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Coloro cui sfugge completamente l'idea che è possibile aver torto non possono imparare nulla, tranne la tecnica. (Gregory Bateson)
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Dall'alfabeto al pensiero: Psicogenesi dell'alfabeto - come il cervello riconosce i caratteri
TEORIE > CONCETTI > SCRITTURA
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Sul modo in cui il cervello umano si è addestrato a riconoscere le "protolettere" (cioè i precursori dei caratteri dell'alfabeto), il linguista Andres Reyes scrive: "Nella storia della scrittura si è giunti molte volte alla spontanea elaborazione di un sistema misto di fonogrammi a supporto di una scrittura ideografica. La scrittura cuneiforme, geroglifica e ideografica imponevano un fortissimo carico alla memoria, con l'invenzione dell'alfabetico fonetico fu possibile ridurre il carico di memoria permettendo così all'alfabetizzazione di diffondersi. Invece di ricordare 500 caratteri cuneiformi o geroglifici, o migliaia di ideogrammi, il lettore del primo alfabeto dell'antichità greca doveva imparare solo una dozzina di fonogrammi, o lettere. Se il cervello non ha avuto il tempo di evolversi in funzione della lettura-scrittura perché se ripercorriamo la storia della scrittura, dalla sua invenzione  in Mesopotamia ad oggi, 5400 anni dal punto di vista filogenetico sono davvero un'istante. Invece da un punto di vista ontogenetico, dell'evoluzione dell’individuo, la scrittura deve essere assorbita dal cervello dei bambini in circa duemila giorni. Emerge dunque quello che il neuroscienziato Stanislas Dehaene ha definito " il paradosso della lettura". Infatti il filosofo Roberto Casati, recensendo il libro di Stanislas Dehaene, scrive: "La lettura è un fenomeno paradossale. Da un lato, è acquisito che vi siano aree cerebrali specializzate per la lettura, sulla base di patologie (come traumi cerebrali) che annientano la capacità di leggere, e più di recente sulla base di analisi di neuroimmagine che rivelano come le stesse aree siano attivate selettivamente durante la lettura. D'altro lato, la scrittura esiste da meno di seimila anni, un nulla sulla scala dell'evoluzione. Perchè dunque una certa regione occipito temporale nell'emisfero sinistro del cervello, situata tra le aree che riconoscono i volti e quelle che riconoscono gli oggetti, si trova a svolgere compiti che l'evoluzione non può averle assegnato? [...] L'idea di fondo di Dehaene è che quest'area, di suo, farebbe tutt'altro: classifica alcuni tipi di intersezioni tra i bordi della scena visiva. Le intersezioni in questione sono quelle che il sistema visivo ha ragione di trovare non casuali, e reputa quindi estremamente informative. Se sulla scena visiva reperite un'intersezione a T, o a Y, è molto improbabile che essa sia il risultato di una congiunzione casuale di linee: si tratta quasi sicuramente di un piano che nasconde uno spigolo nel primo caso, o di un tre piani che si intersecano ad angolo nel secondo. Come si vede, alcune di queste intersezioni corrispondono a delle vere e proprie "protolettere". In effetti le analisi di Marc Changizi mostrano che queste protolettere sono gli elementi più frequenti di tutte le scritture del mondo, le quali peraltro sono basate su un numero assai limitato di elementi di base, pur nella loro straordinaria diversità. Dehaene pensa dunque che con la scrittura l'umanità sia riuscita a produrre una forma di "riciclaggio neuronale": non è il cervello ad adattarsi alla scrittura, ma la scrittura ad adattarsi a un cervello che sa già fare certe cose. Utilizzando quindi le aree del cervello già impiegate per il riconoscimento di volti o oggetti l'essere umano ha imparato a riconoscere le forme dei caratteri del proprio alfabeto (anche quello cinese), e dunque a leggere ciò che scriveva.
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LETTURA E SCRITTURA: La scrittura è nata perchè il cervello umano si è autoaddestrato a "leggere" le forme dei caratteri alfabetici o degli ideogrammi (per la lingua cinese). I circuiti attivati nel cervello per leggere un testo in cinese e uno in francese, o in un’altra lingua alfabetica, sono gli stessi, come hanno dimostrato i ricercatori guidati da Stanislas Dehaene. Identiche inoltre non sono solo le aree coinvolte ma anche i due network, quello visivo e quello motorio, presi in considerazione dallo studio, anche se con intensità differenti tra ideogrammi e alfabeto. Aver considerato occhio e mano – e non udito, come nelle ricerche precedenti – ha quindi permesso di dare una svolta ai circuiti cerebrali in funzione e alle caratteristiche universali della lettura. I greci fecero qualcosa di grandissima importanza psicologica quando svilupparono il primo alfabeto completo, comprendente anche le vocali. Eric Havelock ritiene che questa trasformazione cruciale della parola da suono a espressione visiva abbia conferito all'antica cultura greca il suo ascendente intellettuale sulle altre culture antiche.
Punti di riflessione
La semplificazione dell'alfabeto ha liberato risorse cognitive per un pensiero più razionale. Tale condizione si è espressa al meglio nell'antica Grecia, ma proprio i greci colti furono ambivalenti nei confronti dell'insegnamento del loro alfabeto, continuando a difendere per secoli la loro raffinata cultura orale e  contestando il valore della loro cultura scritta.
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La vista isola gli elementi, l'udito li unifica. Mentre la vista pone l'osservatore al di fuori di ciò che vede, a distanza, il suono fluisce verso l'ascoltatore. A differenza della vista, che seziona, l'udito è dunque un senso che unifica. (Walter Ong)

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L'alfabeto greco era democratico, poichè facile per tutti era impararlo, internazionalista, potendo essere usato anche per le lingue straniere. (Walter Ong)
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Come Havelock ha eccellentemente dimostrato, tutta l'epistemologia platonica inconsapevolmente si fondava proprio su un rifiuto del vecchio mondo della cultura orale, mobile e caldo, il mondo delle interazioni personali, rappresentato dai poeti, che egli non aveva voluto nella sua "Repubblica". Naturalmente Platone non aveva piena consapevolezza delle forze inconsce all'opera nella sua psiche per produrre questa reazione, spesso eccessiva, che è dell'individuo alfabetizzato nei confronti della lentezza e dell'indugio nell'oralità. (Walter Ong)
scrittura
Il riciclaggio neuronale di Stanislas Dehaene
Sul modo in cui il cervello umano si è addestrato a riconoscere le "protolettere" (cioè i precursori dei caratteri dell'alfabeto), il linguista Andres Reyes scrive (vedi bibliografia 2018):

Nella storia della scrittura si è giunti molte volte alla spontanea elaborazione di un sistema misto di fonogrammi a supporto di una scrittua ideografica. La scrittura cuneiforme, geroglifica e ideografica imponevano  un fortissimo carico alla memoria con l'invenzione dell'alfabetico fonetico fu possibile ridurre il carico di memoria permettendo così all'alfabetizzazione di diffondersi. Invece di ricordare 500 caratteri cuneiformi  o gerogifici, o miglia di ideogrammi , il lettore del primo alfabeto dell'antichità greca doveva imparare solo una dozzina di fonogrammi, o lettere. Se il cervello non ha avuto il tempo di evolversi in funzione della lettura-scrittura perché se ripercorriamo la storia della scrittura, dalla sua invenzione  in Mesopotamia ad oggi, 5400 anni dal punto di vista filogenetico sono davvero un'istante. Invece da un punto di vista ontogenetico, dell'evoluzione dell’individuo, la scrittura deve essere assorbita dal cervello dei bambini in circa duemila giorni. Emerge dunque quello che il neuroscienziato Stanislas Dehaene hanno definito come " il paradosso della lettura". Sappiamo da tempo che i neuroni della via ventrale (via del che cosa, what pathway) rispondono a forme geometricamente semplici, come quelle formate dalle intersezioni dei contorni degli oggetti. Come dimostrato dagli studi del neurofisiologo giapponese Keiji Tanaka e colleghi, anche nel cervello delle scimmie macaco sono presenti neuroni sensibili  a combinazioni di protolettere come le linee "T", "Y", "F" questo perché indicano quelle proprietà invarianti utili al riconoscimento degli oggetti. Per esempio quando un oggetto ne occlude un altro i loro contorni si incontrano secondo una giunzione a "T", invece quando ci sono più spigoli in uno stesso vertice formano una configurazione come la "Y" o la "F".  Possiamo avere anche invarianti topologiche: se un oggetto contiene un buco probabilmente la sua proiezione sulla retina sarà un curva a forma di "O". Da queste proprietà non accidentali (PNA) frequenti in natura, per lo psicologo Irving Biederman, il cervello estraerebbe dalla retina uno schizzo degli oggetti e le loro relazioni topologiche e spaziali.
Riconoscimento di forme
Invarianti topologiche
Origine di tutte le lettere dell'alfabeto secondo Alfred Kallir
All'origine di tutte le lettere dell'alfabeto, il linguista e scioglitore di enigmi, Alfred Kallir, che ha lavorato per il controspionaggio inglese, ha dedicato un intero libro "Segno e Disegno. Psicogenesi dell'alfabeto" nel quale ha raccolto le sue ricerche sull'origine di ogni carattere. In particolare egli venne affascinato dalla lettera "V" usata da Winston Churchill come simbolo di vittoria. Egli scrive (p.486):

La V cattura l'immagine del mondo. L'evento simboleggiava primariamente l'impeto ascendente del nostro anelito spirituale, il dirompere del desiderio metafisico dell'uomo, per secoli soffocato dalla sua fede in una filosofia interamente razionalistica. Tuttavia, "la spinta dal basso verso l'alto è un'esigenza imperiosa che non ha mai tregua", così disse Alfred Adler, parlando semplicemente come psicologo. Troppo a lungo arginate, le enerie spirituali giunsero a una violenta  esplosione per mezzo della V.

Ma, a parte la V della guerra, come nasce l'alfabeto, e con quale lettera? Kallir scrive (pp.37-38):


Il più antico  alfabeto a noi noto è quello semitico. Anche se modificato e ampliato dai Greci e dai  Romani, esso è  ancora sostanzialmente il nostro alfabeto attuale. Alphabeta, i nomi  dei due  primi  caratteri greci, divennnero il nome di tutti di tutti i sistemi alfabetici analoghi, proprio come "geroglifico", letteralmente "incisione sacra" fu inizialmente un termine usato solo in rapporto ai pittogrammi egizi, mentre viene ora applicato anche ad altre scritture pittografiche. Quando i Greci mutuarono le lettere dai Semiti, ne alterarono leggermente i nomi, soprattutto aggiungendo vocali alle  consonanti semitiche: aleph divenne alpha, beth, beta, ecc. Condividiamo l'opinione di molti studiosi del passato nel campo della scrittura: deve necessariamente esservi una corrispondenza fra i nomi delle lettere e il loro valore fonetico; riteniamo inoltre, sebbene non venga generalmente ammesso, che tale corrispondenza esista anche tra gli oggetti cui tali nomi si riferiscono e i disegni dei simboli alfabetici. Noi sosteniamo che le nostre lettere sono immagini decadute. Ora 'aleph', nelle lingue semitiche, significa in primo luogo 'bue'. E' impossibile però affermare, anche con il massimo sforzo di fantasia, che qualsiasi carattere per aleph nelle varie scritture semitiche presenti, a prima vista, una qualche somiglianza con un bue. Tuttavia, poichè la scrittura alfabetica fu preceduta da quella ideografica, le cui origini sono oscure, possiamo ritenere, o almeno ipotizzare, che le pitture rupestri presenti nell'Europa meridionale servissero, inter alia, a qualche fine comunicativo; non però tra l'uomo e il suo compagno, ma tra l'uomo e gli spiriti che dominavano la natura e che spesso sono incarnati nell'animale.

E la seconda lettera dell'alfabeto, la B, da cosa deriva? Kallir scrive (p.139):

B è l'abbreviazione (latina) di beta, il nome greco di B, derivato da beth, il nome (acrofonico) della seconda lettera dell'alfabeto semitico dal significato di "casa" nelle lingue semitiche.
Dalle analisi di Alfred Kallir si rileva il significato originario delle lettere dell'alfabeto semitico, e poi greco: A sta per 'Bue', B sta per 'Casa', per gli altri caratteri Kallir propone molte interpretazioni, e infine V sta per 'Guerra' e l'immagine dei simboli da lui raccolti mostra l'esultanza dell'uomo per la Vittoria.
Origine della V
Alfred  Kallir
Segno e Disegno (p.487)
Cervello che legge
Questa "cassetta delle lettere nel cervello", come l'ha ribattezzata Dehaene, potrebbe essere la sede del meccanismo per il riconoscimento delle lettere e da qui l'informazione verrebbe ridistribuita nelle altre regioni. Inoltre alcuni autori (Dien & O’Hare, 2008) hanno mostrato che la regione situata lungo la parte anteriore del giro fusiforme sarebbe sensibile al contenuto semantico delle parole, tanto da proporre il termine Area Fusiforme Semantica (Fusiform Semantic Area, FSA). La corteccia occipitale inferiore, che comprende il giro occipitale inferiore il giro linguale, potrebbe essere coinvolta nei processi di analisi delle caratteristiche visive delle lettere. Grazie all'impiego della risonanza funzionale (fMRI) possiamo finalmente sapere che questa area è presente in tutte le persone, più o meno nella stessa posizione a prescindere dal senso di lettura (da sinistra a destra o viceversa)
La scrittura è nata perchè il cervello umano si è autoaddestrato a "leggere" le forme dei caratteri alfabetici
Il filosofo Roberto Casati, recensendo il libro di Stanislas Dehaene "I neuroni della lettura' (vedi bibliografia 2007), scrive:

La lettura è un fenomeno paradossale. Da un lato, è acquisito che vi siano aree cerebrali specializzate per la lettura, sulla base di patologie (come traumi cerebrali) che annientano la capacità di leggere, e più di recente sulla base di analisi di neuroimmagine che rivelano come le stesse aree siano attivate selettivamente durante la lettura. D'altro lato, la scrittura esiste da meno di seimila anni, un nulla sulla scala dell'evoluzione. Perchè dunque una certa regione occipito temporale nell'emisfero sinistro del cervello, situata tra le aree che riconoscono i volti e quelle che riconoscono gli oggetti, si trova a svolgere compiti che l'evoluzione non può averle assegnato? [...] L'idea di fondo di Dehaene è che quest'area, di suo, farebbe tutt'altro: classifica alcuni tipi di intersezioni tra i bordi della scena visiva. Le intersezioni in questione sono quelle che il sistema visivo ha ragione di trovare non casuali, e reputa quindi estremamente informative. Se sulla scena visiva reperite un'intersezione a T, o a Y, è molto improbabile che essa sia il risultato di una congiunzione casuale di linee: si tratta quasi sicuramente di un piano che nasconde uno spigolo nel primo caso, o di un tre piani che si intersecano ad angolo nel secondo. Come si vede, alcune di queste intersezioni corrispondono a delle vere e proprie "protolettere". In effetti le analisi di Marc Changizi mostrano che queste protolettere sono gli elementi più frequenti di tutte le scritture del mondo, le quali peraltro sono basate su un numero assai limitato di elementi di base, pur nella loro straordinaria diversità. Dehaene pensa dunque che con la scrittura l'umanità sia riuscita a produrre una forma di "riciclaggio neuronale": non è il cervello ad adattarsi alla scrittura, ma la scrittura ad adattarsi a un cervello che sa già fare certe cose. L'area per la classificazione delle intersezioni viene manipolata nell'apprendimento fino a farne un'area per il riconoscimento delle lettere. Ma questa non è che una delle componenti della lettura, che riconosce le parole a partire dal riconoscimento delle lettere, e in seguito delle sillabe corrispondenti ai fonemi, delle sequenze che corrispondono alle redici delle parole, e dei loro suffissi e prefissi. Da questa architettura discende che i metodi cosiddetti "globali" di lettura, in cui si pretende di insegnare a leggere senza sillabare, cercando di di far riconoscere parole se non frasi intere, sono destinati all'insuccesso (e difatti sono stati giustamente aboliti da molti programmi scolastici che li avevano adottati). Una volta identificate una parola, vengono attivate delle regioni che decidono cosa significa e altre che la "pronunciano" mentalmente.
Scrittura cuneiforme
Verso il 3300 a.C i Sumeri svilupparono in Mesopotamia (l'attuale Iraq) un sistema di pittogrammi impiegati soprattutto per registrazioni contabili di consegne o assegnazioni di bestiame, tessuti, generi alimentari come dimostrato dal ritrovamento delle tavolette di argilla presso l'antica città di Uruk (odierna Warka). I 1.500 pittogrammi rappresentavano oggetti  facili da riconoscere come una testa di bue, una parte del corpo umano, una spiga di cereale, ma non concetti astratti. Non potendo aumentare indefinitivamente i caratteri i Sumeri elaborarono un tipo di scrittura più funzionale impiegando ideogrammi anziché pittogrammi. Successivamente dalla scrittura sumerica arcaica derivò la sumero-accadica o babilonese che iniziò ad utilizzare fonogrammi, o sillabogrammi, cioè a scomporre le parole in sillabe attribuendovi un segno scritto convenzionale. Gli scribi imprimevano nell’argilla la punta di uno stilo dalla sezione triangolare, dando alle parole scritte l’aspetto di chiodi, da cui deriverebbe il suo nome latino 'cuneus' (chiodo) la scrittura cuneiforme.
Alfabeto cinese
scrittura
I circuiti attivati nel cervello per leggere un testo in cinese e uno in francese, o in un’altra lingua alfabetica, sono gli stessi, come hanno dimostrato i ricercatori guidati da Stanislas Dehaene del National Institute of Health and Medical Reserach in Francia in uno studio pubblicato su PNAS . Identiche inoltre non sono solo le aree coinvolte ma anche i due network, quello visivo e quello motorio, presi in considerazione dallo studio, anche se con intensità differenti tra ideogrammi e alfabeto. Aver considerato occhio e mano – e non udito, come nelle ricerche precedenti – ha quindi permesso di dare una svolta ai circuiti cerebrali in funzione e alle caratteristiche universali della lettura.
Un alfabeto che facilita il pensiero: l'alfabeto greco
L'importanza dell'alfabeto greco, rispetto ad altri alfabeti, nel facilitare il pensiero è stata messa in luce dal linguista Walter Ong, che scrive nel suo libro "Oralità e scrittura" (p.132):
Per comprendere come si sia sviluppata la scrittura a partire dall'oralità, è utile considerare il sistema semitico come un alfabeto di consonanti (e di semi-vocali) cui i lettori, mentre leggono, semplicemente aggiungono le vocali appropriate. Detto questo a proposito dell'alfabeto semitico, appare chiaro che i greci fecero qualcosa di grandissima importanza psicologica quando svilupparono il primo alfabeto completo, comprendente anche le vocali. Havelock ritiene che questa trasformazione cruciale della parola da suono a espressione visiva abbia conferito all'antica cultura greca il suo ascendente intellettuale sulle altre culture antiche. Chi leggeva il semitico doveva basarsi su dati testuali e non testuali, doveva cioè conoscere la lingua che stava leggendo per sapere quali vocali inserire fra le consonanti. [...] Bambini ancora piccoli erano in grado di imparare l'alfabeto greco e un limitato vocabolario; mentre invece gli scolari israeliani, circa fino alla terza elementare devono essere aiutati, aggiungendo alle scritture dei "punti" vocalici. L'alfabeto greco era democratico, poichè facile per tutti era impararlo, internazionalista, potendo essere usato anche per le lingue straniere.


Modificazione dell'alfabeto semitico ad opera dei greci
Nell’adattamento dell’alfabeto semitico a quello greco, i greci usarono certe lettere (di cui non avevano suoni corrispondenti nella loro lingua) per rappresentare i suoni vocalici che i semiti non scrivevano.
Appare chiaro che i greci fecero qualcosa di grandissima importanza psicologica quando svilupparono il primo alfabeto completo, comprendente anche le vocali. Havelock ritiene che questa trasformazione cruciale della parola da suono a espressione visiva abbia conferito all'antica cultura greca il suo ascendente intellettuale sulle altre culture antiche
In quali lingue sono usati i caratteri?
L'analista Marco Cimarosti nell'introduzione al suo libro "Non legitur - Giro del mondo in trentatré scritture", scrive (p.9):

Questo libro descrive i trentatré sistemi di scrittura usati oggi nel mondo. [...] Delle tante scritture inventate nel corso della storia umana, soprattuto tre hanno avuto successo, giungendo fino ai nostri giorni: quella fenicia, quella brahmi e quella cinese. Da queste tre capostipiti discendono le tre famiglie di scritture più diffuse. [...] Dall'alfabeto fenicio (o, più propriamente, semitico settentrionale) derivano tutti gli alfabeti del Medio Oriente e dell'Europa, una decina dei quali sono tutt'ora in uso. Fra queste scritture, la latina, l'araba e la cirillica sono le più diffuse; ognuna di esse trascrive decine di lingue, fra le quali si annoverano alcune di quelle più parlate al mondo. Il brahmi, l'alfabeto sillabico dell'antica India, forse di origine semitica, è il capostipite della vastissima famiglia di scritture diffusa dall'India al Sud-Est asiatico. [...] La scrittura cinese si differenzia dalle prima due per il fatto di essere logografica, cioè di avere un segno per ogni parola della lingua (o più propriamente, per ogni morfema). I caratteri cinesi sono stati adattati a lingue diversissime dal cinese come il vietnamita, il mongolo, il giapponese, e il coreano. Queste ultime due lingue usano ancora oggi i caratteri cinesi, in combinazione con i caratteri fonetici inventati localmente.
Conclusioni (provvisorie): Il cervello umano ha imparato a usare le funzioni di riconoscimento di volti o oggetti, che già aveva, per riconoscere i caratteri dell'alfabeto
Sul modo in cui il cervello umano si è addestrato a riconoscere le "protolettere" (cioè i precursori dei caratteri dell'alfabeto), il linguista Andres Reyes scrive: "Nella storia della scrittura si è giunti molte volte alla spontanea elaborazione di un sistema misto di fonogrammi a supporto di una scrittura ideografica. La scrittura cuneiforme, geroglifica e ideografica imponevano un fortissimo carico alla memoria, con l'invenzione dell'alfabetico fonetico fu possibile ridurre il carico di memoria permettendo così all'alfabetizzazione di diffondersi. Invece di ricordare 500 caratteri cuneiformi o geroglifici, o migliaia di ideogrammi, il lettore del primo alfabeto dell'antichità greca doveva imparare solo una dozzina di fonogrammi, o lettere. Se il cervello non ha avuto il tempo di evolversi in funzione della lettura-scrittura perché se ripercorriamo la storia della scrittura, dalla sua invenzione  in Mesopotamia ad oggi, 5400 anni dal punto di vista filogenetico sono davvero un'istante. Invece da un punto di vista ontogenetico, dell'evoluzione dell’individuo, la scrittura deve essere assorbita dal cervello dei bambini in circa duemila giorni. Emerge dunque quello che il neuroscienziato Stanislas Dehaene ha definito " il paradosso della lettura". Infatti il filosofo Roberto Casati, recensendo il libro di Stanislas Dehaene, scrive: "La lettura è un fenomeno paradossale. Da un lato, è acquisito che vi siano aree cerebrali specializzate per la lettura, sulla base di patologie (come traumi cerebrali) che annientano la capacità di leggere, e più di recente sulla base di analisi di neuroimmagine che rivelano come le stesse aree siano attivate selettivamente durante la lettura. D'altro lato, la scrittura esiste da meno di seimila anni, un nulla sulla scala dell'evoluzione. Perchè dunque una certa regione occipito temporale nell'emisfero sinistro del cervello, situata tra le aree che riconoscono i volti e quelle che riconoscono gli oggetti, si trova a svolgere compiti che l'evoluzione non può averle assegnato? [...] L'idea di fondo di Dehaene è che quest'area, di suo, farebbe tutt'altro: classifica alcuni tipi di intersezioni tra i bordi della scena visiva. Le intersezioni in questione sono quelle che il sistema visivo ha ragione di trovare non casuali, e reputa quindi estremamente informative. Se sulla scena visiva reperite un'intersezione a T, o a Y, è molto improbabile che essa sia il risultato di una congiunzione casuale di linee: si tratta quasi sicuramente di un piano che nasconde uno spigolo nel primo caso, o di un tre piani che si intersecano ad angolo nel secondo. Come si vede, alcune di queste intersezioni corrispondono a delle vere e proprie "protolettere". In effetti le analisi di Marc Changizi mostrano che queste protolettere sono gli elementi più frequenti di tutte le scritture del mondo, le quali peraltro sono basate su un numero assai limitato di elementi di base, pur nella loro straordinaria diversità. Dehaene pensa dunque che con la scrittura l'umanità sia riuscita a produrre una forma di "riciclaggio neuronale": non è il cervello ad adattarsi alla scrittura, ma la scrittura ad adattarsi a un cervello che sa già fare certe cose. Utilizzando quindi le aree del cervello già impiegate per il riconoscimento di volti o oggetti l'essere umano ha imparato a riconoscere le forme dei caratteri del proprio alfabeto (anche quello cinese), e dunque a leggere ciò che scriveva.
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Pagina aggiornata il 1 settembre 2023

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Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione 2.5 Generico
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