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Coloro cui sfugge completamente l'idea che è possibile aver torto non possono imparare nulla, tranne la tecnica. (Gregory Bateson)
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La Pubblicità, conquistando la nostra attenzione, attacca la nostra capacità di fare esperienza
TEORIE > CONCETTI > EMOZIONI
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La pubblicità ha una lunga storia (i primi esempi risalgono all'antico Egitto) e ha contribuito allo sviluppo economico in tutte le culture. Però oggi la "pubblicità online" ha raggiunto una tale pervasività e incisività che la rendono pericolosa. Il filosofo Thomas Metzinger nel libro "Il tunnel dell'io"scrive: "Le industrie della pubblicità e dell'intrattenimento stanno attaccando le fondamenta della nostra capacità di avere esperienza, trascinandoci in una vasta e confusionaria giungla mediatica", infatti se, spinti dal legame psicologico ai marchi, compriamo solo prodotti di marca, non possiamo fare l'esperienza di confrontare prodotti diversi.
Secondo gli economisti Akerloff e Shiller il mercato non produce ciò di cui avremmo più bisogno, ma ciò che procura più utili ai mercanti (phisherman), e i mercanti sanno come indurre in tentazione i consumatori, creando continuamente nuovi bisogni. Ogni debolezza umana viene sfruttata a tale scopo dalla pubblicità. Gli economisti comportamentali W.Samuelson e R.Zeckhauser proposero nel 1988 l'esistenza, nella mente del consumatore, di un Bias dello Status Quo che lo rende refrattario a prendere importanti decisioni economiche. Ma questo bias appare anche in decisioni meno importanti, quali quelle che riguardano i prodotti di consumo, nelle quali la fedeltà ai marchi favorita dal bias dello status quo ha un effetto fondamentale. Ad esempio la CocaCola commise nel 1985 il grave errore di immettere sul mercato un prodotto più dolce, come quello della concorrente PepsiCola che molti test dimostravano incontrare il gusto dei clienti. L'errore non fu quello di cambiare la formula ma il nome: aggiungere l'appellativo "New" interrompeva il legame emotivo dei clienti al marchio (lealtà allo status quo) più della formula, sconvolgendone le abitudini!
L'ignoranza indotta culturalmente da gruppi di potere politico/economico è stata accertata in molti settori. Molti attivisti hanno denunciato il potere delle multinazionali, e una delle più note è l'americana Naomi Klein, diventata famosa per il movimento no-global lanciato, agli inizi del 2000, con il suo libro "No logo". Scriveva la Klein nel 2000: "Ho deciso di scrivere No logo quando mi sono resa conto che queste tendenze apparentemente distinte erano unite da un’idea: che le aziende debbano sfornare marchi, non prodotti. Era l’epoca in cui gli amministratori delegati avevano improvvise intuizioni: la Nike non è un’azienda che produce scarpe da ginnastica, ma l’idea della trascendenza attraverso lo sport. Starbucks non è una catena di caffetterie, è l’idea di comunità. Ma qui sul pianeta Terra, queste intuizioni hanno avuto conseguenze concrete. Molte aziende che prima producevano nelle loro fabbriche e avevano tanti dipendenti a tempo indeterminato sono passate al modello Nike: hanno chiuso le fabbriche, affidato la produzione a una rete di appaltatori e subappaltatori e hanno investito nel design e nel marketing necessari a diffondere il più possibile la loro grande idea."

consumo
But how much you eat!
You know, we bought the new toilet!
Punto chiave di questa pagina
LE CONSEGUENZE DEL BRANDING: Le conseguenze del branding secondo Naomi Klein: ho deciso di scrivere No logo quando mi sono resa conto che queste tendenze apparentemente distinte erano unite da un’idea: che le aziende debbano sfornare marchi, non prodotti. Era l’epoca in cui gli amministratori delegati avevano improvvise intuizioni: la Nike non è un’azienda che produce scarpe da ginnastica, ma l’idea della trascendenza attraverso lo sport. Starbucks non è una catena di caffetterie, è l’idea di comunità. Ma qui sul pianeta Terra, queste intuizioni hanno avuto conseguenze concrete. Molte aziende che prima producevano nelle loro fabbriche e avevano tanti dipendenti a tempo indeterminato sono passate al modello Nike: hanno chiuso le fabbriche, affidato la produzione a una rete di appaltatori e subappaltatori e hanno investito nel design e nel marketing necessari a diffondere il più possibile la loro grande idea
Punti di riflessione
Le industrie della pubblicità e dell'intrattenimento stanno attaccando le fondamenta della nostra capacità di avere esperienza, trascinandoci in una vasta e confusionaria giungla mediatica. Stanno provando a derubarci il più possibile delle nostre già scarse risorse, e lo stanno facendo in una maniera sempre più persistente e intelligente. (Thomas Metzinger - Il tunnel dell'io)
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Il mercato non produce ciò di cui avremmo più bisogno, ma ciò che procura più utili ai mercanti (phisherman), e i mercanti sanno come indurre in tentazione i consumatori, creando continuamente nuovi bisogni. Ogni debolezza umana viene sfruttata a tale scopo dalla pubblicità. (George Akerloff, Robert Shiller)
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Non fare nulla, è nel potere di ogni persona. (Samuel Johnson)
Il motore della pubblicità è la conquista dell'attenzione
Gli sforzi dei pubblicitari sono rivolti a stimolare nuovi desideri nella mente dei consumatori e a contrastarne la naturale inerzia, cioè il bias dello status quo. Infatti ogni marchio "costruisce" un mondo nella mente del consumatore generando emozioni e stimolando desideri
Il campo di battaglia dell'informazione pubblicitaria
Ogni volta che apri il telefono o il computer, il tuo cervello entra in un campo di battaglia. Gli aggressori sono gli architetti del tuo mondo digitale e le loro armi sono le app, i feed di notizie e le notifiche nel tuo campo visivo ogni volta che guardi uno schermo. Stanno tutti tentando di catturare la tua risorsa più scarsa - la tua attenzione - e prenderla in ostaggio per soldi. La tua attenzione catturata vale miliardi per loro in entrate pubblicitarie e di abbonamento.
Vantaggi e svantaggi della pubblicità
La pubblicità ha una lunga storia (i primi esempi risalgono all'antico Egitto) e ha contribuito allo sviluppo economico in tutte le culture. Però oggi la "pubblicità online" ha raggiunto una tale pervasività e incisività che la rendono pericolosa. Il filosofo Thomas Metzinger nel libro "Il tunnel dell'io"scrive: "Le industrie della pubblicità e dell'intrattenimento stanno attaccando le fondamenta della nostra capacità di avere esperienza, trascinandoci in una vasta e confusionaria giungla mediatica", infatti se, spinti dal legame psicologico ai marchi, compriamo solo prodotti di marca, non possiamo fare l'esperienza di confrontare prodotti diversi. Restiamo così ancorati ai marchi che hanno conquistato la nostra psiche assecondando l'idea espressa da Naomi Klein nel libro "No Logo", cioè che l'industria moderna non produce più prodotti bensì marchi.
Questa strategia viene espressa chiaramente dagli operatori del settore. Un solo esempio: Caroselling.it così si esprime sul "Branding":

Il branding è il posizionamento all’interno dell’ecosistema cognitivo di un individuo in un luogo ben preciso. Non tanto come risoluzione a un problema e basta ma come risposta univoca a una certa esigenza esperienziale. Fare branding significa tessere una ragnatela di connessioni tra marca e consumatore (se ancora così si può chiamare, fruitore di esperienze appare più genuino e concreto) che lo intrappoli in un cosmo condiviso di valori, segni, significati, funzionalità, dettagli, parole.
Tutti noi ormai viviamo con dei marchi in testa
I marchi che ci condizionano cambiano in funzione dell'età (Cliccare per approfondire)
4 principi psicologici usati dai venditori
I venditori sfruttano quattro effetti psicologici che agiscono sulla mente umana (Cliccare per approfondire)
Se spinti dal legame psicologico ai marchi, compriamo solo prodotti di marca, non possiamo fare l'esperienza di confrontare prodotti diversi. Restiamo così ancorati ai marchi che hanno conquistato la nostra psiche
Il motore della pubblicità è la conquista dell'attenzione
Gli sforzi dei pubblicitari sono rivolti a stimolare nuovi desideri nella mente dei consumatori e a contrastarne la naturale inerzia, cioè il bias dello status quo. Infatti ogni marchio "costruisce" un mondo nella mente del consumatore generando emozioni e stimolando desideri, e sofisticate tecniche di tracciamento visuale (eye tracking) consentono oggi di sperimentare in laboratorio l'attrattività dei prodotti e del loro packaging come riportato da Renê de Oliveira Joaquim dos Santos (ved. bibliografia 2014).
Scrive il filosofo Thomas Metzinger nel libro "Il tunnel dell'io" (p.269-270):
L'abilità di prestare attenzione al nostro ambiente, ai nostri sentimenti e a quelli degli altri è una caratteristica del cervello umano evoluta naturalmente. L'attenzione è un bene limitato ed è assolutamente necessaria per vivere una buona vita. [...] I nostri cervelli possono generare soltanto una quantità limitata di questa preziosa risorsa al giorno. Oggi le industrie della pubblicità e dell'intrattenimento stanno attaccando le fondamenta della nostra capacità di avere esperienza, trascinandoci in una vasta e confusionaria giungla mediatica. Stanno provando a derubarci il più possibile delle nostre già scarse risorse, e lo stanno facendo in una maniera sempre più persistente e intelligente. Ovviamente, per raggiungere i loro scopi, fanno un uso sempre maggiore delle nuove intuizioni sulla mente umana avanzate dalle scienze cognitive e psicologiche ("neuromarketing" è uno di quei neologismi che vanno tanto di moda). Possiamo immaginare il probabile risultato di tutto ciò nell'epidemia di deficit attenzionali che colpisce bambini e ragazzi, nelle crisi di mezza età e nei livelli di ansia sempre crescenti nella maggior parte della popolazione.
I mercanti attirano i pesci con esche psicologiche
vignetta
Stai abboccando?
Sono in attesa di un'offerta più attraente.
Ogni marchio "costruisce" un mondo nella mente del consumatore generando emozioni e stimolando desideri
Debolezze del consumatore medio
Il consumatore medio può essere immaginato come un individuo che vorrebbe comprare solo ciò che migliorerebbe la sua vita ma, scrivono gli economisti Akerloff e Shiller (ved. bibliografia Sunstein 2015), è come se avesse una scimmia arrampicata sulla spalla che glielo impedisce indirizzandolo verso scelte peggiori per lui, ma che soddisfano i gusti della scimmia (cioè dei mercanti/phishermen).
Secondo gli economisti Akerloff e Shiller il mercato non produce ciò di cui avremmo più bisogno, ma ciò che procura più utili ai mercanti (phisherman), e i mercanti sanno come indurre in tentazione i consumatori, creando continuamente nuovi bisogni. Ogni debolezza umana viene sfruttata a tale scopo dalla pubblicità.
Il consumatore medio ha una scimmia sulla spalla
Monkie on the shoulder
Secondo gli economisti Akerlof e Shiller il consumatore medio ha una scimmia sulla spalla, che simboleggia le tentazioni del mercato e gli dice cosa comprare.
ll consumatore medio può essere immaginato come un individuo che ha una scimmia arrampicata sulla spalla  che gli impedisce di comprare solo ciò che migliorerebbe la sua vita, indirizzandolo invece verso scelte peggiori per lui, ma che soddisfano i gusti della scimmia (cioè dei mercanti/phishermen)
I ricavi delle pubblicità digitali sono la base finanziaria su cui è costruita la rete di oggi. Per questo motivo la pubblicità è diventata il modo più comune per monetizzare i contenuti gratuiti su Internet
Perchè la pubblicità digitale (online) è diventata un fastidio pericoloso
Purtroppo la pubblicità è diventata il modo più comune per monetizzare i contenuti gratuiti su Internet oggi, dato che i ricavi delle pubblicità digitali sono la base finanziaria su cui è costruita la rete di oggi.
Questa situazione ha portato a una presenza esasperante di contenuti pubblicitari che sfruttano il web browser. I principali vantaggi per gli inserzionisti, come riportato da  Webipedia, sono:

  • Profilazione: Con gli strumenti che la rete mette a disposizione, chi compra della pubblicità è in grado di analizzare il suo target di riferimento, capire a chi interessa il suo servizio e produrre una pubblicità mirata a seconda degli interessi, dell’area geografica, dell’età, della fascia oraria fino a scendere nel minimo dettaglio.

  • Accessibilità: Internet è aperto a tutti, 24 ore su 24. Una buona campagna promozionale consente di aumentare la visibilità di un marchio o di un prodotto anche di aziende ancora sconosciute sul mercato, in quanto può essere raggiunto un numero elevatissimo di possibili acquirenti con budget più ridotti.

  • Viralità: Una campagna ben riuscita si pubblicizza da sola. Grazie ai social network o ai video su youtube è possibile che un contenuto pubblicitario diventi virale. Una vignetta divertente, un’immagine emozionante, un video coinvolgente possono raggiungere un numero di utenti enorme, che cresce esponenzialmente man mano che il contenuto viene condiviso.

  • Economicità: Internet è probabilmente il canale meno costoso per fare pubblicità. Servono comunque degli investimenti monetari, ma sono irrisori se paragonati, ad esempio, a 15 secondi di pubblicità su un canale televisivo, sopratutto in relazione agli indubbi vantaggi in termini di targetizzazione. Inoltre, grazie ai diversi tipi di offerta, come per esempio il Pay Per Click, il budget viene ottimizzato poiché non vengono pagate le visualizzazioni, che sono sempre utili per creare brand awareness.

  • Misurabilità: A differenza dei canali tradizionali, con la pubblicità online si possono misurare, fino al più piccolo dettaglio, tutti i risultati ottenuti: quante persone hanno visto la tua pubblicità, che tipo di target hai raggiunto, quante hanno cliccato, quante hanno acquistato il prodotto, come si sono comportate sul sito e così via.

  • Flessibilità: Una volta raccolti e analizzati i dati dell’audience, è possibile modificare le proprie impostazioni in pochi minuti. Si può intervenire rapidamente su ogni aspetto della pubblicità: formato, immagini, testi ecc., fino ad affinare al meglio le prestazioni della propria campagna in base agli investimenti fatti.

  • Concorrenzialità: Sul web, anche le piccole aziende possono competere con i grandi marchi, è il canale perfetto per far crescere un’attività appena nata o per aumentare i profitti di realtà esistenti da anni.

  • Semplicità: Creare una campagna online è semplice e veloce. Chiunque con una piccola guida è in grado di conoscere bene l’argomento e gli strumenti per pianificare una campagna pubblicitaria di successo. Realizzare uno spot televisivo, una trasmissione radio, un’uscita su una rivista di settore, richiede tempi molto più lunghi e il coinvolgimento di collaboratori esterni che si occupano di tutta la parte tecnica (video, grafica, post produzioni ecc). In più, una volta realizzato il messaggio pubblicitario, ci si deve rivolgere a centri media specializzati per poterlo rendere visibile.

Per tutti questi motivi l'investimento in pubblicità online dal 2012 al 2018 è più che raddoppiato. All'espansione della pubblicità online gli utenti hanno reagito con l'impiego massiccio di software di blocco della pubblicità (AdBlocker). Secondo uno studio (vedi bibliografia Malik) l'adozione globale di Adblockers è nel 2019 pari al 47%.
L'investimento in pubblicità online dal 2012 al 2018 è più che raddoppiato. All'espansione della pubblicità online gli utenti hanno reagito con l'impiego massiccio di software di blocco della pubblicità (AdBlocker). L'adozione globale di Adblockers è nel 2019 pari al 47%
Il pay per click : come guadagnano una montagna di denaro Facebook, Google? Con le pubblicità online
Ricavi Facebook

Tutti i grandi player mondiali che fondano oggi la propria attività non sulla vendita di prodotti, ma che offrono servizi gratuiti quali Google e Facebook da cosa ricavano i propri introiti? Dalla pubblicità, come spiega il giornalista Paolo Paccassoni (vedi bibliografia 2021):
Facebook ha 2,89 miliardi di utenti attivi mensilmente nella sua “famiglia” di prodotti. Di questi, 2,26 miliardi di persone usano almeno uno dei loro prodotti ogni giorno. A causa della sua enorme base di utenti, l’azienda guadagna molto dalla pubblicazione di annunci. Nel 2019, le entrate di Facebook sono state di 70 miliardi di dollari, con un aumento del 27% rispetto all’anno precedente. La maggior parte degli annunci sono “pay-per-click”, il che significa che gli inserzionisti pagano Facebook ogni volta che una persona fa clic su un annuncio. Il click in se non costa molto ma se pensate a tutti i click che vengono fatti sugli annunci pubblicitari su base giornaliera capite come questo possa costituire il grosso dei loro ricavi. Facebook consente agli inserzionisti di definire perfettamente il tipo di persone che vogliono raggiungere.

Qui sotto lo strumento di Facebook Ads per l’intercettazione del target:



Gli inserzionisti possono ottenere un ritorno sull’investimento molto più elevato indirizzando i propri annunci a persone che potrebbero essere interessate. Questo tipo di pubblicità è estremamente più efficiente rispetto alla pubblicità televisiva che intercetta un pubblico molto più vasto e variegato. Inoltre, avere accesso a strumenti pubblicitari così potenti è molto prezioso per le piccole e medie imprese, che ora sono in grado di competere con le grandi aziende senza avere grandi reparti pubblicitari. Secondo Facebook, ora ci sono 8 milioni di aziende in tutto il mondo che utilizzano la loro piattaforma pubblicitaria. Oggi la pubblicità è la mucca da mungere (Cash Cow) del business Facebook, ma Meta sta per avviare nuovi servizi.

Ricavi Google

Riguardo a Google il meccanismo è simile ma si basa sulle ricerche che gli utenti fanno sul motore di ricerca Chrome, come scrive Paolo Paccassoni (vedi bibliografia 2020):

Il Performance Advertising fa riferimento ai Search Ads e ad Adsense. Quando un utente effettua una ricerca specifica sul motore di ricerca di Google, gli compaiono una serie di risultati attinenti alla sua ricerca. Gli inserzionisti pagano per comparire nelle prime posizioni del motore di ricerca quando un utente digita una determinata chiave. Sono i cosiddetti “Risultati sponsorizzati”.
Nel momento in cui l’utente clicca sul risultato sponsorizzato atterra nella homepage dell’inserzionista che quindi può coinvolgerlo con comunicazioni ad hoc. Il click è l’elemento fondamentale per Google. Se l’utente clicca, Google addebita il click all’inserzionista e ottiene un ricavo.
Per gestire e creare questo tipo di inserzioni, Google mette a disposizione degli inserzionisti uno strumento chiamato Google Ads.
Perchè la pubblicità online è più efficace di quella convenzionale
La pubblicità online è molto conveniente, rispetto ai mezzi convenzionali (TV, giornali, ecc.) per le imprese che vogliono pubblicizzare i propri prodotti/servizi, infatti gli inserzionisti possono ottenere un ritorno sull’investimento molto più elevato indirizzando i propri annunci, non ad un pubblico generico ma a persone che hanno mostrato uno specifico interesse. Questo tipo di pubblicità è estremamente più efficiente rispetto alla pubblicità televisiva che intercetta un pubblico molto più vasto e variegato. Inoltre, avere accesso a strumenti pubblicitari così potenti è prezioso per le piccole e medie imprese, che ora sono in grado di competere con le grandi aziende senza avere grandi reparti pubblicitari.
L'inganno mentale dei saldi e delle svendite

L'attrazione che i saldi annuali esercitano sulla mente dei consumatori è un esempio di applicazione dell'euristica dell'ancoraggio. Scrive il filosofo Matteo Motterlini (Trappole mentali p.26):


Chiunque abbia fatto un giro in un suk marocchino avrà provato a proprie spese il modo in cui la trappola dell'ancoraggio agisce sul processo di vendita. Si comincia con un prezzo molto alto a cui l'acquirente rimane mentalmente vincolato, si procede diminuendo quella cifra per fargli apprezzare la riduzione di prezzo e, quindi, l'affare. I saldi funzionano in modo analogo. La spesa per un oggetto opportunamente scontato risulterà vantaggiosa per il semplice fatto di essere paragonata al prezzo pieno, a prescindere dal valore reale. Per la stessa ragione il personale dei negozi è spesso istruito a presentare ai clienti per primo l'articolo più caro.

L'illusione dei SALDI
Le vendite in saldo sfruttano l'euristica dell'ancoraggio per fuorviare il consumatore ancorando la percezione di convenienza a un valore di partenza (spesso innalzato in modo fraudolento) per potere mostrare un forte sconto (Cliccare sull'immagine per approfondire).
Il Flop della Coca-Cola "New" e il precipitoso ritorno al "Classic"
Uno dei maggiori errori di marketing venne commesso dalla Coca-Cola nel 1985 quando decise di infrangere le abitudini dei consumatori presentando una Coca-Cola "New" (un pò più dolce) che i clienti inferociti contestarono non per il sapore ma per aver infranto la loro lealtà al marchio. La Coca-Cola, per rimediare fu costretta a reintrodurre precipitosamente la vecchia formula con la denominazione di "Classic". (cliccare sull'immagine per leggere l'intera storia)
Status Quo: il bias dell'inerzia

Gli economisti comportamentali W.Samuelson e R.Zeckhauser proposero nel 1988 l'esistenza, nella mente del consumatore, di un Bias dello Status Quo che lo rende refrattario a prendere importanti decisioni economiche (ved. bibliografia 1988). Ma questo bias appare anche in decisioni meno importanti, quali quelle che riguardano i prodotti di consumo, nelle quali la fedeltà ai marchi favorita dal bias dello status quo ha un effetto fondamentale. Ad esempio (ved. box) la CocaCola commise nel 1985 il grave errore di immettere sul mercato un prodotto più dolce, come quello della concorrente PepsiCola che molti test dimostravano incontrare il gusto dei clienti. L'errore non fu quello di cambiare la formula ma il nome: aggiungere l'appellativo "New" interrompeva il legame emotivo dei clienti al marchio (lealtà allo status quo) più della formula, sconvolgendone le abitudini!


Il Bias dello Status Quo è stato riscontrato sperimentalmente in molti contesti decisionali (decisioni economiche, politiche, scientifiche, ecc) e, in generale, si verifica quando l'individuo si trova di fronte a due condizioni: scelte complesse o una grande quantità di proposte e, insieme a queste due, la possibilità di non decidere.


Anche Kahneman, Knetsch e Thaler si occuparono di questo problema arrivando alla conclusione che esso fosse indotto da due Bias Cognitivi: l'Effetto Dotazione (Endowement effect) e l'Avversione alla perdita (Loss Aversion).

Come evitare gli sbiancanti ottici

Ecco dei consigli per evitare di acquistare l'illusione degli sbiancanti ottici (ved. Bibliografia Kate Hunter):


  • Utilizzare saponi e detersivi naturali da aziende che dichiarano di non utilizzare sbiancanti ottici
  • Acquistare alimenti e bevande in contenitori di vetro anziché di plastica
  • Comprare vestiti fatti con tessuti organici
  • Leggere le etichette ed evitare prodotti contenenti le seguenti sostanze: disodico diaminostilbene disolfonato, disodio distyrylbiphenyl disolfonato, cumarine, naphthotriazolylstilbenes, benzossazolil, benzimidazoyl, naphthylimide, e tutto ciò che elenca sbiancante ottico come ingrediente
  • Molte volte questi ingredienti non sono presenti in etichetta in quanto non richiesto dalla legge. Se la legge nel vostro paese non vieta gli sbiancanti ottici aumentate le cautele
Un bianco che più bianco non si può: infatti è un'illusione ottica
Bucato bianco che più bianco non si può
Gli sbiancanti ottici sono sostanze chimiche che agiscono sull'apparenza (visione) ma non sulla sostanza (materia di cui è fatto il prodotto). Essi vengono applicati a molti prodotti (candeggianti per tessuti, denti, peli e capelli, cosmetici, carta, plastica, prodotti alimentari quali fiocchi d'avena, bevande, ecc) per farli sembrare più bianchi e puliti senza che di questa pulizia vi sia traccia nei prodotti. In altre parole gli sbiancanti ottici provocano illusioni ottiche che ingannano la visione umana, rendendo visibile la radiazione ultravioletta, aumentando la luce riflessa e illuminando i prodotti di un bianco azzurrognolo che nasconde le macchie su abiti, denti, ecc. Gli sbiancanti ottici possono provocare allergie cutanee, hanno elevata tossicità per gli animali e danneggiano l'ambiente.
Nella mente del consumatore agisce un Bias dello Status Quo che lo rende refrattario a prendere importanti decisioni economiche. Ma questo bias appare anche in decisioni meno importanti, quali quelle che riguardano i prodotti di consumo, nelle quali la fedeltà ai marchi ha un effetto fondamentale

L'opposizione al potere delle Multinazionali: dal branding dei prodotti a quello della politica in cui lo Stato è diventato un guscio vuoto (cioè un Marchio)

L'ignoranza indotta culturalmente da gruppi di potere politico/economico è stata accertata in molti settori. Molti attivisti hanno denunciato il potere delle multinazionali, e una delle più note è l'americana Naomi Klein, diventata famosa per il movimento no-global lanciato, agli inizi del 2000, con il suo libro "No logo". Scriveva la Klein nel 2000 (p.25):


La crescita astronomica del potere culturale e patrimoniale delle multinazionali negli ultimi quindici anni può essere sostenibilmente ricondotta a un'idea apparentemente innocua concepita da teorici del management a metà degli anni Ottanta, secondo la quale le grandi aziende devono produrre principalmente marchi e non prodotti.


La Klein svolgeva nel libro un'analisi della pervasività del "Branding" in tutti i settori merceologici: dall'abbigliamento allo sport, dall'istruzione alla musica, ecc.
In una riflessione fatta dieci anni dopo il successo del libro, Naomi Klein scrive le sue riflessioni in una nota del 2011 (ved. bibliografia) nella quale esprime le sue convinzioni sulle conseguenze di pensare le imprese come produttrici di marchi più che di prodotti, sia sull'estensione dell'idea perniciosa del potere del branding alla politica:

Ho deciso di scrivere No logo quando mi sono resa conto che queste tendenze apparentemente distinte erano unite da un’idea: che le aziende debbano sfornare marchi, non prodotti. Era l’epoca in cui gli amministratori delegati avevano improvvise intuizioni: la Nike non è un’azienda che produce scarpe da ginnastica, ma l’idea della trascendenza attraverso lo sport. Starbucks non è una catena di caffetterie, è l’idea di comunità. Ma qui sul pianeta Terra, queste intuizioni hanno avuto conseguenze concrete. Molte aziende che prima producevano nelle loro fabbriche e avevano tanti dipendenti a tempo indeterminato sono passate al modello Nike: hanno chiuso le fabbriche, affidato la produzione a una rete di appaltatori e subappaltatori e hanno investito nel design e nel marketing necessari a diffondere il più possibile la loro grande idea.

Negli ultimi anni, tuttavia, mi sono ritrovata a fare una cosa che avevo giurato di non fare più: rileggere i grandi esperti di branding citati nel mio libro. Mi sono serviti per capire cosa stava succedendo non nei centri commerciali, ma alla Casa Bianca, sia durante la presidenza di George W. Bush sia oggi con Barack Obama, il primo presidente statunitense che è anche un supermarchio. Gli anni di Bush sono stati odiosi e violenti per molti motivi: le invasioni, le guerre, la difesa di metodi violenti come la tortura, il tracollo dell’economia globale. Ma l’eredità più pesante lasciata dall’amministrazione Bush è il modo in cui ha sistematicamente fatto al governo statunitense quello che i dirigenti fissati con il branding avevano fatto alle loro aziende dieci anni prima: l’ha svuotato, assegnando al settore privato molte funzioni essenziali, dalla difesa dei confini alla protezione civile all’intelligence. Questo svuotamento non è stato un progetto secondario dell’amministrazione Bush, ma una missione centrale, che ha riguardato ogni ambito della sfera governativa. E anche se il clan di Bush è stato spesso preso in giro per la sua incompetenza, l’impresa di mettere all’asta lo stato, riducendolo a un guscio vuoto – o a un marchio – è stata condotta con un impegno e una dedizione straordinari.

Anche la Politica è diventata un Marchio
Indipendentemente dalla politica personale, una campagna di branding globale è importante per vincere qualsiasi elezione. Così, quando dai il tuo voto a un candidato, ricorda che non stai solo votando per una politica o un'appartenenza di partito, ma stai dando la preferenza a un marchio. (Cliccare per approfondire)
Combattere l'idea che viviamo in un "Mondo di Marca"
“Nel marketing le percezioni sono più importanti della realtà, perché influenzano il comportamento d’acquisto dei consumatori”. I marchi influenzano le nostre percezioni, ecco perchè vanno contrastati, perchè ci indirizzano emotivamente e non razionalmente verso un prodotto. (Cliccare per approfondire)
Le conseguenze del branding secondo Naomi Klein: ho deciso di scrivere No logo quando mi sono resa conto che queste tendenze apparentemente distinte erano unite da un’idea: che le aziende debbano sfornare marchi, non prodotti. Era l’epoca in cui gli amministratori delegati avevano improvvise intuizioni: la Nike non è un’azienda che produce scarpe da ginnastica, ma l’idea della trascendenza attraverso lo sport. Starbucks non è una catena di caffetterie, è l’idea di comunità. Ma qui sul pianeta Terra, queste intuizioni hanno avuto conseguenze concrete. Molte aziende che prima producevano nelle loro fabbriche e avevano tanti dipendenti a tempo indeterminato sono passate al modello Nike: hanno chiuso le fabbriche, affidato la produzione a una rete di appaltatori e subappaltatori e hanno investito nel design e nel marketing necessari a diffondere il più possibile la loro grande idea

Conclusioni (provvisorie): bisogna combattere l'idea che viviamo in un "Mondo di Marca"
La pubblicità ha una lunga storia (i primi esempi risalgono all'antico Egitto) e ha contribuito allo sviluppo economico in tutte le culture. Però oggi la "pubblicità online" ha raggiunto una tale pervasività e incisività che la rendono pericolosa. Il filosofo Thomas Metzinger nel libro "Il tunnel dell'io"scrive: "Le industrie della pubblicità e dell'intrattenimento stanno attaccando le fondamenta della nostra capacità di avere esperienza, trascinandoci in una vasta e confusionaria giungla mediatica", infatti se, spinti dal legame psicologico ai marchi, compriamo solo prodotti di marca, non possiamo fare l'esperienza di confrontare prodotti diversi. Secondo gli economisti Akerloff e Shiller il mercato non produce ciò di cui avremmo più bisogno, ma ciò che procura più utili ai mercanti (phisherman), e i mercanti sanno come indurre in tentazione i consumatori, creando continuamente nuovi bisogni. Ogni debolezza umana viene sfruttata a tale scopo dalla pubblicità. Gli economisti comportamentali W.Samuelson e R.Zeckhauser proposero nel 1988 l'esistenza, nella mente del consumatore, di un Bias dello Status Quo che lo rende refrattario a prendere importanti decisioni economiche. Ma questo bias appare anche in decisioni meno importanti, quali quelle che riguardano i prodotti di consumo, nelle quali la fedeltà ai marchi favorita dal bias dello status quo ha un effetto fondamentale. Ad esempio la CocaCola commise nel 1985 il grave errore di immettere sul mercato un prodotto più dolce, come quello della concorrente PepsiCola che molti test dimostravano incontrare il gusto dei clienti. L'errore non fu quello di cambiare la formula ma il nome: aggiungere l'appellativo "New" interrompeva il legame emotivo dei clienti al marchio (lealtà allo status quo) più della formula, sconvolgendone le abitudini!
L'ignoranza indotta culturalmente da gruppi di potere politico/economico è stata accertata in molti settori. Molti attivisti hanno denunciato il potere delle multinazionali, e una delle più note è l'americana Naomi Klein, diventata famosa per il movimento no-global lanciato, agli inizi del 2000, con il suo libro "No logo". Scriveva la Klein nel 2000: "Ho deciso di scrivere No logo quando mi sono resa conto che queste tendenze apparentemente distinte erano unite da un’idea: che le aziende debbano sfornare marchi, non prodotti. Era l’epoca in cui gli amministratori delegati avevano improvvise intuizioni: la Nike non è un’azienda che produce scarpe da ginnastica, ma l’idea della trascendenza attraverso lo sport. Starbucks non è una catena di caffetterie, è l’idea di comunità. Ma qui sul pianeta Terra, queste intuizioni hanno avuto conseguenze concrete. Molte aziende che prima producevano nelle loro fabbriche e avevano tanti dipendenti a tempo indeterminato sono passate al modello Nike: hanno chiuso le fabbriche, affidato la produzione a una rete di appaltatori e subappaltatori e hanno investito nel design e nel marketing necessari a diffondere il più possibile la loro grande idea."  Nel marketing le percezioni sono più importanti della realtà, perché influenzano il comportamento d’acquisto dei consumatori. I marchi influenzano le nostre percezioni, ecco perchè vanno contrastati, perchè ci indirizzano emotivamente e non razionalmente verso un prodotto.

per scaricare le conclusioni (in pdf):
Letteratura che orienta la realtà
In un'intervista di Stefano Massini a Daniel Pennac, i due scrittori discutono dell'influenza che la lettertura esercita sulla società. Essi elencano gli autori che hanno permesso loro di orientarsi in situazioni difficili, come quella in cui non si riesce a padroneggiare la realtà. Il libro suggerito per liberarsi dal "consumismo" è la città di Leonia nel libro: "Le città invisibili" di Italo Calvino.
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Libri consigliati
a chi non vuole rischiare di farsi manipolare dalla pubblicità
Spesa annua pro capite in Italia per gioco d'azzardo 1.583 euro, per l'acquisto di libri 58,8 euro (fonte: l'Espresso 5/2/17)

Pagina aggiornata il 28 luglio 2023

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