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Coloro cui sfugge completamente l'idea che è possibile aver torto non possono imparare nulla, tranne la tecnica. (Gregory Bateson)
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Il Mondo degli Olobionti costringe a 'ripensare' il concetto di identità
TEORIE > CONCETTI > MEDICINA E GENETICA
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L'essere umano è un 'olobionte', cioè un organismo che vive in simbiosi con altri organismi (batteri, archaea, virus, funghi). Da pochi anni si è acquisita la consapevolezza delle origini simbiotiche di molte delle innovazioni più importanti dell'evoluzione. I biologi evoluzionisti Jean-Christophe Simon e colleghi scrivono (vedi bibliografia 2019): "Sta diventando sempre più chiaro che lo sviluppo, la crescita e la salute (in una parola, tutte le funzioni) dei macrorganismi sono influenzati dalle complesse comunità microbiche che ospitano e che ne modellano l'ecologia e l'evoluzione. La ricerca sugli olobionti è ora un imperativo in numerosi campi delle scienze della vita e della medicina, compresi gli aspetti della matematica (bioinformatica, statistica e modellistica). La biologia sta infatti subendo un cambiamento di paradigma, in cui i fenotipi individuali sono visti come il risultato di interazioni complesse risultanti dall’espressione combinata dell’ospite e dei genomi microbici associati, portando alla divulgazione delle nozioni di olobionte e ologenoma. All'origine di tali attività di ricerca ci sono le idee della biologa evoluzionista Lynn Margulis, che sono apparse controcorrente fin dall'inizio, come evidenzia il filoso Igor Pelgreffi: "Sono idee certamente che ineriscono alla biologia e alla genetica, ma sono anche idee di cui non sfugge l’istanza contestatrice di un ordine normativo (e per anni particolarmente osteggiate dalla scienza ufficiale). E l’ordine che il ragionamento di Margulis tende a sovvertire, è quello del neodarwinismo della struggle for life, cioè del protocollo di lettura dei fenomeni evolutivi che giustifica la natura del liberismo, dell’individualismo competitivo, della selezione. Immaginare che alla base dell’evoluzione non vi sia la neutralità della sopravvivenza dell’uno rispetto all’altro, bensì un’idea endosimbiotica che prevede che due organismi, assumendo una nuova forma o configurazione reciproca, riescano ad aumentare pacificamente il loro campo di sopravvivenza, cioè il numero e il tipo di ambienti in cui svilupparsi estendendo il proprio campo vitale reciproco, significa immaginare una diversa morfologia dei processi naturali, dove alla logica della selezione si sostituisce una logica cooperativa, di costruzione comune." Adesso è un concetto assodato, ma non è stato sempre così: tutti gli abitanti della Terra appartengono a un'unione simbiotica. Una rivoluzione sia biologica, sia filosofica, infatti era dal tempo di Darwin e della sua evoluzione della specie che si pensava all'identità degli organismi come proveniente dal centro, cioè dal loro nucleo, come scriveva Lynn Margulis, nel suo libro "Symbiotic Planet": "Dalle molecole del cibo venivano sintetizzate le proteine e replicati gli acidi nucleici. Queste attività chimiche erano le basi del metabolismo di tutta la vita. Ma un uovo non era un sacchetto nucleato pieno di geni. Come gli embriologisti e i botanici continuavano a indicare infatti, geni citoplasmatici o fattori citoplasmatici nelle cellule uovo di piante e animali, ma non dentro al nucleo, esercitavano anche un controllo sui tratti. Fattori esterni al nucleo vennero trovati profondamente implicati nella respirazione con ossigeno (mitocondri) e nella colorazione delle foglie (cloroplasti). I geni, in altre parole, non sono necessariamente nei nuclei. Lynn Margulis scrive nella presentazione al suo libro "Symbiotic Planet": "Spaziando dai batteri, i più piccoli tipi di vita, fino ai più grandi, la Terra vivente stessa, si spiegano le origini simbiotiche di molte delle innovazioni più importanti dell'evoluzione. Le stesse cellule di cui siamo fatti sono nate come unioni simbiotiche di diversi tipi di batteri. Il sesso, e il suo inevitabile corollario, la morte, sono emersi quando tentativi falliti di cannibalismo hanno portato a fusioni ripetute stagionalmente di alcuni dei nostri più piccoli antenati. La terraferma divenne boscosa solo dopo che la simbiosi di alghe e funghi si evolse in piante. Poiché tutti gli esseri viventi sono bagnati dalle stesse acque e dalla stessa atmosfera, tutti gli abitanti della Terra appartengono ad un'unione simbiotica. Gaia, il più grande ecosistema finemente sintonizzato della superficie terrestre, è solo simbiosi vista dallo spazio. Lungo il percorso, Margulis descrive la sua iniziazione al mondo della scienza e i primi passi nell'attuale rivoluzione nella biologia evoluzionistica, l'importanza della classificazione delle specie per il modo in cui pensiamo al mondo vivente e il modo in cui l'apartheid accademico può bloccare il progresso scientifico." L'essere umano vive (e soprattutto sopravvive) mediante organismi, separati fisicamente ma simbioticamente accoppiati ad esso, concentrati in quello che viene chiamato 'microbiota'. Questi organismi esprimono una componente genetica diversa (microbioma) i cui enormi effetti sulla salute umana sono in fase di studio. Gli olobionti sono dunque organismi complessi caratterizzati dalla convivenza simbiotica di organismi che non condividono lo stesso DNA, pur collaborando mutualisticamente. Lo psicologo Massimo Agnoletti scrive: "Sulla “nostra” pelle, nelle mucose della “nostra” bocca e delle vie respiratorie, e soprattutto nell’intestino, un complesso ecosistema con un DNA diverso dal nostro svolge un ruolo fondamentale ed indispensabile per la nostra salute e la nostra sopravvivenza. Dalle funzioni digestive a quelle metaboliche o immunitarie, il microbiota è essenziale per il funzionamento del nostro organismo e possiede un microbioma, ovvero l’informazione genetica totale contenuta dai suoi microorganismi, stimata essere circa 100 volte più grande del genoma umano. Diversamente da quanto creduto nel passato è dunque lecito domandarsi se, quando parliamo del “nostro” organismo, ci riferiamo esclusivamente all’insieme delle cellule che condividono il DNA della specie umana trasmesso dai nostri genitori o sia più corretto considerare con questo termine anche il complesso ecosistema che comprende tutte le cellule con un DNA “extra” umano che ci permettono di sopravvivere e prosperare."
La Terra: simbiosi vista dallo spazio?
Lynn Margulis ha prefererito definire la Terra non un vero e proprio organismo, ma “una proprietà emergente dell’interazione tra organismi”. Greg Hinkle, ex studente della biologa americana, ha riassunto l’ipotesi Gaia in questo modo: “è semplicemente la simbiosi vista dallo spazio”.
Punto chiave di questa pagina
ORIGINE DELLE CELLULE (PROCARIOTE ED EUCARIOTE): I procarioti sono stati i primi organismi viventi della storia della Terra, e si sono sviluppati nelle acque. Secondo l’ipotesi più diffusa, per circa 2 miliardi di anni sono esistite solo cellule procariote. Circa 1,5 miliardi di anni fa, alcuni procarioti si stabilirono all’interno di altri organismi in una sorta di 'simbiosi interna' permanente dando origine alla cellula eucariota. Gli eucarioti quindi derivano dai procarioti attraverso il meccanismo di endosimbiosi (Endosymbiotic theory), postulato in forma completa dalla biologa Lynn Margulis negli anni Sessanta del Novecento. I mitocondri mancano nelle cellule procariotiche, dove le funzioni respiratorie vengono espletate dalla glicolisi. Comunemente per respirazione cellulare si intende la respirazione cellulare aerobica, che avviene in presenza di ossigeno. Esiste poi una respirazione cellulare anaerobica di cui la forma più importante, comune a procarioti ed eucarioti, è la via metabolica antichissima della glicolisi.
Punti di riflessione
Significa che, sul piano teoretico ed epistemologico, alla base dell’evoluzione va posto non un oggetto (circoscrivibile, individuabile, controllabile, sorvegliabile: governabile, nel senso del governo della vita biopolitico) bensì una funzione: la mutualità. Cambia il paradigma: dall’individuo alla relazione. Alla base dei fenomeni biologici, delle metamorfosi evolutive e dell’eterogenesi delle forme nella storia biologica che dall’archeo batterio conduce all’umano, Margulis colloca non una figura del confine o del confinamento identitario l’individuale – ma una relazione, segnatamente una proto-cooperazione tra enti biologici. Nel corpo umano convivono da 1013 a 1014 micro-organismi: dalle viscere (recenti teorie delineano l’intestino
come il secondo cervello) alle sopracciglia, batteri e simbionti ci colonizzano e reversibilmente sopravvivono “in” noi. Più correttamente con noi, attraverso noi: in un certo modo,la relazione simbiotica ha in comune qualcosa con il mutuo-parassitismo, dove appunto due o più parassiti vivono negli altri, attraverso gli altri. Tutti assieme, essi dialogano con gli ambienti differenti che via via si presentano loro, e si mostrano in grado di modificare “sensatamente” nel tempo le forme della loro stessa convivenza. L’ubiquità della simbiosi si estende al regno animale inferiore e a quello vegetale, sino a interessare la soglia tra animale e vegetale, tra le più incerte ma a mio avviso oggigiorno necessarie da pensare, anche sul piano filosofico. (Igor Pelgreffi)
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Il legame fra ospite e micro-organismi (sia procarioti che eucarioti) è tanto stretto da guidare tratti dell’ospite normalmente non associati ad aspetti legati alla microbiologia, come il comportamento. In aggiunta, una parte consistente della cellula eucariotica ha origine da antiche associazioni fra procarioti, il che rende lo studio di tale legame profondamente importante anche per lo studio dell’evoluzione della vita sulla Terra. (Elena Biagi)
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Ma l’aspetto forse più rilevante della ricerca [confronto microbiota popolazione Hadza-microbiota attuale] è che rispetto alla popolazione occidentale, gli Hadza possiedono un ecosistema microbico intestinale con molte più specie batteriche. Una ricca popolazione di batteri e microorganismi che potrebbe corrispondere ad una configurazione ancestrale del microbiota umano, pensata per avere maggiore capacità adattativa. Un dato quest’ultimo che si dimostra estremamente importante. La diversità genetica del microbiota intestinale, infatti, è un fattore fondamentale per la nostra salute. Occorre allora – suggeriscono gli studiosi – contrastare il progressivo impoverimento della diversità biologica del nostro ecosistema microbico intestinale, facendo attenzione ad abitudini come quella dell’estrema igienizzazione o a diete con alto contenuto di zuccheri e grassi. (Filomena Fotia)
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L’ibridazione della vita è presente sin dalle prime forme di vita. Il che significa, per inciso, che sussiste un nesso profondo, arcaico, tra forma e ibridazione: un legame pre-umano e sovrastorico, che probabilmente sarebbe utile, sulla scia delle intuizioni margulisiane, riprendere e ripensare anche nell’attuale dibattito filosofico. (Igor Pelgreffi)
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Alla base del vivente, e dell’uomo stesso, vi è una relazione plastica strutturata, un “tra”, cioè un «legarsi insieme e riemergere in una nuova totalità ad un livello di organizzazione più alto e più ampio» (Margulis 1999, 15). La vita non è solo slancio, ingenuamente inteso, ma annodamento eterogenetico, eredità che diviene, campo di tensioni differenzial-cooperanti. Ovvie le conseguenze di questa impostazione su altri registri, non solo biologici ma anche, su un piano indiretto di proiezione, sociali e politici. Per Margulis, noi siamo questo: simbiosi-ovunque. Lo siamo perché lo siamo stati, evolutivamente continuiamo a esserlo, anche se l’abbiamo obliato. Un movimento di caduta all’indietro, nelle epoche, che nel futuro non può che condurre a una de-antropocentrizzazione dell’umano, di nuovo, nel suo valore sia biologico-politico, in direzione di un orizzonte ecologico: «Sospetto che il prossimo futuro dell’Homo sapiens come specie richieda il nostro riorientamento verso le fusioni e le commistioni con i compagni di pianeta che ci hanno preceduto nel microcosmo» (Igor Pelgreffi)
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Holobiont sembra una di quelle parole che appartiene a un alfabeto ignoto alla specie umana, originario di un altro mondo. In effetti, riguarda un’altra dimensione, quella dei batteri, dei virus, dei protozoi, delle alghe unicellulari, dei microbi, dei funghi e dei germi. Un mondo visibile solo al microscopio attraverso ingrandimenti altrimenti impossibili, che si misura in nanometri (un millesimo di micrometro). Nel quadro teorico elaborato quasi una quarantina di anni fa da Lynn Margulis, l’holobiont-olobionte identifica un organismo ospite e il suo microbiota, ovvero i microrganismi che convivono in un sistema di relazioni reciproche, di simbiosi o di mutualismo, concetto, quest’ultimo, elaborato da Pierre-Joseph Beneden. (Elena Solito)
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L’ipotesi Gaia, presentata per la prima volta nel 1979 in “Gaia. A new look of Life on Earth” perfezionata con la biologa americana Lynn Margulis, descrive la Terra come un unico superorganismo in grado di autoregolarsi e di mantenere le proprie condizioni chimico-fisiche (temperatura media, percentuale di gas, acidità) idonee allo sviluppo della vita. Secondo questa Teoria, accolta all’inizio con molte perplessità dal mondo scientifico perché ritenuta teleologica, i viventi e la componente inanimata della Terra (idrosfera, atmosfera, clima e litosfera) costituiscono un unico sistema integrato nel quale i cicli di retroazione stabilizzano le condizioni chimicofisiche, in modo tale da renderlo un luogo ospitale per la vita stessa. Attualmente la Teoria è oggetto di attenzione crescente da parte degli studiosi, sia per le sue forti implicazioni filosofiche, sia perché una seria politica di conservazione ambientale non può che partire da una visione globale del sistema Terra. [...] Secondo Lovelock, l’Antropocene – l’era geologica in cui la nostra specie si è dimostrata un fattore critico per l’intero pianeta – farà presto spazio all’età successiva, il «Novacene», quella della collaborazione tra l’uomo e le macchine. Nuovi esseri prenderanno forma dall’intelligenza artificiale che noi abbiamo progettato. Questi esseri iperintelligenti sapranno (anche meglio di noi) di essere totalmente dipendenti dal buon stato di salute del pianeta “completamente svincolati dai comandi umani perché in grado di autoprogrammarsi”. (Nuovaecologia)
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Il microbiota intestinale umano è sempre più riconosciuto per il suo ruolo importante o addirittura decisivo per la salute. Man mano che diventa chiaro che il microbiota e l’ospite si influenzano e dipendono reciprocamente l’uno dall’altro in una relazione intima, si impone una visione olistica dell’associazione microbiota intestinale-ospite. Idealmente, uno stato stabile di equilibrio, l’omeostasi, viene mantenuto e serve alla salute, ma i segnali indicano che la perturbazione di questo equilibrio oltre i limiti della resilienza può spingere il sistema in uno stato stabile alternativo, uno stato pre-malattia, più suscettibile allo sviluppo delle malattie croniche. L’equilibrio microbiota-ospite di un’ampia e crescente percentuale di individui nella società occidentale può rappresentare uno stato pre-malattia e spiegare lo sviluppo esplosivo di malattie croniche come le malattie infiammatorie intestinali, l’obesità, e altre malattie infiammatorie. Queste stesse malattie rappresentano ancora una volta altri stati stabili alternativi e sono quindi difficili da curare. La visione olistica dell’associazione microbiota-ospite, in cui si ritiene che i circuiti di feedback tra microbiota e ospite mantengano il sistema in uno stato stabile – sia esso sano, pre-malattia o patologico – implica che approcci integrati, affrontando i processi dell’ospite e il microbiota , dovrebbero essere usati per trattare o prevenire la (pre-)malattia. (Maarten van de Guchte, Hervé M. Blottière &Joel Doré)
Cos'è un Olobionte: l'organismo vivente è un ecosistema
Il biologo evolutivo Jean-Christophe Simon e i suoi colleghi (vedi bibliografia 2019), scrivono:

Il termine “olobionte” è stato introdotto per la prima volta nel 1991 da Lynn Margulis e inizialmente si riferiva a una semplice entità biologica che coinvolgeva un ospite e un singolo simbionte ereditato. È stato esteso per definire un ospite e le sue comunità di microrganismi associati (noto anche come microbiota che corrisponde alla raccolta di microrganismi in interazione con il loro ospite e che va dalle interazioni mutualistiche a quelle parassitarie). Un ospite e il suo microbiota costituiscono quindi un olobionte. Questo termine è ora ampiamente utilizzato in diversi contesti e si applica praticamente a tutti i metazoi, con la ricerca attuale che si concentra principalmente sugli olobionti umani, animali e vegetali. Il termine ologenoma è stato introdotto più recentemente, nel 2007 da Ilana Zilber-Rosenberg e Eugene Rosenberg per descrivere la somma del genoma ospite e dei genomi microbici associati, in altre parole, i genomi collettivi di un olobionte. Ad esempio, il genoma umano contiene circa 20.000 geni, ma il suo ologenoma contiene > 33 milioni di geni portati dal suo microbiota. [...] Ciò che in realtà è nuovo è la realizzazione abbastanza recente della natura ubiqua dei microbi associati all’ospite e del loro ruolo centrale nella biologia, nell’ecologia e nell’evoluzione dell’ospite. Non c’è dubbio che lo sviluppo delle tecniche molecolari e delle tecnologie NGS abbia svolto un ruolo immenso nel riconoscimento dei microbi come abitanti chiave dei macrorganismi e come attori nei processi biologici ed evolutivi, anche se meno studi affrontano questioni funzionali. Poiché molti microbi associati all’ospite non sono coltivabili al di fuori dei loro ospiti, gli approcci di genomica ambientale sono stati applicati con successo per svelare la diversità e i ruoli dei microbi sia negli organismi modello che non modello e in tutti gli ecosistemi, siano essi terrestri, marini o acquatici, e abbracciano diversi tipi di microbi, tipi di associazioni ospite-microbiota da sciolte a strette.
Lo stato di salute di esseri umani e piante è influenzato dal microbiota
Il biologo evolutivo Jean-Christophe Simon et al. scrivono (vedi bibliografia 2019):

Il microbiota è sempre più riconosciuto per il suo ruolo importante sulla salute dell’ospite, e un’importante applicazione sul campo della ricerca sugli olobionti riguarda la prevenzione e la terapia delle malattie basate su trattamenti che ripristinano il microbiota alterato. Van de Guchte e colleghi affrontano l’importanza dell’equilibrio ospite-microbiota negli esseri umani e discutono di come la perturbazione di tale omeostasi possa portare a passaggi da stati sani a stati pre-malattia e patologici. Propongono che gran parte degli individui con uno stile di vita occidentale siano in uno stato pre-malattia, il che potrebbe spiegare il recente ed esplosivo aumento delle malattie infiammatorie e dell’obesità nelle società occidentali. Broberg e collaboratori riportano tali cambiamenti dal microbiota sano al patobiota nel declino acuto della quercia, una malattia indotta da un complesso di microbi e che colpisce gravemente le popolazioni di querce in Europa. Hassani e colleghi sottolineano la forte influenza delle interazioni microbo-microbo all'interno degli ospiti sulla struttura della comunità microbica e sottolineano la loro importanza sul mantenimento dell'omeostasi microbica ospite.
La perturbazione dell'omeostasi del microbiota può portare a passaggi da stati sani a stati pre-malattia e patologici. Maarteen Van de Guchte propone che gran parte degli individui con uno stile di vita occidentale siano in uno stato pre-malattia, il che potrebbe spiegare il recente ed esplosivo aumento delle malattie infiammatorie e dell’obesità nelle società occidentali.
Microbioma: un universo portatile dentro ciascuno di noi
L'Università di Trento ha condotto una ricerca di metagenomica computazionale coordinata da Nicola Segata e Edoardo Pasolli del Laboratorio di metagenomica computazionale: il microbioma che abbiamo nei Paesi occidentali è diverso da quello delle nazionali non occidentalizzate. «Ci siamo resi conto che abbiamo perso dei batteri che invece vivono ancora nelle popolazioni non occidentalizzate e questo è la conseguenza del nostro stile di vita differente, dell’alimentazione, dell’industrializzazione, dell’uso degli antibiotici e dell’igiene». Adesso si vuol comprendere – aggiunge Segata – quali specie, ad esempio, sono legate all’aumento delle malattie autoimmuni, alle allergie e altre patologie complesse presenti nel mondo occidentale: dalle malattie gastrointestinali ai tumori.
Il chirurgo Antonio Gasbarrini sul contributo del Microbiota intestinale
Massimo Agnoletti scrive: "La nota biologa Lynn Margulis, che propose negli anni 60 del secolo scorso la teoria dell’endosimbiosi in riferimento soprattutto a strutture biologiche intracellulari (si veda ad esempio il ruolo dei mitocondri), è stata forse la maggiore sostenitrice del concetto di olobionte. Questa idea è caratterizzata dagli aspetti simbiotici di strutture biologiche di varia natura che, pur condividendo una prossimità spaziale e funzionale, non possiedono lo stesso DNA e possiedono una propria autonomia cellulare (non si trovano cioè all’interno della stessa cellula come nel caso dell’endosimbiosi). Ogni organismo eucariote (quindi caratterizzato da più cellule che condividono il medesimo DNA concentrato e separato in una struttura chiamata nucleo cellulare) del regno animale, vegetale o fungino vive in simbiosi con microorganismi appartenenti agli altri due regni biologici (batteri e archaea) ma fino alla formalizzazione della “microbiota revolution” abbiamo fatto fatica a comprendere concettualmente la molteplicità di implicazioni che le dinamiche simbioti che comportano soprattutto nel contesto dell’organismo umano."
Massimo Agnoletti scrive: "Diversamente da quanto creduto nel passato è lecito domandarsi se, quando parliamo del “nostro” organismo, ci riferiamo esclusivamente all’insieme delle cellule che condividono il DNA della specie umana trasmesso dai nostri genitori o sia più corretto considerare con questo termine anche il complesso ecosistema che comprende tutte le cellule con un DNA “extra” umano che ci permettono di sopravvivere e prosperare."
Lynn Margulis ha pensato la complessità biologica in modo nuovo
Il filosofo Igor Pelgreffi, a proposito del modo innovativo e contestatario con il quale la biologa Lynn Margulis ha interpretato la complessità biologica e le origini della vita, scrive (vedi bibliografia 2020):

Sintetizzando all’estremo, due sono gli assi epistemologici dell’endosimbiosi in quanto teoria del mondo storico-naturale, sia pure nel suo livello prevalentemente biologico: la cooperazione e la relazione.

Cooperazione: due enti naturali sopravvivono nella '
struggle for life' non in quanto individui benformati” e non in quanto “in competizione tra loro, ma in quanto naturalmente capaci di cooperazione, di strutturare naturalmente rapporti di forza mutualmente favorevoli, e ciò a partire ovviamente dal patrimonio genetico mutante, secondo i multiformi e seducenti meccanismi individuati da Margulis.

Relazione: questo termine rinvia sostanzialmente
all’aspetto ecologico-sistemico, cioè al fatto che prima di ogni determinazione vi è relazione tra gli enti simbiotici e l’ambiente “comune”. Esiste cioè un “comune” da cui sorgono tutte le relazioni, un ambiente con cui scambiano informazioni, di cui i simbionti si nutrono e da cui sono nutriti, che questi modificano ma da cui vengono incessantemente modificati, e così via. Dire che nel fondo di ogni vita animale e vegetale vi è questa doppia coordinata, significa dire diversamente il vivente, significa complessificare il modello implicito dell’unicità del bios, dello slancio primordiale di quello che normalmente si intende con “vita”.

In questa breve introduzione, non vi è lo spazio per approfondire adeguatamente questi aspetti, ma può essere utile ricordare alcuni momenti dell’elaborazione concettuale della teoria dell’endosimbiosi. In fondo, molto era già contenuto nelle domande che la giovane Lynn si poneva nei primi studi dopo la laurea in genetica ezoologia, ottenuta nel 1960, presso l’Università del Wisconsin: per quale ragione la teoria dominante, a circa vent’anni dalla scoperta del DNA, si concentrava solo sul nucleo delle cellule, trascurando il citoplasma? Perché l’attenzione dei meccanismi genetici, come la teoria cromosomica dei caratteri ereditari, veniva confinata in quell’oggetto, il nucleo, sede implicita dell’identità (della replicazione dell’identità stessa come codice) ignorando, appunto, la relazione con l’ambiente, con quella dimensione extra-nucleica ma ancora intra-cellulare? Di qui a pochi anni, l’attenzione si sposta verso i cloroplasti, strutture presenti nel citoplasma delle cellule vegetali (responsabili della fotosintesi) ma al tempo stesso strutture che ricordavano molto da vicino i batteri, come osservato da quel Hans Ris (Ris & Plaut 1962) che era stato professore di Lynn. A seguire, ecco le prime ipotesi, nella tesi di dottorato, per “pensare” la complessità biologica, postulando il seguente pattern concettuale: 1) le cellule dotate di nucleo sono il risultato ibridativo di processi simbiotici tra batteri di diversa tipologia; 2) nell’ambiente di scambio tra il nucleo e il resto della cellula (cioè nel citoplasma) coesistono strutture cellulari capaci sia di respirazione che di fotosintesi (rispettivamente i mitocondri e i cloroplasti). Insomma: le idee di cui si legge in "The symbiotic planet. A new look at evolution", probabilmente erano già avvertibili nelle atmosfere presessantottine, nel tipico clima dell’università della California di Berkeley, dove Lynn si addottora verso la metà degli anni Sessanta.
La Terra come un gigantesco superorganismo che regola la vita
L’idea che la Terra si autoregola è un pensiero così strano che, dopo più di 50 anni di vita, la teoria di Gaia continua a dare sui nervi agli scienziati di tutto il mondo, perché il concetto di un gigantesco organismo multicellulare è difficile da realizzare. dimostrare e specificare. Ma da dove viene? Su cosa si basa? È un punto di partenza nato dalla mente di James Lovelock, meteorologo, scrittore, inventore, chimico atmosferico e ambientalista nato in Inghilterra nel 1919. Il suo lavoro è notevole ed esteso, ma è passato alla storia presentando un'idea tanto interessante e di buon senso quanto controversa, poiché i suoi detrattori cercano di smontarla e metterla in discussione dalla fine del XX secolo. Il suo punto di partenza è molto semplice e diretto: secondo Lovelock, la Terra si comporta come un organismo gigante e, di conseguenza, ha voluto collegarla al concetto di Gaia, madre Terra, fatto che gli scienziati usavano per darle un aspetto esoterico e pseudoscientifico.
Gaia, il più grande ecosistema finemente sintonizzato della superficie terrestre, è solo simbiosi vista dallo spazio?
Il filosofo Igor Pelgreffi scrive: "il ragionamento di Margulis tende a sovvertire, è quello del neodarwinismo della struggle for life, cioè del protocollo di lettura dei fenomeni evolutivi che giustifica la natura del liberismo, dell’individualismo competitivo, della selezione. Immaginare che alla base dell’evoluzione non vi sia la neutralità della sopravvivenza dell’uno rispetto all’altro, bensì un’idea endosimbiotica che prevede che due organismi, assumendo una nuova forma o configurazione reciproca, riescano ad aumentare pacificamente il loro campo di sopravvivenza, cioè il numero e il tipo di ambienti in cui svilupparsi estendendo il proprio campo vitale reciproco, significa immaginare una diversa morfologia dei processi naturali, dove alla logica della selezione si sostituisce una logica cooperativa, di costruzione comune."
Conclusioni (provvisorie): tutti gli abitanti della Terra appartengono a un'unione simbiotica. Una rivoluzione sia biologica, sia filosofica.
L'essere umano è un 'olobionte', cioè un organismo che vive in simbiosi con altri organismi (prevalentemente batteri o archea). Da pochi anni si è acquisita la consapevolezza delle origini simbiotiche di molte delle innovazioni più importanti dell'evoluzione. Le idee della biologa evoluzionista Lynn Margulis sono apparse controcorrente fin dall'inizio, come scrive il filoso Igor Pelgreffi: "Sono idee certamente che ineriscono alla biologia e alla genetica, ma sono anche idee di cui non sfugge l’istanza contestatrice di un ordine normativo (e per anni particolarmente osteggiate dalla scienza ufficiale). E l’ordine che il ragionamento di Margulis tende a sovvertire, è quello del neodarwinismo della struggle for life, cioè del protocollo di lettura dei fenomeni evolutivi che giustifica (e a sua volta è giustificato da la natura del liberismo, dell’individualismo competitivo, della selezione. Immaginare che alla base dell’evoluzione non vi sia la neutralità della sopravvivenza dell’uno rispetto all’altro, bensì un’idea endosimbiotica che prevede che due organismi, assumendo una nuova forma o configurazione reciproca, riescano ad aumentare pacificamente il loro campo di sopravvivenza, cioè il numero e il tipo di ambienti in cui svilupparsi estendendo il proprio campo vitale reciproco, significa immaginare una diversa morfologia dei processi naturali, dove alla logica della selezione si sostituisce una logica cooperativa, di costruzione comune." Adesso è un concetto assodato, ma non è stato sempre così: tutti gli abitanti della Terra appartengono a un'unione simbiotica. Una rivoluzione sia biologica, sia filosofica, infatti era dal tempo di Darwin e della sua evoluzione della specie che si pensava all'identità degli organismi come proveniente dal centro, cioè dal loro nucleo, come scriveva Lynn Margulis, nel suo libro "Symbiotic Planet": "Dalle molecole del cibo venivano sintetizzate le proteine e replicati gli acidi nucleici. Queste attività chimiche erano le basi del metabolismo di tutta la vita. Ma un uovo non era un sacchetto nucleato pieno di geni. Come gli embriologisti e i botanici continuavano a indicare, geni citoplasmatici o fattori citoplasmatici nelle cellule uovo di piante e animali, ma non dentro al nucleo, esercitavano anche un controllo sui tratti. Fattori esterni al nucleo vennero trovati profondamente implicati nella respirazione con ossigeno (mitocondri) e nella colorazione delle foglie (cloroplasti). I geni, in altre parole, non sono necessariamente nei nuclei. Lynn Margulis scrive nella presentazione al suo libro "Symbiotic Planet": "Spaziando dai batteri, i più piccoli tipi di vita, fino ai più grandi, la Terra vivente stessa, si spiegano le origini simbiotiche di molte delle innovazioni più importanti dell'evoluzione. Le stesse cellule di cui siamo fatti sono nate come unioni simbiotiche di diversi tipi di batteri. Il sesso, e il suo inevitabile corollario, la morte, sono emersi quando tentativi falliti di cannibalismo hanno portato a fusioni ripetute stagionalmente di alcuni dei nostri più piccoli antenati. La terraferma divenne boscosa solo dopo che la simbiosi di alghe e funghi si evolse in piante. Poiché tutti gli esseri viventi sono bagnati dalle stesse acque e dalla stessa atmosfera, tutti gli abitanti della Terra appartengono ad un'unione simbiotica. Gaia, il più grande ecosistema finemente sintonizzato della superficie terrestre, è solo simbiosi vista dallo spazio. Lungo il percorso, Margulis descrive la sua iniziazione al mondo della scienza e i primi passi nell'attuale rivoluzione nella biologia evoluzionistica, l'importanza della classificazione delle specie per il modo in cui pensiamo al mondo vivente e il modo in cui l'apartheid accademico può bloccare il progresso scientifico." L'essere umano vive (e soprattutto sopravvive) mediante organismi, separati fisicamente ma simbioticamente accoppiati ad esso, concentrati in quello che viene chiamato 'microbiota'. Questi organismi esprimono una componente genetica diversa (microbioma) i cui enormi effetti sulla salute umana sono in fase di studio. Gli olobionti sono dunque organismi complessi caratterizzati dalla convivenza simbiotica di organismi che non condividono lo stesso DNA, pur collaborando mutualisticamente. Lo psicologo Massimo Agnoletti scrive: "Sulla “nostra” pelle, nelle mucose della “nostra” bocca e delle vie respiratorie, e soprattutto nell’intestino, un complesso ecosistema con un DNA diverso dal nostro svolge un ruolo fondamentale ed indispensabile per la nostra salute e la nostra sopravvivenza. Dalle funzioni digestive a quelle metaboliche o immunitarie, il microbiota è essenziale per il funzionamento del nostro organismo e possiede un microbioma, ovvero l’informazione genetica totale contenuta dai suoi microorganismi, stimata essere circa 100 volte più grande del genoma umano. Diversamente da quanto creduto nel passato è dunque lecito domandarsi se, quando parliamo del “nostro” organismo, ci riferiamo esclusivamente all’insieme delle cellule che condividono il DNA della specie umana trasmesso dai nostri genitori o sia più corretto considerare con questo termine anche il complesso ecosistema che comprende tutte le cellule con un DNA “extra” umano che ci permettono di sopravvivere e prosperare."
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Pagina aggiornata il 20 ottobre 2023

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Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione 2.5 Generico
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