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Coloro cui sfugge completamente l'idea che è possibile aver torto non possono imparare nulla, tranne la tecnica. (Gregory Bateson)
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Vivere dualisticamente nel mondo dei qualia
TEORIE > CONCETTI > QUANTISTICA2
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Il mondo fenomenico può essere descritto in due modi: con il dualismo o con il riduzionismo. Il dualismo è la separazione del concetto di mente da quello di corpo (il cervello in questo caso), che permette di studiare sia corpo che mente con libertà. Il termine si riferisce in genere al dualismo cartesiano mente-materia, in cui tutto ciò che esiste è ritenuto composto di due "sostanze" diverse: "mente" e "materia". Il Riduzionismo è invece una delle numerose idee filosofiche riguardanti le associazioni tra fenomeni, che possono essere descritte in termini di altri fenomeni più semplici. Schemi dualistici come esterno/interno, natura/cultura, eredità genetica/variazione ambientale, rispondono tutti al paradigma riduzionista che riconosce solo cause singole e univoche, lasciando spazio casomai a contingenti cause accessorie. La complessità della realtà, e in particolare quella che caratterizza i fenomeni biologici, sfugge a questa visione ristretta dei rapporti causali nella natura: gli organismi non possono essere compresi a partire dall'estrapolazione delle proprietà delle loro parti costitutive. Tuttavia noi umani siamo "dualisti" da sempre. Tenere separati mente e cervello è stata una prerogativa costante della cultura umana che va oggi attenuandosi (ma non troppo) con le scoperte neuroscientifiche. Il dualismo è stato il prezzo da pagare per studiare l'essere umano come meccanismo. Lo psicologo Paolo Legrenzi e il neuropsicologo Carlo Umiltà scrivono nel loro libro "Perchè abbiamo bisogno dell'anima": "I filosofi hanno chiamato "dualismo" l'idea per cui il funzionamento del cervello e quello del corpo, di cui il cervello fa parte, sono, in qualche modo, tenuti separati dalle operazioni della mente. Da molti anni, ormai, i biologi e gli scienziati cognitivi hanno abbandonato il dualismo". Alla luce di tutto questo appare nobile il tentativo degli autori del libro "La Coscienza" di non voler opporre la «concezione di coscienza che prevale nelle neuroscienze, che pretende di essere fondata oggettivamente, a quella del pensiero fenomenologico che sottolinea l’irriducibilità della soggettività», l’intento è invece «quello di creare uno spazio in cui fenomenologia e neuroscienze trovino il loro senso comune e si incontrino in un rapporto dialettico». Lo consideriamo uno degli approcci migliori nel dibattito sulle neuroscienze, l’unico che non tratta la personalità umana come un pezzo anatomico del corpo, da isolare e analizzare in modo settorializzato, e nemmeno la considera indipendente e svincolabile dal supporto biologico su cui è inserita e collegata. Essa «è una formazione composta di più strati saldamente connessi, ma non omogenei. Gli uomini non sono gli schiavi di una natura invincibile e neppure degli angeli che volano sopra il proprio corpo. Per il filosofo e per il neuroscienziato questo significa cercare di comprendere l’uomo che non si identifica mai astrattamente con la salute o con la malattia, con uno degli aspetti della sua variegata personalità, con una sua parte anche se meravigliosamente complessa come il cervello. Significa anche rispettarlo nella complessità del suo essere senza arbitrarie interpretazioni che lo trasformino in oggetto di una ideologia vecchia o nuova che sia» (p. 940). Occorre dunque lasciare alle spalle il naturalismo e lo spiritualismo, andare oltre il riduzionismo e il monismo, ma superare anche il dualismo cartesiano. Per studiare la personalità umana, ci insegnano i tre studiosi autori del libro (Mauro Ceroni, Faustino Savoldi, Luca Vanzago), occorre assumere un punto di partenza in cui essa è intesa come «una formazione composta di più strati indissolubilmente connessi, qualunque sia la condizione del soggetto umano, dal geniale scienziato all’handicappato più grave». Questo permette di guardare all’uomo, sia dal punto di vista filosofico che scientifico, «come una misteriosa unità duale dentro un Universo di cui rappresenta il punto di consapevolezza, il punto di autocoscienza» (p. 940).
Ciò che vediamo è reale ed esiste anche per gli altri?
Nonna, come mai la TUA faccia non sblocca il 'TUO' telefono?
Punto chiave di questa pagina
THE HARD PROBLEM : Nel 1995 il filosofo David Chalmers pose alla comunità filosofica il 'difficile problema' della coscienza, cioè la spiegazione della relazione tra fisico e fenomenico, ovvero tra fenomeni fisici, come i processi cerebrali, e l'esperienza (cioè, coscienza fenomenica, o stati/eventi mentali con qualità fenomeniche o qualia). Il problema difficile non è ancora stato risolto sebbene vi siano stati molti tentativi.
L' "hard problem" della ricerca sulla 'coscienza' non può essere risolto considerando solo le basi neuronali della cognizione. Nel tentare di colmare il divario tra i processi neuronali materiali e le dimensioni immateriali dell'esperienza soggettiva, il neurofisiologo Wolf Singer propone di trattare l' "hard problem" in un quadro naturalistico considerando non solo le dimensioni biologiche ma anche quelle socio-culturali dell'evoluzione. L'argomento si basa sulle seguenti premesse: le percezioni sono il risultato di un processo costruttivista che dipende dagli 'a priori'. Questo vale sia per le percezioni del mondo esterno che per la percezione di se stessi. Le interazioni sociali tra agenti dotati delle capacità cognitive degli esseri umani hanno generato realtà immateriali, indirizzate come realtà sociali o culturali. Wolf Singer scrive: "La prima transizione di fase è l'emergere di funzioni cognitive da interazioni complesse nelle reti neuronali. La seconda fase di transizione è l'emergere di realtà sociali dalle complesse interazioni in reti di agenti cognitivi. In entrambi i casi i fenomeni emergenti, le funzioni cognitive generate dalle reti neurali e le realtà sociali generate dalle reti sociali, trascendono le proprietà dei componenti delle rispettive reti. I fenomeni emergenti non possono essere compresi considerando solo le proprietà dei rispettivi nodi di rete e non possono essere descritti con i termini utilizzati per la descrizione dei nodi. Quindi è stato necessario sviluppare diversi sistemi linguistici per catturare le proprietà dei fenomeni emergenti. C'è un linguaggio per la descrizione dei processi neuronali, un altro per la caratterizzazione delle funzioni cognitive ed esecutive emergenti, un altro ancora per la descrizione degli agenti cognitivi nel loro ruolo di nodi nelle reti sociali e infine c'è un linguaggio per catturare le realtà sociali emergenti. Questi sistemi linguistici sono rappresentati ciascuno da diverse discipline scientifiche, la seconda e la terza a cavallo del confine tra le scienze naturali e le discipline umanistiche e la quarta essendo interamente un dominio delle scienze umane. I tentativi passati di mettere in relazione la coscienza con i processi neuronali e di ridurre il divario esplicativo tra i processi neuronali materiali e i qualia dell'esperienza soggettiva hanno considerato solo la prima transizione di fase e in gran parte trascurato la seconda, che è la probabile ragione per cui il divario viene percepito troppo grande per essere chiuso."
Punti di riflessione
L'idea di essere delle anime eteree e immortali, semplicemente di passaggio, ci priva di un autentico senso di appartenenza  alla natura e al nostro pianeta. Il dualismo umanocentrista è forse una delle ragioni che spiegano perchè i movimenti ecologisti faticano così tanto a farsi ascoltare, e dunque perchè continuiamo a distruggere, inesorabilmente e stupidamente, il mondo che ci circonda. Siamo solo di passaggio, la nostra vera realtà è altrove. (Pier Vincenzo Piazza p.18)
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E', nondimeno, innegabile che la spiegazione ultima, almeno sul piano naturalistico, di quel che siamo, si trovi nel cervello [...] Il dualismo è solo un autoinganno [...] della mente. (Gilberto Corbellini)
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Il riduzionismo radicale è figlio di un'aspirazione ultrasecolare alla naturalizzazione del mondo. (Paolo Legrenzi, Carlo Umiltà)
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Il dualismo è il prezzo che si è dovuto pagare perchè l'uomo possa essere studiato come un meccanismo. (Riccardo Luccio p.24)
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Una linea argomentativa comune sui qualia è che la loro esistenza e importanza mostra che le questioni cruciali della coscienza non possono essere ridotte a una mera comprensione biofisica di come funziona il cervello. [...] La cosa orribile della filosofia è che, a differenza degli enigmi di Internet, i suoi grandi problemi non vengono mai risolti. (Matthew Yglesias)
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Noi, di fatto, continuiamo a vivere in un mondo che è, più o meno esplicitamente, dualista. (Paolo Legrenzi, Carlo Umiltà)
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  Se adottiamo il punto di vista di Nietzsche, lo spirito greco era caratterizzato da una consapevolezza della realtà divisa dalla sua origine. La Grecia fu la culla di un'esperienza di realtà in cui l'Io si sentiva separato dal mondo esterno. Qui, la separazione cosciente dell'individuo dal suo ambiente si sviluppò prima che in altre culture. Questa visione dualistica del mondo, che il medico e scrittore tedesco Gottfried Benn ha caratterizzato come "destino nevrotico europeo", ha avuto un ruolo decisivo nel corso della storia spirituale europea ed è ancora pienamente operativa nel mondo occidentale. (Albert Hofmann La strada per Eleusi pp.191-192)
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In una visione non-dualistica della vita cioè di un dualismo risolto, esiste solo una ricerca dell'armonia tra gli estremi compresenti in una condizione di equilibrio dinamico tra loro. Vedere un bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto è una metafora che viene spesso utilizzata per scoprire se uno ha una propensione all'ottimismo (bicchiere mezzo pieno) oppure al pessimismo (bicchiere mezzo vuoto). Intanto non si capisce perché si deve dare un valore assoluto a questa scelta. Nessuno può negare che su alcune cose un individuo può essere ottimista e su altre cose della vita essere pessimista. Tutto dipende su che cosa si deve esprimere l’atteggiamento psicologico del singolo individuo. Il problema vero di questa metafora però, nasce proprio dal dover scegliere tra due visioni estreme della vita, addirittura opposte. Ognuno deve scegliere tra un atteggiamento positivo oppure negativo verso la vita. Secondo me l'errore è proprio nell'imposizione di dover scegliere tra due cose opposte. Infatti, la metafora in questione è una astrazione, che separa le cose da quello spessore allucinatorio che è la realtà. In effetti noi vediamo contemporaneamente il bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto. Stanno insieme questo e quello. Imporre una scelta tra due estremi è appunto una forzatura filosofica che nasce da una visione dualistica della vita, che contrappone ad esempio felicità/sofferenza, pessimismo/ottimismo, corpo/mente, soggetto/oggetto, cultura/natura, il sé/gli altri  ed altre dicotomie fino ad arrivare come nel caso della nostra metafora "bicchiere mezzo pieno" o "bicchiere mezzo vuoto". Solo nella visione d'insieme si manifesta la realtà non semplificata da schemi, colta dal suo contatto con la totalità. Abbandonando la visione dualistica di questa metafora possiamo affermare che è possibile avere un atteggiamento equilibrato verso la vita che comprende la relazione tra gli estremi superando la separazione tra le posizioni opposte. (Giulio Ripa)
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Il riduzionismo mira a sostituire le leggi psicologiche con le leggi neurofisiologiche, ritenute più fondamentali, fino ad arrivare alle leggi della fisica in un modello gerarchico della conoscenza di tipo fiscalista. Il Neopositivismo ha sviluppato, quindi, diversi modelli di riduzione interteorica nell’intento di unificare la scienza (Carnap, 1938). La riduzione interteorica comporta sempre l’intreccio di due piani: il piano epistemologico e il piano ontologico (Paternoster, 2002). Il riduzionismo epistemologico può essere concepito “come un ‘metodo’ o, meglio, un ‘programma’ di spiegazioni per riduzione, che appaiano riuscite, almeno localmente (Boniolo, Dalla Chiara, Girello, Sinigaglia, Tagliagambe, 2002). In questo senso è una delle strategie euristiche centrali della ricerca scientifica (Peruzzi, 2000). In altre parole, la psicologia viene ridotta alle neuroscienze, ma rimane pur sempre valida per descrivere i fenomeni del proprio livello esplicativo. el riduzionismo in senso ontologico, invece, si presuppone l’esistenza solo dei fenomeni della disciplina riducente. Nel nostro caso, solo i processi neurali sono ritenuti reali e la psicologia deve essere sostituita dalle neuroscienze (cfr. Bunge, Ardila, 1987).Il riduzionismo mira a sostituire le leggi psicologiche con le leggi neurofisiologiche, ritenute più fondamentali, fino ad arrivare alle leggi della fisica in un modello gerarchico della conoscenza di tipo fiscalista. Il Neopositivismo ha sviluppato, quindi, diversi modelli di riduzione interteorica nell’intento di unificare la scienza (Carnap, 1938). La riduzione interteorica comporta sempre l’intreccio di due piani: il piano epistemologico e il piano ontologico (Paternoster, 2002). Il riduzionismo epistemologico può essere concepito “come un ‘metodo’ o, meglio, un ‘programma’ di spiegazioni per riduzione, che appaiano riuscite, almeno localmente (Boniolo, Dalla Chiara, Girello, Sinigaglia, Tagliagambe, 2002). In questo senso è una delle strategie euristiche centrali della ricerca scientifica (Peruzzi, 2000). In altre parole, la psicologia viene ridotta alle neuroscienze, ma rimane pur sempre valida per descrivere i fenomeni del proprio livello esplicativo.
Nel riduzionismo in senso ontologico, invece, si presuppone l’esistenza solo dei fenomeni della disciplina riducente. Nel nostro caso, solo i processi neurali sono ritenuti reali e la psicologia deve essere sostituita dalle neuroscienze (cfr. Bunge, Ardila, 1987).
Il dualismo, cioè la separazione del cervello dalla mente, è stato il prezzo da pagare per studiare il corpo (e il suo cervello) come un meccanismo
dualismo
La questione del "bicchiere mezzo vuoto oppure bicchiere mezzo pieno": il dualismo ci obbliga di scegliere tra le due posizioni. Andare oltre il dualismo significa invece che le due visioni si sovrappongono: la prima il "bicchiere mezzo vuoto" e la seconda il "bicchiere mezzo pieno", si sovrappongono il "bicchiere mezzo vuoto e mezzo pieno" in quanto le prime due visioni contrapposte sono compresenti avendo in comune il volume del bicchiere diviso a metà.
Dualismo non risolto
L'eclettico ingegnere/filosofo Giulio Ripa scrive, nel suo archivio, (vedi bibliografia):

La filosofia occidentale nel tempo si è progressivamente infilata in una situazione senza sbocchi, fino a perdere di consistenza e autonomia nella situazione attuale. Il motivo principale è stato il modo con cui la filosofia ha voluto interpretare il mondo. Nello sforzo di conoscere la realtà la filosofia ha ritenuto di doversi alleggerire dal concetto di percezione della realtà perché i sensi sono equivoci e fuorvianti. Per Cartesio è fondamentale la separazione tra la cosa che pensa e la cosa fisica, due realtà distinte e indipendenti. Nel dualismo, un termine usato per definire ogni dottrina che si riferisca in qualsiasi campo di indagine a due principi inconciliabili tra loro, c'è stata la divisione tra corpo e mente, come se fosse possibile separare nettamente la percezione (il corpo) dalla conoscenza (la mente). "Io penso dunque sono" diventa così il postulato dell'indagine filosofica. Ma il linguaggio strumento del pensiero, a differenza della mente, non appartiene al soggetto pensante. Il linguaggio appartiene alla realtà intera, cioè contesto e relazioni circostanti del soggetto, che viene elaborato dalla mente del soggetto pensante. Non bisogna identificarsi con i propri pensieri ma essere testimoni consapevoli di questo processo che la mente attiva i pensieri. Una maggiore specializzazione,  attraverso il riduzionismo ed il meccanicismo, si è rafforzata nell'idea che la realtà si manifesta solo nella sua determinazione escludendo ogni contraddizione e indeterminazione. Nel dualismo in modo manicheo i due enti contrapposti si negano reciprocamente. L'unico ragionamento accettato non deve dare adito a contraddizioni. In effetti nella filosofia occidentale, si è idealizzata la realtà operando una semplificazione che non corrisponde più alla rappresentazione della realtà intera, ma solo alle domande a cui noi vogliamo rispondere. L'ulteriore semplificazione o se vogliamo specializzazione della filosofia è stata di eliminare la parte irrazionale della ragione, quella delle emozioni e sentimenti, come se non fosse essenziale per la conoscenza l'aspetto intuitivo, lasciando solo la parte razionale. Alla fine possiamo dire che la filosofia, attraverso il paradigma del positivismo, si è ridotta ad utilizzare, come nella scienza, lo strumento della ragione solo di tipo logico-deduttivo. Ma la conoscenza filosofica ha uno scopo diverso dal sapere scientifico. La filosofia cerca di conoscere la verità domandandosi il perché delle cose, la scienza attraverso la ricerca ed il metodo scientifico cerca di scoprire il come, in modo poi da farne una applicazione tecnologica.
Il dualismo non risolto, separando definitivamente gli enti l'uno dall'altro senza cercare alcuna relazione, obbligando a scegliere tra enti opposti, tipo "corpo/mente", "soggetto che osserva/oggetto osservato", "cultura/natura", il "sé/gli altri", "individuo/società", ha minato l'efficacia della ricerca filosofica.
Il mutare delle cose è un continuo compenetrarsi e vicendevole rigenerarsi di questo dualismo illusorio, illusorio perché separa nettamente le cose, negando qualsiasi relazione tra i due enti opposti.

La filosofia invece deve cercare di trovare una relazione che collega questi enti contrapposti, in modo da avere una rappresentazione più intera possibile della realtà in tutte le sue forme e contraddizioni.
Talune prospettive (religiose o filosofiche) non-dualiste sostengono che nella natura della realtà non esiste una fondamentale distinzione tra mente e materia. Secondo il non-dualismo la realtà non è né fisica né prettamente mentale, ma piuttosto consiste in un ineffabile ed indescrivibile stato di realizzazione superiore. Infatti non è possibile descrivere la non-dualità in maniera oggettiva (perché sarebbe un atto dualistico separare il  soggetto dall'oggetto), visto che la realtà è data dalla interazione tra soggetto e oggetto.

Il non-dualismo ritiene che i diversi fenomeni siano tra di loro inseparabili, senza una linea netta di demarcazione. La sostanza, la realtà è la stessa, ma si manifesta con proprietà (principi) opposte ma interdipendenti, una polarità frutto della relazione tra gli estremi.

La polarità in filosofia è l'espressione del rapporto di reciproca dipendenza di due elementi contrapposti, dello stesso genere ma di grado diverso. A differenza del semplice dualismo, la polarità implica una condizione di complementarità tra gli opposti, tale per cui ciascuno dei due poli, pur essendo limitato e avversato dal polo contrario, trova in quest'ultimo anche la sua ragion d'essere e il suo fondamento costitutivo, perché l'uno non potrebbe esistere senza l'altro e viceversa. La vera identità degli opposti la si trova solo se si pensa che i due opposti coesistenti siano complementari.

Nel pensiero olistico della filosofia orientale lo sforzo è stato quello di trovare queste relazioni, di unire gli enti contrapposti nella loro complementarità, avendo una visione con una logica inclusiva e circolare (ogni ente è causa ed effetto dell'altro ente). Una via (Tao) che mostra il mondo come il risultato di un equilibrio dinamico, frutto dell'interazione di poli opposti (yin e yang), in cui l'energia (Qi) fluisce in un ambiente vitale, che in un continuo movimento circolare, poiché ogni cosa è connessa con qualsiasi altra cosa, tende verso l'unità (universo).

Il cosmo è visto come una unica realtà indivisibile, in eterno movimento, animata, organica: materiale e spirituale nello stesso tempo. Il corpo e la mente, razionale ed irrazionale, cultura e natura, sono un tutt'uno, enti interdipendenti che rendono la realtà complessa, piena di contraddizioni ed ambivalenze. I due temi fondamentali di questa concezione sono l'unità e l'interdipendenza di tutti i fenomeni e la natura intrinsecamente dinamica dell'universo.

La filosofia deve avere una visione olistica di questa complessità della realtà intera, senza eliminare le contrapposizioni, ma cercando le relazioni di interdipendenza tra gli enti opposti.
Essendo il Tutto l'unità dei contrari, contenendo nel suo seno gli opposti, ognuno di questi, nascendo, contrasta con un altro. In questo incessante contrastare sta il movimento delle cose, il loro eterno divenire.
Nel non-dualismo ciascuno elemento può essere definito solo per opposizione, ma uno dipende dall'altro. Complementarità e correlazione tra gli elementi opposti sono le fondamenta del non-dualismo.
La relazione d'interdipendenza tra i due opposti segue la logica della sovrapposizione degli elementi, che connota la natura del loro rapporto, riconoscendone le differenze, che mostra la realtà come il frutto della relazione tra i due enti contrapposti risalendo al loro fondamento e comune denominatore.
Vediamo alcuni esempi.
Un percorso in pendenza può essere pensato come una discesa andando verso la base del percorso oppure come una salita andando verso la sommità. Ma senza pendenza non c'è salita e non c'è discesa.
Discesa e salita sono concetti contrari, ma tutte e due sono dipendenti dalla pendenza del percorso in comune.
Quindi alla fine c'è la salita, la discesa e la pendenza che mette in relazione i due opposti.
Altro esempio. Bianco e nero rimangono termini contrapposti, tuttavia, è solo cogliendo questa differenza di termini che si può risalire al loro fondamento e comune denominatore, cioè la luce. Il bianco è il colore di un oggetto che riflette tutta la luce, il coloro nero invece deriva dal fatto che l’oggetto assorbe tutta la luce. Il nero e il bianco dipendono da come la luce viene riflessa dall'oggetto.
Ancora un esempio è la questione del "bicchiere mezzo vuoto oppure bicchiere mezzo pieno". Il dualismo ci obbliga di scegliere tra le due posizioni. Andare oltre il dualismo significa invece che le due visioni si sovrappongono: la prima il "bicchiere mezzo vuoto" e la seconda il "bicchiere mezzo pieno", si sovrappongono il "bicchiere mezzo vuoto e mezzo pieno " in quanto le prime due visioni contrapposte sono compresenti avendo in comune il volume del bicchiere diviso a metà.

Infine come ultima esemplificazione possiamo prendere la dicotomia "parte/tutto" (la quale include anche quella tra individuo/società). La contrapposizione mostra l'impossibilità di definire i due concetti nettamente separati senza nessuna relazione. La parte non esiste se escludiamo il tutto. Il tutto non esiste se ne escludiamo una parte. La separazione netta tra le due opposizioni mostra il limite del ragionamento duale, dato che esiste la parte, il tutto e l'interazione tra la parte e il tutto.
I contrasti pensare/agire o idealizzare/organizzare sono inconciliabili tra loro così come quello tra individuo/società ed in particolare ideale/istituzione.

dualismo
Dualismo e fisica quantistica
Giulio Ripa scrive (vedi bibliografia):

La fisica quantistica con i suoi postulati non solo ha rivoluzionato la fisica moderna ma sta ribaltando in occidente il vecchio modo di vedere il mondo.

Per la fisica quantistica il mondo è una totalità in cui tutto è correlato e interconnesso. Non c’è una materia esterna da studiare, i concetti di causa ed effetto perdono senso come pure quelli di spazio e di tempo lineare.

La fisica quantistica ci apre ad una nuova visione della realtà, descrivendo i sistemi fisici tramite una sovrapposizione di stati compresenti e complementari, che hanno un'insieme di probabilità di manifestarsi prima di ogni osservazione.

La dicotomia soggetto-oggetto inizia a dissolversi nella fisica quantistica, quando possiamo verificare che le proprietà di ciò che stiamo studiando dipendono dal modo con cui l'osservatore interagisce con la cosa osservata.
Ancora oggi in occidente la filosofia è basata sul dualismo escludente, sulla netta distinzione tra soggetto/oggetto. Un soggetto che osserva non può contemporaneamente osservare se stesso come un oggetto. Vale sempre il principio aristotelico di non contraddizione che segue una logica escludente Vero/Falso. Questo o quello.
Invece nella filosofia orientale questa separazione tra soggetto e oggetto viene sostituita dal dualismo includente detto anche non-dualismo oppure principio di polarità. Un soggetto che osserva può contemporaneamente osservare se stesso come un oggetto. L'uno non esclude l'altro, si sovrappongono. Questo e quello. Dalla duplicità consegue così la polarità, che accetta la possibilità che qualcosa non sia né vera né falsa allo stesso tempo ma indeterminata.
Ogni polarità si manifesta contemporaneamente con due aspetti opposti. Gli opposti sono interdipendenti con azione reciproca tra l'uno e l'altro polo. Gli aspetti polari oltre ad essere compresenti sono complementari.
L'insegnamento fondamentale della vita a cui partecipiamo è comprendere la vita stessa, ovvero sentire realmente cosa significa essere vivi, che è realmente la presenza, la nuda sensazione di esserci. Ma l'ego al centro della propria vita crea illusioni, perché così la mente interferisce separando il soggetto che osserva dal mondo oggetto dell'osservazione. Siamo ancora nel dualismo escludente. Dal gioco di essere qualcuno separato dal mondo, la mente si identifica con l'ego, l'illusione più difficile da lasciare andare. Questa illusione dà un senso alla nostra vita nel mondo, ma è il vivere nel mondo senza illusioni che ci fa conoscere l'intera realtà.
E' l'ego che con tutte le sue illusioni, attaccato ai desideri ed interessi personali, si frappone alla comprensione della realtà. La separazione tra il soggetto che osserva e l'oggetto che è osservato può essere superata evitando la identificazione tra il soggetto ed il suo ego.

Allora secondo il non-dualismo, dove soggetto ed oggetto si sovrappongono, essere presente contemporaneamente anche come soggetto che osserva se stesso mentre interagisce con il mondo, significa che la mente elabora la relazione fra se stesso e il mondo (albero) evitando qualsiasi identificazione con il proprio ego.
Sapersi "osservare" con distacco quando si guarda il mondo è la via per avere consapevolezza dei propri processi cognitivi.

Grazie a questa unità soggetto/oggetto si può osservare, senza la distorsione dell'ego provocata dall'interesse personale, la realtà intera che comprende se stesso mentre interagisce con l'oggetto osservato. E' l'unico modo per comprendere la realtà, quella di osservarla da una ottica universale, con distacco ed imparzialità, da un disilluso sguardo cosmico.
Alimentata dallo spirito critico la ricerca esistenziale è il superamento della separazione tra il proprio ego ed il tutto, possibile quando il soggetto non si identifica più con l'ego. Il fulcro della questione consiste nel disinnescare quel meccanismo che lega la mente e ogni suo pensiero a quel centro di appropriazione che è l'ego.
Soltanto se impariamo a guardare le cose con equanimità, senza l’interesse, senza l’avidità, senza l’ingordigia dell’ego, l’uomo può essere tutt'uno con il mondo.
L'equanimità è uno stato mentale che trascende l'ego, i propri pensieri e ci si sente  come parte del Tutto. Solo così il Tutto viene accettato così come è, distaccato dai pensieri indotti dai nostri pregiudizi.
La capacità di distaccarsi e osservare con distanza se stessi, evitando qualsiasi identificazione con il proprio operato, permette al soggetto di ricongiungersi con il resto del mondo.
Il Tutto comprende allora le polarità come amore/odio, vita/morte, sofferenza/piacere, etc. Un processo mentale che cerca di trovare un equilibrio dinamico nel mondo che si vive senza giudicarlo, pur vivendo tra queste dicotomie.
La ricerca dell’Uno, della completezza è la ricerca dell'unità degli opposti "dentro di me/fuori di me", "soggetto che osserva/oggetto osservato", "io come parte/mondo come tutto", verità/falsità".
Svanita la separazione tra soggetto ed oggetto e svanita la identificazione tra soggetto e l'ego, esiste soltanto quello che c’è, dove Tutto è Uno. L'unità del tutto. La vita nella sua totalità, così come è in ogni momento.
E' possibile così avere più punti di vista, potersi mettere nei panni degli altri, criticare il proprio operato, comprendere l'altro come se stesso, aprirsi a tutte le possibilità che la vita ci offre, insomma sentirsi tutt'uno con il mondo e non una parte separata.
Con questa visione la presenza sta già abbracciando tutto. Il pensiero non nega niente, non resiste a niente. Accetta la manifestazione della gioia ma anche della sofferenza. L’accettazione di tutto ciò che è, consiste nello sguardo sulla realtà intera, la natura stessa delle cose così come sono nel loro divenire, senza farsi illusioni.
Le cose accadono in un processo probabilistico, di possibilità e non più determinate dal principio di causa ed effetto.
Pensiamo che tutto dipende da cosa sentiamo dentro di noi. Questa è la verità? Ma nel momento in cui noi crediamo di dire la verità, appena la nominiamo non c'è più. La verità è inafferrabile.
La realtà può essere descritta interamente solo come compresenza di enti contrapposti, complementari e correlati tra loro; una descrizione in cui si manifesta la realtà intera non semplificata da schemi, ma colta nel suo contatto con il tutto, dalla vivente relazione di elementi contrastanti, senza un tempo univoco, in un gioco di probabilità di eventi che possono accadere nello stesso momento. Nel non-dualismo non esiste la verità o la falsità assoluta ed univoca. E non può essere altrimenti, perché la realtà stessa è contraddittoria, ambivalente ed incerta, dotata di una complessità ed interdipendenza difficile da analizzare nella sua totalità che resta un mistero.
La ricerca in questo contesto filosofico si muove lungo una polarità dove il ricercatore deve essere consapevole che nel momento in cui studia con la sua teoria e strumenti un fenomeno, ha già condizionato il risultato finale della ricerca. Allora lo stesso ricercatore non si deve identificare con i risultati della ricerca fatta.
Meglio osservare da più punti di vista un fenomeno da studiare, con i pro e i contro e con diversi quadri di riferimento che si presentono ogni volta, dove il risultato finale non è una verità accertata ma possibile. Non c'è determinismo ma un processo probabilistico dove le cose accadono in una miriade di possibilità.
Nel mistero dell’esistenza le cose sono incerte.
Secondo Giulio Ripa: "Il dualismo non risolto, separando definitivamente gli enti l'uno dall'altro senza cercare alcuna relazione, obbligando a scegliere tra enti opposti, tipo "corpo/mente", "soggetto che osserva/oggetto osservato", "cultura/natura", il "sé/gli altri", "individuo/società", ha minato l'efficacia della ricerca filosofica."
La filosofia deve cercare di trovare una relazione che collega questi enti contrapposti, in modo da avere una rappresentazione più intera possibile della realtà in tutte le sue forme e contraddizioni. Talune prospettive (religiose o filosofiche) non-dualiste sostengono che nella natura della realtà non esiste una fondamentale distinzione tra mente e materia. Secondo il non-dualismo la realtà non è né fisica né prettamente mentale, ma piuttosto consiste in un ineffabile ed indescrivibile stato di realizzazione superiore. Infatti non è possibile descrivere la non-dualità in maniera oggettiva (perché sarebbe un atto dualistico separare il  soggetto dall'oggetto), visto che la realtà è data dalla interazione tra soggetto e oggetto.
Possiamo dire che la realtà può essere descritta interamente come compresenza di enti contrapposti, complementari e correlati tra loro; una descrizione in cui si manifesta la realtà intera non semplificata da schemi, ma colta nel suo contatto con il tutto, dalla vivente relazione di elementi contrastanti, senza un tempo univoco, in un gioco di probabilità di eventi che possono accadere.
E' necessario allora il passaggio da una logica duale ad una logica non duale, dove oltre alle due opposizioni include la relazione di interdipendenza tra loro, di unità degli opposti, dove la molteplicità diventa totalità. La realtà, dunque, è fatta di relazioni tra cose (es. l'interazione tra il sistema fisico e il suo osservatore), che cambiano le une rispetto alle altre, di eventi probabili che accadono gli uni in relazione agli altri, senza una logica temporale.
La fisica quantistica ci apre ad una nuova visione della realtà, descrivendo i sistemi fisici tramite una sovrapposizione di stati compresenti e complementari, che hanno un'insieme di probabilità di manifestarsi prima di ogni osservazione.
David Chalmers e "The hard problem" della coscienza
E' il tuo rosso uguale al mio rosso? Questa è una domanda a cui è molto difficile rispondere. In un certo senso, il rosso che vedo è lo stesso rosso che vedi tu. Siamo tutti costruiti (quelli che non sono daltonici) per vedere lo spettro visibile della luce da 390 nanometri (viola) a 750 nanometri (rosso). Quindi, quando vedo una mela rossa, rileviamo la luce con frequenza di 400–484 THz con lunghezza d'onda 620–750 nm. Il nostro cervello è stato addestrato e condizionato a percepire quella frequenza come "Rossa". Tuttavia, poiché non c'è modo di sapere cosa "vede" il cervello e come sviluppa l'immagine, non c'è modo di sapere se il "colore" dato alle frequenze "rosse" nel mio cervello è lo stesso "colore" dato alle frequenze "rosse" nel cervello di altre persone. Questo è il motivo per cui è impossibile descrivere il "rosso" ai non vedenti o ai daltonici poiché non abbiamo un modo reale per descriverlo senza usare aggettivi (il rosso è caldo, invitante, sensuale, ecc.). Possiamo descriverlo in termini di lunghezza d'onda e frequenza e altri termini scientifici, ma quei termini sono privi di significato nell'aiutarci a capire quei colori a meno che non possiamo effettivamente "vederli". Questa impossibilità di descrivere un'esperienza è ciò che il filosofo David Chalmers ha chiamato "The hard problem" della coscienza.
The hard problem
coscienza
E' il tuo rosso lo stesso del mio rosso?
Cosa sono i "qualia"
Il filosofo Filippo Pelucchi scrive: "Molti saranno familiari con l’odore del pane appena sfornato, con quella sensazione particolare che proviamo quando vediamo il verde piuttosto che l’arancione, oppure ancora quando ascoltiamo la nostra canzone preferita o mangiamo una fetta di torta al cioccolato. Ebbene, tutti questi casi registrano quelli che in filosofia della mente vengono comunemente detti “qualia”. Il termine è il plurale della parola (di genere neutro) latina “qualis”, che significa “modo, attributo, proprietà”. Infatti, i qualia sono delle proprietà, dei modi in cui ci si presentano determinate esperienze che facciamo nella vita di tutti i giorni e che sono, per definizione, soggettivi e privati. Quelle esperienze che proviamo sono intime, le possiamo provare solo noi e nessun’altro: se un vostro amico siede di fianco a voi mentre state assaggiando del gelato al pistacchio, non saprà quello che state provando mentre fate quella determinata esperienza. I qualia, a detta di alcuni filosofi come David Chalmers, sono delle proprietà non-fisiche e che non possono essere descritte mediante il linguaggio e le scienze. Per tornare all’esempio di prima, io posso stare mezz’ora a cercare di descrivere in modo oggettivo e preciso che cosa sto provando mentre assaggio quella pallina di gelato, ma non riuscirò mai a dare un’analisi dettagliata e scrupolosa di quella determinata esperienza. Inoltre, proprio per il fatto che queste esperienze sono personali e non descrivibili se non provandole direttamente in prima persona, è stato portato un argomento che sostiene che i qualia sarebbero non-fisici "
Una nuova teoria 'quantistica' della coscienza
Il fisico Federico Faggin sostiene, in accordo con il fisico quantistico Giacomo Mauro D'Ariano, che la coscienza umana sia un fenomeno quantistico. A questo proposito Faggin scrive nel suo libro "Irriducibile" :

(p.157) Tale teoria, chiamata QIP (Quantum Information-based Panpsychism) è stata recentemente pubblicata [Hard problem and Free Will: an information-theoretical approch]. Uno stato puro è uno stato ben definito, ma non clonabile. Ha quindi tutte le caratteristiche straordinarie di un'esperienza cosciente, che è privata e perciò conoscibile soltanto dal sistema che è in quello stato.

(pp.210-211) Con la teoria QIP secondo cui uno stato puro è uno stato conoscibile da dentro come "qualia" solo dal sistema che si trova in quello stato, abbiamo la rappresentazione matematica della conoscenza interiore, ovvero del significato. Pertanto tale teoria spiega per la prima volta l'esistenza di una informazione inconoscibile da fuori, perchè appartiene a enti coscienti con una conoscenza di sé completamente privata, esattamente come lo è la nostra.
Consapevolezza/esperienza di una dimensione mentale o spirituale e sua integrazione nel nostro modello di sé intesa come sequenza di transizioni di fase evolutiva che caratterizzano sistemi complessi e auto-organizzanti.
Wolf Singer scrive: "Rappresentazione schematica delle transizioni di fase nell'evoluzione di sistemi complessi che portano all'emergere (frecce verdi spesse) di nuove qualità: le interazioni nelle reti neuronali (a sinistra) portano a funzioni cognitive ed esecutive di agenti autonomi. Questi agenti formano nuovamente reti (freccia blu) e le interazioni tra questi agenti portano all'emergere di realtà sociali (a destra). Le nuove qualità agiscono e alterano l'organizzazione dei rispettivi substrati sottostanti (frecce verdi)."(Cliccare per approfondire)
Cosa faremmo se pensassimo di possedere solo un corpo mortale e non un'anima immortale?
Siamo "dualisti" da sempre. Tenere separati mente e cervello è stata una prerogativa costante della cultura umana che va oggi attenuandosi con le scoperte neuroscientifiche. Il dualismo è stato il prezzo da pagare per studiare l'essere umano come meccanismo. Lo psicologo Paolo Legrenzi e il neuropsicologo Carlo Umiltà scrivono nel loro libro "Perchè abbiamo bisogno dell'anima" (p.15):

I filosofi hanno chiamato "dualismo" l'idea per cui il funzionamento del cervello e quello del corpo, di cui il cervello fa parte, sono, in qualche modo, tenuti separati dalle operazioni della mente. Da molti anni, ormai, i biologi e gli scienziati cognitivi hanno abbandonato il dualismo.

Sui vantaggi del dualismo scrive il biologo Pier Vincenzo Piazza nel libro "Homo Biologicus" (p.18):

Le religioni separano in maniera pittosto netta il corpo e l'essenza immateriale che lo abita e stabiliscono una chiara gerarchia tra i due, assegnando all'anima una posizione dominante. Il corpo e la realtà fisica non sono che un passaggio, una breve parentesi che precede la realtà immateriale che accoglierà l'anima per un tempo infinito. Questa gerarchia che sembra logica e naturale un po' a tutti non ha soltanto dei vantaggi.

Sulla relazione tra qualia, coscienza e realtà fenomenica il giornalista Matthew Yglesias (vedi bibliografia 2015), scrive:

Per molti filosofi, questi problemi di qualia dimostrano che la mente umana cosciente non può essere ridotta ai processi fisici e biologici del cervello. Altri filosofi contestano questo (dopotutto è filosofia) e propongono varie teorie per conciliare la presunzione che il mondo intero sia fisico con la realtà vissuta dell'esperienza soggettiva e dei qualia. Un altro approccio è stato adottato dal filosofo Daniel Dennett nel suo articolo del 1988  "Quining Qualia" . L'argomento di Dennett è che, nonostante la loro distinta discendenza nella letteratura filosofica, nessuno può fornire un resoconto coerente di cosa siano i qualia. È facile convincere gli studenti di filosofia a crederci con un paio di esperimenti mentali, ma non sono una parola normale del linguaggio quotidiano perché in realtà sono solo un volo di filosofi fantasiosi inventato per negare la verità del materialismo.

In uno studio su un approccio naturalistico alla coscienza di Wolf Singer (vedi bibliografia 2019), il neuroscienziato Maurizio Mattia scrive:

I tentativi di fornire spiegazioni naturalistiche per il fenomeno della coscienza si trovano ad affrontare almeno tre grandi difficoltà. Il primo deriva dal fatto che l'explicandum non è ben definito. Il secondo deriva dalla comprensione ancora rudimentale dei processi neuronali alla base delle funzioni cognitive superiori. E il terzo è relativo al "problema difficile" della ricerca sulla coscienza (per la revisione, vedere Dennett, 2018), l'intuizione che anche se avessimo un resoconto completo dei correlati neuronali della coscienza (NCCP) non saremmo comunque in grado di spiegare come le esperienze in prima persona dei risultati dell'elaborazione cosciente, i qualia, emergono dalle interazioni neuronali descritte da una prospettiva in terza persona.

Il cervello è nel mondo o il mondo è nel nostro cervello?

Schemi dualistici come esterno/interno, natura/cultura, eredità genetica/variazione ambientale, rispondono tutti al paradigma riduzionista che riconosce solo cause singole e univoche, lasciando spazio casomai a contingenti cause accessorie. La complessità della realtà, e in particolare quella che caratterizza i fenomeni biologici, sfugge a questa visione ristretta dei rapporti causali nella natura: gli organismi non possono essere compresi a partire dall'estrapolazione delle proprietà delle loro parti costitutive.

L'Unione Cristiani Cattolici Razionali (UCCR), nel recensire il libro "La coscienza" scrive (vedi bibliografia 2017): "Esiste una estrema varietà di posizioni e concezioni riguardo alla coscienza, davanti alla quale è importante saper scegliere «il punto di partenza, da esso dipendono in gran parte le conclusioni e i contributi dei vari autori», scrivono Ceroni, Vanzago e Savoldi. «Si resta, tuttavia, sorpresi da quanto poco il punto di partenza sia messo in discussione nelle opere della maggioranza degli autori. Esso rappresenta il fondamento a partire dal quale vengono criticate altre posizioni, spesso senza che si operi un confronto effettivo sui punti di partenza delle concezioni in discussione. Riteniamo che sia esattamente questo, cioè l’indisponibilità della messa in discussione del proprio punto di partenza, a costituire una della maggiori difficoltà nel dibattito neuroscientifico attuale» (p. 890).

Legrenzi e Umiltà scrivono (p.12):

Il riduzionismo radicale è figlio di un'aspirazione ultrasecolare alla naturalizzazione del mondo.
Verso una teoria unificata del funzionamento del cervello?
Il biologo-filosofo Roberto Ferrari, nel presentare un suo intervento: "Predictive coding, una teoria unificata del cervello" a un convegno, scrive: "Le neuroscienze cercano di arrivare a una teoria unificata del funzionamento del cervello, analogamente alla ricerca della teoria del campo unificato in fisica. In questo modo si arriverebbe a spiegare come da un chilogrammo di neuroni emerga la percezione del film della vita, la nostra capacità di agire e di apprendere, e forse la nostra stessa coscienza. Basta accettare la tesi di fondo della codificazione predittiva: che il nostro mondo sia niente più che un’allucinazione controllata, che chiamiamo “realtà”.
Sempre lo stesso Roberto Ferrari dell'associazione Asia di Bologna scrive nel 2013 (vedi bibliografia):

Con un'espressione fortunata, David Chalmers ha chiamato quello dei qualia il "problema difficile" (the hard problem) degli studi sulla mente, e su di esso si concentra per cercare l'elemento nuovo che possa spiegarlo. Propone una teoria che sembra una tresca tra il funzionalismo dei computer e il dualismo. Fa incontrare queste due scuole di pensiero quasi di nascosto, come amanti clandestini, perché il dualismo è sempre stato antipatico alla scienza, e il Funzionalismo non è più tanto di moda a causa dei successi delle neuroscienze. [...] Il dualismo di Chalmers è in 'terza persona'. In esso la coscienza è un "elemento in più", un fatto naturale come l'elettrone e il protone: possiamo chiamarlo il 'coscienzione'. Ma se la sua natura non è materiale, di cosa si tratta? Per Chalmers la sua vera natura è quella informazionale. In questo svela le sue basi filosofiche da funzionalista, per le quali l'informazione ha sempre sia un sostrato fisico - inchiostro e carta, onde sonore, elettroni di un computer - sia un aspetto fenomenico. Grazie all'informazione che contiene, l' 'organizzazione funzionale' (cervello o computer) origina la coscienza che fa esperienza fenomenica.
Le neuroscienze cercano di arrivare a una teoria unificata del funzionamento del cervello, analogamente alla ricerca della teoria del campo unificato in fisica. In questo modo si arriverebbe a spiegare come da un chilogrammo di neuroni emerga la percezione del film della vita, la nostra capacità di agire e di apprendere, e forse la nostra stessa coscienza
"The hard problem" - Le neuroscienze vorrebbero portare alla naturalizzazione della mente e alla scomparsa del dualismo?
Legrenzi e Umiltà, nel libro "Perchè abbiamo bisogno dell'anima", riguardo all'importanza dell'incoscio per la riflessione e l'azione umana, scrivono (p.29):

Mentre Freud sosteneva di aver dimostrato, con la nozione d'inconscio,  che "non siamo padroni a casa nostra", oggi gli psicologi dimostrano che questo è un punto di forza. E' un vantaggio perchè permette di muoversi a più livelli, da quelli automatici e inconsapevoli, a quelli controllati, aumentando così le nostre capacità mentali.

Il neurofisiologo Wolf Singer, nel discutere un approccio naturalistico alla coscienza (The Hard Problem) scrive (vedi bibliografia 2019):

In ogni momento, i soggetti sono consapevoli solo di una piccola parte delle loro operazioni cognitive ed esecutive. Tuttavia, i segnali di cui i soggetti non sono consapevoli possono essere elaborati in modo molto approfondito e influenzare il comportamento ( Dehaene et al., 1998). Pertanto, devono esserci meccanismi di soglia che determinano quali segnali vengono elaborati consapevolmente, quali vengono elaborati e controllano il comportamento ma rimangono inconsci e quali non vengono elaborati affatto.

Wolf Singer scrive:

La prima transizione di fase è l'emergere di funzioni cognitive da interazioni complesse nelle reti neuronali. La seconda fase di transizione è l'emergere di realtà sociali dalle complesse interazioni in reti di agenti cognitivi. In entrambi i casi i fenomeni emergenti, le funzioni cognitive generate dalle reti neurali e le realtà sociali generate dalle reti sociali, trascendono le proprietà dei componenti delle rispettive reti. I fenomeni emergenti non possono essere compresi considerando solo le proprietà dei rispettivi nodi di rete e non possono essere descritti con i termini utilizzati per la descrizione dei nodi. Quindi è stato necessario sviluppare diversi sistemi linguistici per catturare le proprietà dei fenomeni emergenti. C'è un linguaggio per la descrizione dei processi neuronali, un altro per la caratterizzazione delle funzioni cognitive ed esecutive emergenti, un altro ancora per la descrizione degli agenti cognitivi nel loro ruolo di nodi nelle reti sociali e infine c'è un linguaggio per catturare le realtà sociali emergenti. Questi sistemi linguistici sono rappresentati ciascuno da diverse discipline scientifiche, la seconda e la terza a cavallo del confine tra le scienze naturali e le discipline umanistiche e la quarta essendo interamente un dominio delle scienze umane. I tentativi passati di mettere in relazione la coscienza con i processi neuronali e di ridurre il divario esplicativo tra i processi neuronali materiali e i qualia dell'esperienza soggettiva hanno considerato solo la prima transizione di fase e in gran parte trascurato la seconda, che è la probabile ragione per cui il divario viene percepito troppo grande per essere chiuso.
Le neuroscienze cercano di arrivare a una teoria unificata del funzionamento del cervello, analogamente alla ricerca della teoria del campo unificato in fisica. In questo modo si arriverebbe a spiegare come da un chilogrammo di neuroni emerga la percezione del film della vita, la nostra capacità di agire e di apprendere, e forse la nostra stessa coscienza
Conclusioni (provvisorie):La complessità della realtà, e in particolare quella che caratterizza i fenomeni biologici, sfugge alla visione ristretta dei rapporti causali nella natura: gli organismi non possono essere compresi a partire dall'estrapolazione delle proprietà delle loro parti costitutive
Il mondo fenomenico può essere descritto in due modi: con il dualismo o con il riduzionismo. Il dualismo è la separazione del concetto di mente da quello di corpo (il cervello in questo caso), che permette di studiare sia corpo che mente con libertà. Il termine si riferisce in genere al dualismo cartesiano mente-materia, in cui tutto ciò che esiste è ritenuto composto di due "sostanze" diverse: "mente" e "materia". Il Riduzionismo è invece una delle numerose idee filosofiche riguardanti le associazioni tra fenomeni, che possono essere descritte in termini di altri fenomeni più semplici. Schemi dualistici come esterno/interno, natura/cultura, eredità genetica/variazione ambientale, rispondono tutti al paradigma riduzionista che riconosce solo cause singole e univoche, lasciando spazio casomai a contingenti cause accessorie. La complessità della realtà, e in particolare quella che caratterizza i fenomeni biologici, sfugge a questa visione ristretta dei rapporti causali nella natura: gli organismi non possono essere compresi a partire dall'estrapolazione delle proprietà delle loro parti costitutive. Tuttavia noi umani siamo "dualisti" da sempre. Tenere separati mente e cervello è stata una prerogativa costante della cultura umana che va oggi attenuandosi (ma non troppo) con le scoperte neuroscientifiche. Il dualismo è stato il prezzo da pagare per studiare l'essere umano come meccanismo. Lo psicologo Paolo Legrenzi e il neuropsicologo Carlo Umiltà scrivono nel loro libro "Perchè abbiamo bisogno dell'anima": "I filosofi hanno chiamato "dualismo" l'idea per cui il funzionamento del cervello e quello del corpo, di cui il cervello fa parte, sono, in qualche modo, tenuti separati dalle operazioni della mente. Da molti anni, ormai, i biologi e gli scienziati cognitivi hanno abbandonato il dualismo". Alla luce di tutto questo appare nobile il tentativo degli autori del libro "La Coscienza" di non voler opporre la «concezione di coscienza che prevale nelle neuroscienze, che pretende di essere fondata oggettivamente, a quella del pensiero fenomenologico che sottolinea l’irriducibilità della soggettività», l’intento è invece «quello di creare uno spazio in cui fenomenologia e neuroscienze trovino il loro senso comune e si incontrino in un rapporto dialettico». Lo consideriamo uno degli approcci migliori nel dibattito sulle neuroscienze, l’unico che non tratta la personalità umana come un pezzo anatomico del corpo, da isolare e analizzare in modo settorializzato, e nemmeno la considera indipendente e svincolabile dal supporto biologico su cui è inserita e collegata. Essa «è una formazione composta di più strati saldamente connessi, ma non omogenei. Gli uomini non sono gli schiavi di una natura invincibile e neppure degli angeli che volano sopra il proprio corpo. Per il filosofo e per il neuroscienziato questo significa cercare di comprendere l’uomo che non si identifica mai astrattamente con la salute o con la malattia, con uno degli aspetti della sua variegata personalità, con una sua parte anche se meravigliosamente complessa come il cervello. Significa anche rispettarlo nella complessità del suo essere senza arbitrarie interpretazioni che lo trasformino in oggetto di una ideologia vecchia o nuova che sia» (p. 940).
Occorre dunque lasciare alle spalle il naturalismo e lo spiritualismo, andare oltre il riduzionismo e il monismo, ma superare anche il dualismo cartesiano. Per studiare la personalità umana, ci insegnano i tre studiosi autori del libro (Mauro Ceroni, Faustino Savoldi, Luca Vanzago), occorre assumere un punto di partenza in cui essa è intesa come «una formazione composta di più strati indissolubilmente connessi, qualunque sia la condizione del soggetto umano, dal geniale scienziato all’handicappato più grave». Questo permette di guardare all’uomo, sia dal punto di vista filosofico che scientifico, «come una misteriosa unità duale dentro un Universo di cui rappresenta il punto di consapevolezza, il punto di autocoscienza» (p. 940).
per scaricare le conclusioni (in pdf):
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Pagina aggiornata il 26 aprile 2024

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Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione 2.5 Generico
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