaginazione è impoverita, puoi utilizzare la biblioteca di suggerimenti estratti da biografie e arricchiti da romanzieri e psicologi. Puoi vivere i tuoi sogni più cari "dall'interno". Sceglieresti di farlo per il resto della tua vita?... Entrando, non ricorderai di averlo fatto; quindi nessun piacere verrà rovinato dal rendersi conto che sono prodotti dalla macchina". Si tratta di una domanda che si porrà a tutti gli utenti del Metaverso se, come pare probabile, esso mira a diventare il grande "videogioco planetario". Qual è stata la risposta di Nozick? Robert Nozick ha risposto "NO", cioè ha risposto che la maggior parte degli esseri umani non riterrebbe conveniente dare in pasto la propria vita alla macchina dell'esperienza. Ciò principalmente per tre motivi: (1) perchè le persone ritengono ci sia una differenza enorme tra "fare un'esperienza" in una realtà (solo positiva) costruita artificialmente, piuttosto che "fare delle azioni in una realtà vera" soggetta a tutte le potenziali variabili (positive o negative) della vita reale; (2) perchè le persone vogliono "essere" delle persone "vere" piuttosto che dei fantocci che galleggiano in un serbatoio della macchina dell'esperienza; (3) perchè le persone vogliono vivere nella realtà (misteriosa e incerta) piuttosto che suicidarsi all'interno di una macchina indirizzata da qualcun altro. Infatti sembra che, per apprezzare la macchina dell'esperienza, bisognerà essere psicopatici, sociopatici, ludopatici, o peggio..., cioè quella parte degli esseri umani minoritaria e limitata, secondo uno meta-analisi di 15 studi della psichiatra Ana Sanz-Garcia e dei suoi colleghi, al 4,5% della popolazione adulta generale (prevalenza inferiore a quella riscontrata nella popolazione che ha commesso reati o carceraria, che di solito oscilla tra il 10 e il 35% ).
per scaricare le conclusioni (in pdf):
Bibliografia (chi fa delle buone letture è meno manipolabile)


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Libri consigliati
a chi è interessato a capire cos'è l'esperienza e la realtà
Spesa annua pro capite in Italia per gioco d'azzardo 1.583 euro, per l'acquisto di libri 58,8 euro (fonte: l'Espresso 5/2/17)

Pagina aggiornata il 30 aprile 2024

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Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione 2.5 Generico
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