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Coloro cui sfugge completamente l'idea che è possibile aver torto non possono imparare nulla, tranne la tecnica. (Gregory Bateson)
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Ottobre 2022
NEWSLETTER
Newsletter 27
pensierocritico.eu
Focus della newsletter 27

  
Il focus di questa newsletter è il concetto di "società", dato che di solito si ritiene che non si possa cambiare la società nella quale si vive. Però la letteratura e la filosofia cercano di convincerci che non è così, che vi è sempre la speranza che si possano produrre degli effetti con la propria azione. Uno di questi è mostrato dal confronto tra "società aperta" e "società chiusa", secondo le interpretazioni che ne fecero i filosofi Karl Popper ed Henri Bergson. Popper dopo la seconda guerra mondiale (1945) e Bergson poco prima che scoppiasse (1932). La società aperta è quella che ci fa sentire uguali come cittadini, tutti più o meno in grado di adattarci ai cambiamenti che l’apertura porta, invece la società chiusa è quella che conosciamo, nella quale viviamo oggi. Soprattutto Karl Popper (che era ebreo) argomentò in un ponderoso saggio sui principi della ricostruzione democratica, scritto dal 1936 mentre era in esilio in Nuova Zelanda, dove si era rifugiato in prossimità dell'annessione nazista dell'Austria (1938) da parte del Terzo Reich. Popper attribuì la concezione della società chiusa alle idee di Platone, Hegel e Marx, e per questo motivo, probabilmente, venne odiato dalla maggior parte dei filosofi del suo tempo (e anche oggi molti non apprezzano le sue idee). Popper scrisse (p.8): "Platone fu costretto a combattere il libero pensiero e il perseguimento della verità; fu indotto a difendere la menzogna, i miracoli politici, la superstizione dei tabù, e la soppressione della verità e, alla fine, la violenza brutale. Nonostante l'avvertimento di Socrate a guardarsi dalla misantropia e dalla misologia, fu indotto ad avere sfiducia nell'uomo e a temere l'argomentazione razionale. Nonostante il proprio odio della tirannide, fu spinto a vedere nel tiranno un possibile aiuto e a difendere le più tiranniche misure". Sul secondo egli scrisse: "Il successo di Hegel segnò l'inizio dell'era della disonestà e dell'era della irresponsabilità; prima di irresponsabilità intellettuale e poi, come una delle sue conseguenze, di irresponsabilità morale; l'inizio di una nuova era dominata dalla magia di parole altisonanti e dalla potenza del gergo". Dario Antiseri, nalla premessa al libro scrive: "Popper vede nella filosofia hegeliana una delle più grandi menzogne che siano state scagliate contro la società aperta. Essa è l'arsenale dei moderni movimenti totalitari. E' l'arsenale del nazismo e della nefasta fede fascista, dottrina materialistica e al medesimo tempo mistica, totalitaria e insieme tribale. Ed è dall'hegelismo, sostiene Popper, che scaturiscono gli aspetti peggiori del marxismo, e cioè lo storicismo e il totalitarismo. Nonostante parecchi sinceri apprezzamenti nei confronti di Marx (non ultimo quello per cui tornare a una scienza sociale pre-marxista è impossibile), Popper è stato forse il più acuto e tenace critico contemporaneo di Marx". Quindi in questa newsletter metto in evidenza la connessione interallacciata di due fattori: l'apertura della società si può avere se sono presenti due fattori: il primo culturale, e il secondo economico: (1. Culturale) se la società è ben informata, cioè se la disinformazione viene trascurata dalla maggioranza della popolazione in virtù di un uso del pensiero critico che annulli ciò che resta attivo dell'inevitabile disinformazione, e (2. Economico) se la disuguaglianza dei redditi ha raggiunto un valore minimo (oggi utopistico) al quale si può reagire sviluppando l'imprenditorialità umana in ogni individuo.

Ecco i temi trattati in questa Newsletter:

  1. La società aperta e i suoi nemici: Karl Popper, Henri Bergson e la trasformazione umana dalla società chiusa alla società aperta. Il processo mentale di trasformazione è, probabilmente, il processo più importante della storia evolutiva umana. La psicoterapeuta Nicoletta Cinotti, nel descrivere la trasformazione come un processo che può essere bloccato da patologie mentali, scrive: "È inevitabile pensare in termini di cambiamento: tutto attorno a noi ce lo ricorda. E, nello stesso tempo, facciamo di tutto per dimenticarlo. Questo conflitto tra desiderio e rifiuto è associato al significato che diamo ai suoi risultati: se li temiamo non possiamo che far finta che niente cambi, se li desideriamo spingiamo sull’acceleratore perché avvengano. Dimentichiamo però un’altra faccia del cambiamento, che non richiede né spinta né accelerazione: è la trasformazione. Quel passare fluido, che sperimentiamo nell’esperienza e che ci cambia senza che forziamo la direzione del cambiamento con la volontà". La trasformazione di ogni individuo, e quindi della sua identità nel tempo della sua vita è il processo permanente che accompagna ogni nostra esperienza. Le società cambiano se cambiano gli individui che le compongono, e non si tratta di un processo solo storico, ma soprattutto psicologico e culturale. Secondo Karl Popper le società chiuse si distinguono per essere autocratiche, mentre le società aperte si basano sulla democrazia. La società italiana è aperta o chiusa (secondo i criteri di Popper)? Secondo le conclusioni di una ricerca europea svolta nel 2019 da "Voices on Values" la società italiana è ambivalente: "I dati raccolti con la ricerca “Voices on values” descrivono la situazione italiana come ambivalente: italiane ed italiani presentano i più alti valori di adesione ai principi della società aperta e, al tempo stesso, il più forte sostegno dato a principi assimilabili a visioni di chiusura. Gli italiani e le italiane sembrano sostenere senza esitazione i principi fondanti delle democrazie liberali a tutela dei propri diritti, ma sembrano riluttanti ad estenderne i benefici a chi proviene “da fuori”, tanto da essere disposti a sacrificarli per difendere il proprio benessere. Non bastano i concetti di “razzismo” o “populismo” per spiegare alcuni atteggiamenti/propensioni. E, forse, sono anche categorie che non aiutano a inquadrare bene questa “ambiguità” verso la società aperta."  E dato che siamo in Italia, e il prossimo 25 settembre si terranno le elezioni, mi sembra che, ancor più del passato, occorra accettare il fatto che la scelta NON sia tra destra e sinistra, tra fascismo e democrazia di centrosinistra, quanto tra chi vuole mantenere l'Italia una "società chiusa" e chi vuole tentare di aprirla. Se ci chiediamo quali forze politiche spingono verso la società chiusa e quali invece verso la società aperta, che è uno degli indicatori più attendibili nel percorso dalla tradizione alla modernità, possiamo dire che poche persone (anzi quasi nessuna) si chiedono se preferirebbero vivere in una società chiusa (cioè vincolata ai valori consueti) o in una società aperta (cioè favorevole all'aggiornamento dei propri valori verso la libertà degli ALTRI). Le forze politiche che vorrebbero che l'Italia andasse verso una società (più) chiusa sono quelle della destra (Lega, Fratelli d'Italia e Forza Italia) e i motivi sono chiari, e sono tutti di chiusura: ostilità verso l'immigrazione, rifiuto di assistere i meno abbienti, desiderio di favorire le minoranze benestanti (imprenditori, possidenti, tecnocrati, ecc); poi vi sono le forze politiche di centrosinistra (PD, Azione e +Europa, Italia Viva, Verdi, M5S, ecc.) che teoricamente dovrebbero essere orientati verso una società aperta, ma la loro apertura è variegata e incompleta in molti casi. Ma molti altri Paesi stanno peggio: la Russia oggi è un caso estremo di società chiusa e le motivazioni addotte da Vladimir Putin per spiegare la guerra in Ucraina lo hanno certificato. Anche la Cina, nelle cui braccia Putin sta per deporre la sua Russia prima che collassi, è una società chiusa. Si tratta di società in cui il processo di apertura è troppo recente per mostrare risultati tangibili, ma è solo questione di tempo...i secoli passeranno veloci, tranne incidenti nucleari. Pur con tutte le varianti di chiusura e di apertura che si presentano nelle tante società del mondo occidentale, per concludere, il giornalista Bill Emmott scrive: "Le nostre società hanno bisogno di una cosa: investire in tutto quello che ci può aiutare a sentirci uguali come cittadini, tutti più o meno in grado di adattarci ai cambiamenti che l’apertura porta, e di godere delle nuove opportunità. Ciò che alcune nazioni, tra cui l’Italia, la Gran Bretagna e l’America, non sono riuscite a fare negli ultimi vent’anni è continuare a investire nell’istruzione, nel sostegno a chi vuole cambiare mestiere o vuole avvicinarsi al luogo di lavoro. In poche parole: abbiamo smesso di investire nell’uguaglianza. È questa la protezione di cui hanno bisogno i nostri cittadini: investimenti in tutto ciò che li rende uguali come cittadini. Non lo otterranno se le porte rimangono chiuse, perché non potranno permetterselo. E se le porte rimangono chiuse, e se il potere si concentra in poche mani ed è impenetrabile alle sfide e alla concorrenza, le nostre società rischiano di diventare come la Russia e l’Ungheria: genuinamente illiberali e repressive. Quando ciò accade, i potenti prosperano sempre, mentre il resto di noi – compresi i nostri figli e i figli dei nostri figli – ne fa le spese".

  2. Disuguaglianze sociali: quali fattori creano la disuguaglianza sociale dei redditi? Il reddito è un indicatore fondamentale del grado di sviluppo di un Paese. Per valutare il benessere complessivo occorre tuttavia conoscerne non solo il livello medio pro capite, ma anche la ripartizione nella popolazione. Negli anni '50 l'economista Simon Kuznets aveva notato che almeno due forze tendevano ad aumentare la disuguaglianza dei redditi nel tempo. Uno era la concentrazione del risparmio nei gruppi a reddito elevato; aveva osservato che negli Stati Uniti il ​​5% più ricco della popolazione rappresentava quasi i due terzi del risparmio totale. Un secondo fattore, che è stato una caratteristica universale dello sviluppo nel secolo scorso, è stato il graduale allontanamento dall'agricoltura. La curva di Simon Kuznets, la cui forma assomiglia a una U rovesciata, sta appunto a indicare che la distribuzione del reddito tende a peggiorare nella prima fase dello sviluppo (massimo incurvamento), migliorando invece in maniera costante con la transizione a un'economia di tipo industriale. Questo avviene in quanto, in una prima fase, la fascia di popolazione più ricca investe il proprio capitale, incrementando ulteriormente la propria ricchezza; in un secondo momento, però, viene colpita in misura maggiore dalla tassazione, con conseguente effetto redistributivo. Poi, nel 2015, l'economista Augusto Lopez Claros ha ampliato i motivi che hanno portato all'incremento della disuguaglianza dei redditi nel mondo. Essi sono: accumulo di risparmi, ruolo in declino dell'agricoltura, demografia, politica del governo, migrazione, cambiamento tecnologico e globalizzazione. Il report di Oxfam "The drivers of inequality" (vedi bibliografia), nel 2013 ha presentato una breve storia e un quadro attuale della disuguaglianza di reddito tra paesi e individui. Da questi dati, possiamo accertare che la disuguaglianza tra le economie dell'Europa occidentale e di altre regioni crebbe rapidamente e significativamente dall'inizio del 1800 fino alla metà del 20° secolo. La disuguaglianza tra paesi è rimasta pressoché stabile fino all'emergere della globalizzazione nei primi anni '80. A questo punto, la crescita è decollata nelle economie avanzate e i redditi medi iniziarono ad aumentare in Occidente. L'inizio della liberalizzazione del mercato in Cina ha significato che anche il reddito del paese più popoloso del mondo è aumentato. L'effetto ha frenato qualsiasi peggioramento della disuguaglianza tra paesi. Al contrario, la disuguaglianza all'interno dei paesi si è spostata nella direzione opposta. Nei paesi a tutti i livelli di sviluppo, certi segmenti di popolazione hanno guadagnato molto mentre altri hanno guadagnato meno o per niente. Sfortunatamente, continua ad essere difficile misurare la disuguaglianza di reddito. Molti paesi, specialmente nei paesi in via di sviluppo, amministrano le loro indagini sul reddito da meno di 30 anni. Questo rende difficile tracciare accuratamente i cambiamenti nella distribuzione per periodi di tempo sufficienti. Inoltre, per molti paesi ha più senso misurare il consumo di reddito, poiché i poveri spesso vivono al di fuori delle economie monetarie. Inoltre, la mancanza di standardizzazione tra i diversi sondaggi nazionali complica il confronto. I ricchi sono anche più difficili da raggiungere e meno inclini a rivelare la misura del loro reddito e della loro ricchezza. Si può affermare che, tra gli anni del boom del 2002 e il 2006, i tre quarti di tutti i guadagni economici è andato all'1 per cento più ricco della popolazione. Nella ripresa post-crisi, il top 1% ha incrementato la propria quota catturando il 93% dei guadagni.

  3. Disinformazione: è dovuta allo scarso impegno nel valutare la credibilità delle proprie fonti informative. Negli ultimi anni abbiamo assistito spesso a segnalazioni (soprattutto dai mass media) del rischio di presenza di fakenews nel dibattito pubblico, soprattutto in quello politico. E' stato addirittura creato il termine "post-verità" e nel 2016 l'Oxford Dictionary annunciò di aver decretato "post-truth" (post-verità) come parola dell'anno. Questo fenomeno voleva evidenziare come, negli ultimi decenni la verità sia diventata irrilevante nella percezione dell'opinione pubblica (per approfondire vedi pagina "L'era della post-verità"). Secondo uno studio pubblicato nel 2022 (Research note: Fighting misinformation or fighting for information?) dagli psicologi Alberto Acerbi, Sasha Altay e Hugo Mercier le cose non stanno proprio così, essi sostengono infatti che la disinformazione è stata talmente arginata dall'enfasi creata dal fenomeno "fakenews" che risulta oggi molto ridotta nei media online di molti paesi: 0,7-6% in USA, 4-5% in Francia, 1% in Germania, 0,1% in UK. Essi scrivono nel loro studio: "Nel complesso, queste stime suggeriscono che il consumo di disinformazione online è basso nel nord del mondo, ma potrebbe non essere così nel sud del mondo (Narayanan et al., 2019). Vale anche la pena notare che queste stime sono limitate alle fonti di notizie e non includono post personali, chat di gruppo, meme, ecc." Visto questo stato di cose essi avanzano la seguente proposta: "Ciò non significa che dobbiamo smantellare gli sforzi per combattere la disinformazione, poiché l'attuale equilibrio, con la sua bassa prevalenza di disinformazione, è il risultato di questi sforzi. Sosteniamo invece che, a margine, dovrebbero essere dedicati maggiori sforzi per aumentare la fiducia in fonti di informazione affidabili piuttosto che per combattere la disinformazione". Ciò equivale a dire che le persone devono essere aiutate a valutare la credibilità delle informazioni che ricevono, cioè a migliorare il loro pensiero critico.

  4. Imprenditorialità: cosa impedisce alla maggior parte delle persone di diventar imprenditori I "frame" sono strutture basilari della comprensione che danno un senso agli eventi, infatti non ci si può muovere in nessuna realtà se prima non la si comprende. Il framing è quello sforzo che ogni persona (anche un imprenditore) compie ogni volta che si trova in un nuovo contesto e consiste nel riconoscere "cosa sta accadendo in quel contesto". I frame hanno una natura euristica, cioè sono scorciatoie mentali che consentono di interpretare rapidamente nuove informazioni e situazioni, e per questo motivo essi appartengono al pensiero intuitivo (Sistema 1) e non fruiscono di elaborazione razionale (Sistema 2). Il concetto di "frame" venne introdotto dall'antropologo e filosofo Gregory Bateson nel 1972. Non vi è dubbio che gli imprenditori creano nella loro mente dei frame diversi rispetto a quelli del resto della popolazione. Secondo il filosofo e docente della Domuni Universitas, Joseph Thomas Ekong sembra che il frame più importante sia il rifiuto dello "status quo", cioè il rifiuto a permanere nella situazione in cui ci si trova e la voglia di creare prodotti, servizi, soluzioni che modifichino lo stato in cui hanno trovato la società. Gli imprenditori sono persone che non hanno paura di correre dei rischi per presentare le loro visioni al mondo e lo fanno presentando le loro idee radicali con una retorica accesa. Oggi vi sono parecchi imprenditori di successo che in tutto il mondo, incarnano questo modello, da Elon Musk a Steven Jobs, da Bill Gates a Larry Page, ecc, ma anche in India, Cina e nel resto del mondo. Ovviamente devono essere presenti altre condizioni di natura socio-economica affinchè possa emergere il desiderio di tentare l'imprenditorialità. Un modello globale con il quale viene misurata l'imprenditorialità è quello del Global Entrepreneurship and Development Institute (GEDI), che è un'organizzazione per lo sviluppo di politiche con sede a Washington DC, dedicata all'espansione delle opportunità economiche per individui, comunità e nazioni. Essa raccoglie dati sugli atteggiamenti, le capacità e le aspirazioni imprenditoriali della popolazione locale e li confronta con le "infrastrutture" sociali ed economiche prevalenti. Questo processo crea 14 'pilastri' che GEDI utilizza per misurare la salute dell'ecosistema regionale, nazionale o internazionale.

  5. Sondaggi elettorali: perchè oggi è così scadente la qualità dei sondaggi politico-elettorali? Il sociologo Francesco Marrazzo dell'AGCOM evidenzia che i sondaggi politico-elettorali sono un fenomeno nuovo in Italia, dato che il loro uso (e abuso) è stato lanciato nel 1984 da Silvio Berlusconi come strumento di marketing politico. La spettacolarizzazione dell'uso dei sondaggi da parte di politici e mass media li rende inaffidabili, come scrive Marrazzo: " I risultati dei sondaggi vengono utilizzati come strumento di comunicazione in campagna elettorale, ovvero per confermare l’andamento vincente di un determinato partito/candidato. In questo senso, il sondaggio rischia non solo di manipolare l’imparzialità e la correttezza dell’informazione, ma anche di scatenare un effetto band wagon (ovvero di salita sul carro del vincitore) da parte dei cittadini: proprio da questo rischio trae l’origine il divieto di diffusione di sondaggi politico-elettorali nella fase finale del periodo elettorale, presente nelle legislazioni di alcune democrazie occidentali."  Il problema dell'inattendibilità dei sondaggi elettorali non è solo italiano, ad esempio negli USA, secondo i politologi statistici Andrew Gelman e Gary King, che hanno analizzato i dati di 45 sondaggi privati nella campagna elettorale USA del 1988 (Dudakis vs Bush) e molti altri sondaggi nelle campagne dal 1952 al 1992 (ved. bibliografia), i sondaggi non riescono a dare un'indicazione attendibile del voto finale perchè, semplicemente, si tratta di due fenomeni diversi. Il primo fenomeno è che l'andamento della campagna è utile all'elettore per  formarsi un'idea delle opinioni dei candidati sui temi importanti, ma il secondo fenomeno è che le intenzioni di voto non sono indicative di quella che sarà la scelta finale in occasione del voto. Secondo Gelman e King una buona parte dell'elettorato è volubile e ha la memoria corta, quindi viene influenzata dalla parte della campagna più prossima al voto e dalle opinioni espresse dai candidati in quest'ultima fase. Il ruolo dei media diventa particolarmente importante nell'ultima fase perchè i candidati possono fare delle dichiarazioni "sorprendenti" o indurre l'avversario a dire qualcosa che lo danneggi. A causa della scarsa attendibilità dei sondaggi tradizionali una soluzione potrebbe venire, secondo Francesco Marrazzo, dall'uso di tecniche che impieghino i giudizi espressi sui social media (dati non strutturati) per l'analisi predittiva degli atteggiamenti (il cosiddetto "sentiment"). I sondaggi del futuro saranno probabilmente realizzati con l'analisi automatica dei testi che gli utenti/elettori immettono spontaneamente in rete (blog post, facebook posts, tweets, commenti, online research, ecc). L'uso di strumenti per l'analisi del linguaggio naturale (natural language processing) consente infatti di determinare l'atteggiamento di una persona verso un candidato, una situazione sociale, una azienda, un prodotto, ecc. In particolare l'analisi dei testi consente di classificare l'atteggiamento della persona "inferendo" i suoi stati emotivi, ad esempio "arrabbiato", "triste", "felice", "impaurito", ecc.

  6. Web Design: Il Web Design per essere "critico" non deve seguire le mode del marketing. Il sito pensierocritico.eu esiste da poco più di dieci anni, e ho ricevuto commenti positivi sui contenuti da molte persone compresi due lettori che mi hanno chiesto perchè mantengo un aspetto grafico del sito così vecchio. Dato che il web design è un aspetto che ha a che fare con il pensiero critico, ho pensato che potesse essere utile spiegare in una pagina i motivi che mi hanno spinto a realizzare questo web design. Per farlo ho scelto di avvalermi delle idee di uno dei più autorevoli web designer, la cui visione del problema condivido: Jacob Nielsen. Ciò che più conta nel rapporto con un website è l'esperienza che l'utente fa con esso, e per questo motivo chiedo ai lettori/utenti di affrontare un compito, (apparentemente noioso e inutile, ma in realtà fa parte dell'allenamento al pensiero critico) cioè compilare (su questa pagina) un breve questionario che mi permetterà di capire e correggere gli errori e le manchevolezze che mi verranno segnalati. Infatti, l'esperienza degli utenti viene considerata il ponte attraverso il quale avviene la relazione tra i bisogni del produttore (la mia proposta è che il pensiero critico sia indispensabile) e i bisogni dell'utente (può servirmi davvero fare lo sforzo di valutare criticamente le informazioni che ricevo?). Il compito dell'User Experience Designer (UX) è quindi quello di migliorare la relazione tra i consumatori e i prodotti/servizi proposti. Secondo uno studio condotto dal Design Management Institute, parecchie aziende d'avanguardia quali: Apple, Coca Cola, IBM, Nike, Starbucks, Pinterest e Airbnb hanno fatto della User Experience il cavallo di battaglia del proprio successo e in generale le aziende che hanno applicato un approccio UX e UI oriented hanno mantenuto un significativo vantaggio rispetto alle altre nel mercato. Ma se da un lato il focus dello UX Designer si concentra nella fase di progettazione con l’obiettivo di creare una strategia, dall’altra parte lo User Interface Designer traduce queste strategie in layout, pagine web o app con aspetti comunicativi multisensoriali; mette cioè in pratica quell’esperienza utente solida ed efficace progettata dallo UX Designer.
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Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione 2.5 Generico
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